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Da Sloterdijk a Safranski: gli intellettuali tedeschi contro l’immigrazione di massa

di Valerio Benedetti - 07/02/2016

Fonte: Controinformazione


Rifugiati e migranti in Germania

Nella virtuosa Germania merkeliana delle frontiere aperte e dei disordini di Colonia, un popolo esasperato si trova oramai in mezzo a due fuochi: da una parte il buonismo facinoroso dei politici e dei media, che non smettono di colpevolizzare la popolazione autoctona, dall’altra l’arroganza dei cosiddetti “richiedenti asilo”, che anche dopo la notte di San Silvestro continuano a rendersi protagonisti di furti, molestie e prepotenze contro i più deboli. Nonostante l’omertà e la viltà della classe politica e dei grandi mezzi di informazione, alcuni intellettuali “irregolari” cominciano tuttavia a dar voce a questo illustre sconosciuto: il “popolo tedesco”.

 

Di tutto questo se ne è accorta recentemente – con grande rammarico – la Süddeutsche Zeitung, che corrisponde grossomodo a Repubblica. Li chiamano i “nuovi nazional-conservatori”. Filosofi, scrittori, giornalisti, poeti, accademici, ecc. che, pur provenendo da culture politiche diverse, da destra e da sinistra, si trovano tuttavia d’accordo sull’essenziale: la cultura e il popolo tedesco vanno difesi, sia dalla Merkel e la sua “politica dell’accoglienza”, sia dalla cosiddetta Lügenpresse, la “stampa menzognera” e asservita alla casta politica.

Tra i nomi più quotati c’è sicuramente Peter Sloterdijk, il più autorevole filosofo tedesco vivente, che di recente ha attaccato frontalmente la cancelliera e i grandi mezzi d’informazione, parlando di «rinuncia alla sovranità politica», fallimento dell’Unione Europea e dei forti interessi degli americani, i quali vedono di buon occhio un’Europa indebolita dall’invasione di profughi che non è possibile integrare. Ma agli intellettuali anti-immigrazione si sono aggiunti anche grandi personalità della letteratura. Pensiamo per esempio al drammaturgo Botho Strauss, che in ottobre ha pubblicato sullo Spiegel una lunga “glossa” dal titolo inequivocabile: L’ultimo tedesco. Così Strauss apre la sua lunga requisitoria: «Talvolta ho l’impressione di essere tra tedeschi solo in mezzo agli antenati». Gli “antenati” di cui parla il drammaturgo sono i grandi spiriti della letteratura tedesca, destinata a dissolversi nella livellante società multiculturale.

Ma non sono tanto Sloterdijk e Strauss a fare notizia. Il filosofo si è infatti sempre posto su posizioni tendenzialmente “di destra”, mentre la visione del mondo di Strauss è stata già da tempo accostata ai mitemi della “Rivoluzione conservatrice”. Molto più scalpore ha invece suscitato l’endorsement “nazional-conservatore” di personalità come , Rüdiger Safranski, Reinhard Jirgl   e Hans Magnus Enzensberger.

Rüdiger SafranskiRüdiger Safranski

Si tratta di nomi “pesanti” della letteratura contemporanea con un passato a sinistra, anche estrema, come nel caso di Safranski. Quest’ultimo, sul settimanale svizzero Weltwoche, ha circa un mese fa accusato la Merkel e i giornalisti prezzolati addirittura di «immaturità», «ingenuità» ed «estraneità al mondo reale». Safranski è particolarmente duro: «Oggi regna in politica un moralismo sempre più infantile. […] La Merkel non ha il mandato democratico per sfigurare così un paese, come in questo caso, in cui milioni di immigrati islamici affluiscono sul nostro territorio».

Ad un livello più meditato si distingue invece l’intellettuale di rango Frank Böckelmann, ex militante socialista e ora clamoroso sostenitore di Pegida, che ha dedicato l’ultimo numero della sua rivista trimestrale Tumult all’immigrazione di massa. Già autore dell’opera Il gergo del cosmopolitismo (il cui titolo provocatorio riecheggia la critica di Adorno al “gergo dell’autenticità” di Heidegger), Böckelmann parla ora esplicitamente di «ipermorale». L’espressione deriva da Arnold Gehlen, padre dell’antropologia filosofica e anti-Habermas per eccellenza. Con questo termine Gehlen intendeva descrivere quell’«ipertrofia morale» che è la diretta (e per lui catastrofica) conseguenza dell’«umanitarismo», ossia l’ideologia uniformante che ha soffocato il «pluralismo etico» e ha strappato l’uomo alla sua comunità d’appartenenza. Un duro attacco, quindi, all’universalismo morale e all’«etica del discorso» di stampo habermasiano.

Ma all’ultima edizione di Tumult hanno partecipato anche altre personalità di rilievo, come il già citato scrittore Reinhard Jirgl (attualmente detentore del Premio Büchner, il massimo riconoscimento per un letterato tedesco), il quale ha parlato dell’«ingenuità» tedesca e della correlazione tra alta finanza e immigrazione di massa. A questi si affianca il filosofo austriaco Rudolf Burger, che richiama l’attenzione su un dato chiaro a tutti, ma sistematicamente minimizzato dai media: la stragrande maggioranza dei sedicenti “profughi” è costituita da maschi adulti nel pieno delle forze e atti a portare le armi. Perché allora – si chiede Burger – questi non sono rimasti nel loro paese per combattere il terrorismo? Insomma, l’uovo di Colombo.

Anche in Germania è pertanto possibile osservare un processo simile al caso francese, in cui diversi intellettuali di varia provenienza politico-culturale hanno cominciato a dilaniare il conformismo buonista del multiculturalismo e la retorica delle “porte aperte”. Si tratta di un fenomeno ambiguo: esso mostra da una parte l’insofferenza dilagante di una grossa fetta della popolazione, che ora potrebbe aver trovato i suoi portavoce; dall’altra parte permangono tuttavia dei coni d’ombra, dal momento che questo movimento culturale non è organizzato e, inoltre, tradisce spesso nelle sue conclusioni un certo “debolismo”. Eppure rimane un fenomeno dagli esiti imprevedibili e da seguire con attenzione, e che in ogni caso testimonia un fatto incontrovertibile: una parte dell’intellighenzia europea è in rivolta contro il sogno progressista della “grande sostituzione”. Come ha ribadito Sloterdijk, «l’autodistruzione non è affatto un dovere morale».