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Confessoni anti-democratiche

di Lorenzo Vitelli - 27/05/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


vote

“Con o senza suffragio universale, è sempre un’oligarchia a governare e a saper dare alla volontà del popolo l’espressione che desidera”. Vifredo Pareto

Gli odierni risultati danno un preciso quadro psicologico e antropologico dell’Italia. Popolo moderato, conservatore, democristiano, l’italiano si allarma al sentire della “crisi” ma fin quando galleggia, fin quando, con l’acqua sino al mento, riesce ancora a respirare, l’agognato cambiamento non è altro che uno slogan, pronunciato per sentirsi più moderni, più progressisti. Ma vincitori e vinti a parte, c’è un’incognita che stagna sul fondo delle nostre coscienze, che si decompone nella laguna della nostra indifferenza; e questo problema irrisolto e misconosciuto è ancora la democrazia, lo spettacolare inganno dell’ultimo secolo; lo spettacolo mediatico di vincitori e amareggiati sconfitti, di chi estingue le sue colpe passate e crede guadagnare nuova legittimità, di chi si scervella sugli errori compiuti, di chi si intasca un seggio e di chi non entra proprio. Saranno un varietà tutti i commenti, le dichiarazioni, le diatribe, gli orgasmi e le grida. E’ pur sempre democratico l’inganno, è pur sempre Entertainment! 

Ma dal fondale di questa simulazione è necessario domandarci cosa esprime, anche stavolta, il nostro voto? Europerista o anti-europeista che sia, ogni suffragio dato ieri ha giustificato il sistema-democrazia. Si è votato per questo modello, come in un talent show, per vederne gli esiti, per sentirci partecipi, finalmente interpellati sulla scelta da fare tra conservazione e protesta, reclusi, nuovamente, nelle dinamiche della forma di espressione esistente. Cosa esprime tuttavia il corpo elettorale nell’apparato democratico? Questo non tiene da conto l’astensione – vera maggioranza – che non è istituzionalizzata; le urne non prendono in considerazione l’impegno del votante, la sua presenza nelle piazze, il suo attivismo, l’interesse che esso nutre nei confronti di ciò che è politico; non sanno se egli è bene o male informato, se egli è competente o meno, se è ad un passo dalla morte o se ha tutta la vita davanti. La democrazia non è in grado di conoscere se l’elettore è consapevole del voto che più rifletterà la volontà generale e il bene comune e se, pur essendone consapevole, egli non opterà piuttosto per un voto di favore o di interesse. La democrazia disabilita la verità e dal pubblico stordito dal chiasso mediatico trae la somma maggioritaria di opinioni emotivamente conformi ad un simbolo con cui stabilire un governo. E’ proprio dall’addizione di queste opinioni opinabili che si desume il destino di un popolo.

Ma secondo quale principio, secondo quale tipo di uguaglianza che non si pretenda appiattimento generalizzato, un anziano pensionato di 85 anni esprime nei seggi un’opinione che viene presa in considerazione quanto quella di un ventenne? E perché quella di un ventenne vale quanto quella di un ventenne ben informato? Perché un cittadino distinteressato alla politica ha la stessa influenza di un cittadino impegnato? L’urna sembra essere un filtro razionalizzatore, che trascrive nel linguaggio standardizzato della scheda la nostra volontà e calcola come 1 quella mera finzione rappresentativa di un esistente che può, nel concreto, valere più e diversamente da quell’1. E come la felicità di un Paese non è misurata dal Pil così né la legittimità né, a maggior ragione, il consenso di un governo sono dati dal voto. 

Il problema democratico è quindi un problema di semplificazione, laddove si viene a calcolare strumentalmente dati che non sono soggetti a questo tipo di operazioni, che non possono essere sommati, e che pur esprimendo scientificamente il vero, umanamente manifestano il falso, perché nel voto si uniforma e si distilla un ventaglio di varianti di cui non l’urna, ma la vita quotidiana prende atto: la correttezza, la conoscenza, il valore umano, l’impegno, la pertinenza dei votanti misurano la giustezza di una scelta. Quale idea di veridicità potremo farci rispetto ad un’elezione democratica indetta in un manicomio? o in un Paese popolato da ignoranti, o da disonesti? In un Paese diviso dalla paura? traviato dall’influenza dei mezzi di comunicazione, distratto da dibattiti che non affrontano i problemi principali? L’esito non sarebbe forse equivalente a quello di un voto espresso da un comitato di letterati sul tema delle neuroscienze? 

” La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta” T.W.Adorno