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Detroit, le macerie del sogno americano

di Michele Paris - 31/07/2013


    


Il procedimento fallimentare avviato il 18 luglio scorso dalla città di Detroit ha superato una serie di ostacoli legali negli ultimi giorni e sembra essere destinato ad una soluzione che finirà per devastare ulteriormente le condizioni di vita di decine di migliaia di dipendenti ed ex dipendenti municipali, così come della maggior parte degli abitanti della metropoli del Michigan che vedranno sparire i servizi pubblici essenziali rimasti finora in vita.

Con un indebitamento di oltre 18 miliardi di dollari, la situazione di Detroit continua incessantemente ad essere presentata da politici e media ufficiali come il risultato di politiche di spesa irresponsabili, a cominciare dal mantenimento di pensioni e programmi di assistenza sanitaria troppo “generosi” per coloro che lavorano o hanno lavorato per la città. Questo genere di propaganda serve sostanzialmente a giustificare gli attacchi senza precedenti che verranno portati ai “benefit” conquistati dai dipendenti pubblici di Detroit, così da garantire il pagamento dei bond municipali detenuti in gran parte da banche e fondi di investimento.

Sull’istanza di fallimento, in ogni caso, nonostante il via libera dei tribunali continuano a pesare forti riserve legali. La stessa presentazione dei documenti necessari per avviare il procedimento è stata segnata dal comportamento a dir poco scorretto dell’amministratore straordinario della città, Kevyn Orr, e del governatore del Michigan, Rick Snyder.

Quando era apparsa chiara l’intenzione di presentare domanda di fallimento, i legali dei fondi pensione dei dipendenti municipali avevano immediatamente preparato una richiesta all’apposito tribunale per bloccare un procedimento ritenuto incostituzionale. La Costituzione dello stato del Michigan, infatti, protegge questo genere di pensioni, chiaramente nel mirino della ristrutturazione di Detroit. Per superare questo primo ostacolo, Orr e Snyder avevano allora chiesto ai legali dei fondi di attendere qualche minuto prima di presentare la loro richiesta e proprio in questo breve periodo di tempo l’amministratore straordinario e il governatore hanno potuto procedere indisturbati con la loro istanza di fallimento.

Il giorno successivo, poi, un giudice statale aveva giudicato effettivamente incostituzionale la domanda di fallimento della città di Detroit ma Orr e Snyder si sono subito rivolti alla Corte d’Appello del Michigan che ha a sua volta sospeso il primo verdetto. Alla fine, settimana scorsa il giudice fallimentare Steven Rhodes ha di fatto respinto qualsiasi richiesta preventiva di congelare il procedimento avviato il 18 luglio, stabilendo che ogni controversia legale verrà affrontata durante il dibattimento in aula.

Quest’ultima decisione ha così rappresentato una vittoria fondamentale per Orr e Snyder, i quali avevano più volte affermato che le leggi federali sui fallimenti devono prevalere anche sulle Costituzioni dei singoli stati. Il giudice Rhodes, inoltre, finirà con ogni probabilità per dare il via libera agli assalti alle pensioni, alla luce anche dei suoi precedenti che nell’ultimo decennio lo hanno visto presiedere a procedimenti fallimentari di svariate aziende del Michigan risolti nell’imposizione di tagli a posti di lavoro e “benefit” vari dei loro dipendenti.

La prima udienza è fissata ora per il 2 agosto, quando il giudice Rhodes sarà chiamato a decidere sulla legittimità della richiesta di fallimento di Detroit. Successivamente, i legali della città dovranno dimostrare l’effettiva insolvenza e l’impossibilità di negoziare una ristrutturazione del proprio debito con i creditori.

Chi sarà a dover subire le conseguenze più pesanti del procedimento di fallimento è facile da prevedere, visto che circa la metà dell’indebitamento di Detroit deriva da fondi per le pensioni e l’assistenza sanitaria dei dipendenti municipali privi di copertura finanziaria.

La promessa fatta dalle autorità cittadine e dello stato del Michigan di volere trattare allo stesso modo i pensionati e gli investitori che detengono il debito di Detroit, imponendo tagli e perdite in maniera equa sembra essere di poco conforto. Innanzitutto, anche se questo impegno venisse rispettato, è evidente che gli effetti risulterebbero ben diversi per pensionati che vivono con poco più di mille dollari al mese e per banche che raccolgono profitti miliardari.

Inoltre, molti precedenti indicano come i possessori di bond municipali potrebbero ricevere un trattamento preferenziale, come accadde ad esempio nel caso del fallimento della città di Central Falls, nel Rhode Island, dove nel 2011 gli “investitori“ vennero in sostanza protetti dalle perdite mentre gli ex dipendenti municipali si videro ridurre le pensioni fino al 55%.

A fare le spese della ristrutturazione di Detroit saranno anche molti altri beni e servizi pubblici. L’intenzione dell’amministratore straordinario Orr è quella di privatizzare il più possibile, dal sistema di illuminazione cittadina ai trasporti pubblici, dalla raccolta rifiuti alla rete idrica. I parchi della città potrebbero inoltre finire in mano ai privati, così come gli animali dello zoo di Detroit.

Particolarmente inquietanti appaiono anche i piani che prospettano una svendita delle opere d’arte conservate al Detroit Institute of Art (DIA), una delle più grandi e meglio fornite gallerie municipali degli Stati Uniti. Tra le oltre 65 mila opere del museo spiccano lavori di Caravaggio, Picasso, Renoir e Van Gogh e la loro eventuale vendita sembra essere presa seriamente in considerazione.

A confermarlo è stata la notizia che la nota casa d’aste Christie’s già nel mese di giugno aveva effettuato una perizia sulla collezione del DIA, stimando un valore complessivo di parecchi miliardi di dollari. Pur avendo smentito di avere chiesto la valutazione, Orr ha lasciato intendere che a farlo potrebbe essere stato uno dei creditori della città e, comunque, lo stesso amministratore straordinario non ha escluso una futura vendita delle opere in dotazione del museo.

Ben lontano dall’essere stato causato da quella che lo stesso Orr - già rappresentante legale di Chrysler durante la bancarotta pilotata del 2009, nonché membro di uno studio legale che rappresenta svariate banche di Wall Street creditrici di Detroit - ha definito “dipendenza da debito”, il fallimento della città dell’automobile e, ancor prima, la devastazione sociale che essa ha patito negli ultimi decenni, così come il crollo demografico e l’impoverimento di massa hanno in realtà origini ben diverse.

Questa traiettoria verso il baratro, condivisa da molte altre città del Midwest americano, è infatti principalmente il risultato del processo di de-industrializzazione attraversato dall’economia americana che ha colpito in maniera durissima il cuore produttivo d’America. Ciò si è accompagnato alla finanziarizzazione dell’economia e al drenaggio delle risorse pubbliche, dirottate sempre più verso l’arricchimento di una ristretta élite parassitaria al vertice della piramide sociale, con il conseguente allargamento a dismisura delle diseguaglianze di reddito nel paese e la pauperizzazione di intere città.

Il tracollo finanziario dell’autunno 2008 ha poi determinato un’ulteriore svolta, gettando in crisi compagnie private ed enti pubblici che, quando necessario, hanno avviato un processo di ristrutturazione che ha colpito nuovamente le fasce più deboli della popolazione. In questo scenario, nei casi più complicati e a maggiore rischio di scontro sociale sono stati i procedimenti fallimentari a rappresentare lo strumento per l’imposizione di misure che hanno conseguenze gravissime sulle condizioni di vita di milioni di persone.

In questa prospettiva, è semplice dedurre come il caso di Detroit rappresenti una sorta di modello da applicare a numerose altre grandi città americane in affanno per ridimensionare in maniera drammatica i rimanenti benefici e servizi pubblici garantiti alla popolazione. Come hanno riportato i media d’oltreoceano, perciò, su Detroit stanno tenendo gli occhi i leader di città come Chicago, Los Angeles, Cincinnati e molte altre ancora, tutte gravate da pericolosi livelli di indebitamento e con fondi pensione in rosso.

La devastazione che si prospetta per gli abitanti di Detroit avverrà infine senza che il governo federale muova un dito in loro soccorso. Se il governatore del Michigan ha deciso di non chiedere alcun piano di salvataggio a Washington, l’amministrazione Obama ha allo stesso modo escluso qualsiasi intervento per evitare il fallimento e le sofferenze di massa che seguiranno.

A ribadire la posizione intransigente della Casa Bianca sono stati alcuni esponenti di spicco del governo apparsi lo scorso fine settimana nei talk show americani, a cominciare dal segretario al Tesoro, Jack Lew. Quest’ultimo, in diretta su ABC News e CNN ha sostenuto che “le questioni tra Detroit e i suoi creditori” dovranno essere risolte esclusivamente tra le due parti.

Lo stesso presidente Obama, in una recente apparizione in Illinois per promuovere la propria immagine di difensore della classe media ha significativamente evitato qualsiasi riferimento alla situazione di Detroit, avallando di fatto l’istanza di fallimento avviata dalle autorità locali ed escludendo un possibile “bailout” per rimettere in sesto le finanze della città.

Malgrado l’estrema improbabilità di un piano di salvataggio per Detroit, in questi giorni alcuni membri del Congresso repubblicani hanno addirittura presentato proposte di legge per vietare in maniera esplicita un intervento del governo federale volto a sostenere municipalità sull’orlo del fallimento o semplicemente in difficoltà a causa di elevati livelli di indebitamento.

La fermezza con cui la classe politica americana mostra la propria insensibilità nei confronti della maggioranza della popolazione di Detroit si scontra clamorosamente con l’infinita disponibilità a soccorrere e assistere i grandi istituti finanziari. Questi ultimi, infatti, a differenza di lavoratori e pensionati a rischio povertà non solo hanno ottenuto un immediato pacchetto di emergenza pari a 700 miliardi di dollari dopo l’esplosione della crisi del 2008, ma godono anche di linee di credito super-agevolate e virtualmente illimitate, come il programma della Fed tuttora in vigore che, a fronte della presunta mancanza di denaro per i bisogni più urgenti della popolazione, continua ogni mese a mettere a disposizione della speculazione finanziaria qualcosa come 85 miliardi di dollari.