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Trump l’europeista (e più “socialista” di Hillary). Ecco perché

di Alessio Mannino - 09/11/2016

Trump l’europeista (e più “socialista” di Hillary). Ecco perché

Fonte: vvox

 

5 motivi per cui la vittoria dell'inaffidabile miliardario istrione e donnaiolo è una buona notizia per noi. Sempre che mantenga le promesse

 

 

Ogni buon europeo non dovrebbe essere scontento della vittoria di Donald Trump. Perchéall’Europa, e dunque anche all’Italia, conviene. Almeno stando alle idee di politica internazionale esposte da “The Donald”, che ora come ora non possiamo sapere se saranno le classiche, elettorali, promesse da marinaio. Dandole per buone con scettica riserva (l’uomo non è esattamente un campione di affidabilità), passiamole in rassegna e vediamo cosa potrebbe comportare la presidenza Trump per noi.

NO GLOBAL
1. «L’americanismo, non il globalismo, sarà il nostro credo». Prima vengono gli Americani («America First»), poi tutto il resto. Il miliardario statunitense è un no global. Sembra paradossale, ma è così. All’origine delle cause sociali che l’hanno portato a battere l’odiosa Hillary Clinton (il tasso reale di disoccupazione più alto dei numeri statistici, l’aumento da 28 a 45 milioni dal 2008 a oggi degli americani che per mangiare ricorrono ai buoni alimentari, il divario fra ricchi e poveri aumentato, tutto questo in barba alle magnifiche sorti progressive del bluff Obama, che sarà ricordato in positivo solo per l’insufficiente Obamacare) c’è proprio la globalizzazione. Mentre i Democratici e le sinistre benpensanti di tutto il mondo hanno sposato l’omologazione e il mercato unico mondiali, scambiandoli per un progresso, mister Trump ha detto chiaro e tondo un bel no. Anche per questo motivo si è attirata l’ostilità dei Repubblicani che sulla scia delle guerrefondaie teorie neocon identificano, come in effetti é, il globalismo e l’americanismo. Il vincitore, invece, è tornato al nazionalismo vecchio stampo.Per mere ragioni economiche, di deficit, non certo ideali («non ha senso impegnarsi in giro per il mondo per poi registrare 800 miliardi di dollari di deficit commerciale»). Ma, dal nostro punto di vista, é il risultato che conta. Di qui il suo protezionismo nel commercio con l’estero («il libero scambio ci ha rovinato») e l’identificazione del nemico principale nel concorrente industriale Cina. Il terrorismo islamico (spesso uno spauracchio strumentale da cui si è originata l’aberrante “guerra infinita” di Bush e le ipocrite “guerre democratiche” di Obama) dev’essere combattuto più come problema di sicurezza interna che di belligeranza esterna.

ISOLAZIONISMO
2. «Gli Stati Uniti devono risolvere i loro problemi, prima di cercare di cambiare il comportamento degli altri paesi». Ma ancora più questa: «Quando il mondo vede quanto male le cose vanno negli Stati Uniti e si comincia a parlare di libertà civili, non penso che noi siamo dei messaggeri credibili». Sarà un volgare molestatore razzista, sessista e fimminarucome si dice in Sicilia, ma solo per queste due dichiarazioni per l’Europa rimaneva preferibile il clownesco Briatore d’America (hanno condotto entrambi, lui e l’ex titolare del Billionaire, un identico rivoltante reality show per imparare come si diventa dei manager senz’anima, al grido di “you are fired!”, “sei fuori!”). Perché significa dire in faccia agli Americani che la loro superiorità morale non esiste, e che l’interventismo delle ingerenze umanitarie va sostituito con un tendenziale isolazionismo. Una svolta epocale, se messa in pratica. Con Hillary, che ha politicamente e moralmente sulla coscienza (non solo lei, ovvio) i civili morti in Siria, la cretina e sbagliata equiparazione Assad-Isis, lo scriteriato abbattimento di Gheddafi, la democraticissima repressione in Egitto, la continuazione della guerra in Afghanistan, eccetera eccetera eccetera, dubbi non ce n’erano: avremmo seguitato a vedere i soldati della prima democrazia d’Occidente a spargere sangue in nome del Bene. E il Male assoluto, addirittura il nuovo “fascismo”, sarebbe Trump? Ma per piacere.

BASTA NATO
3. «La Nato ci costa una fortuna e sì, stiamo proteggendo l’Europa, ma stiamo spendendo un sacco di soldi. Punterò alla ridistribuzione dei costi ed assicuro che gli Stati Uniti non sopporteranno ancora il totale peso della difesa in Europa». Mentre il duo Obama-Clinton ha fatto arrivare le installazioni e le truppe Nato fino in Ucraina (con una indecente propaganda mistificatoria sul Donbass) e nei Paesi Baltici, in un’evidente provocazione contro i russi, Trump vuole smobilitare. Se andrà così, sarà un fatto senza precedenti: un patto di mutua difesa militare – che in realtà è servito più volte a legittimare aggressioni espansionistiche – che come Paese-guida ha gli Stati Uniti, che viene svuotato di mezzi dagli stessi Stati Uniti. Significherebbe innescarne la crisi, costringendo l’Unione Europea a fare con le cattive quello che avrebbe dovuto fare da tempo con le buone: sbarazzarsi di questa pelosa e castrante “protezione” atlantica e dotarsi di un esercito tutto suo. Potremmo vedere il ridimensionamento della presenza di basi Usa, di cui per esempio l’Italia è cosparsa come fosse sotto occupazione. Trump non lo sa, ma è molto più europeista lui di Juncker, Schultz e di tutta la cricca di Bruxelles.

DIALOGO CON MOSCA
4. «Avremo delle relazioni davvero ottime con la Russia». L’apprezzamento di Vladimir Putinsarà anche il feeling fra un autocrate e un aspirante autocrate (che, ammesso sia così, rimarrà ad aspirare: gli Americani sono geneticamente ultra-individualisti e non sopporteranno mai un regime palesemente autoritario), ma, sempre dalla nostra angolatura europea, è foriero di novità positive. Perchè noi abbiamo tutto l’interesse ad una riconciliazione dei rapporti con Mosca: primo, per evitare rischi di catastrofici conflitti potenzialmente nucleari, per la verità improbabili; secondo, perchè la Russia è un nostro partner necessario e naturale, ed un attore decisivo sullo scacchiere mediorientale. Ma Donald è contraddittorio: l’accordo con l’Iran, indubbiamente una mossa azzeccata dell’amministrazione uscente, a lui non piace. E con gli ayatollah iraniani, che fra l’altro tornano utilissimi in funzione anti-Isis, si rischia grosso.

CRITICA A FINANZA E LOBBY
5. «Questa elezione deciderà se restiamo un paese libero nel più vero senso della parola o se diventeremo una repubblica delle banane corrotta, controllata da grossi donatori e governi esteri». Apriti cielo: per questa affermazione hanno subissato Trump di critiche dandogli perfino dell’antisemita. In realtà il palazzinaro ha fotografato la realtà: quando Hillary era Segretario di Stato, la Fondazione Clinton ha ricevuto cospicue donazioni dagli Emirati Arabi, dai Sauditi, dal Qatar e, per la campagna elettorale, da ebrei (lo ha scritto qui un ebreo, mica l’ignobile Ku Klux Klan che, purtroppo per lui, ha appoggiato Trump). E’ il gioco interessato delle lobby, che quanto meno negli Usa è più trasparente che da noi. Ma mentre Trump, riecheggiando il socialista Bernie Sanders (accomunati entrambi dall’accusa di populismo, che ormai è diventato un titolo d’onore), ha attaccato il capitalismo americano «venduto agli interessi delle grandi lobby», i famosi “mercati” hanno spudoratamente fatto il tifo per la Clinton, schierando all’unisono i megafoni del clero giornalistico (che ci hanno fatto una figura da chiodi, loro e quei bufalari dei sondaggisti). Resta una fesseria la tesi trumpiana, che circolava anche riguardo Berlusconi, per cui un uomo già ricco non avrebbe appetiti di usare la politica per arricchirsi ancora di più: l’avidità è la molla di ogni capitalista che si rispetti, e il bad guy Donald è tutto fuorché un santo.

LA DURA REALTA’
Tirando le somme, in quello show da circo che sono le elezioni americane ha vinto, pur con tutti i suoi difetti, il principio di realtà. Gli United States sono in declino, perciò meglio che pensino (e restino) a casa propria. Anche la cosiddetta “pancia”, formula riduttiva, ha i suoi diritti. La globalizzazione ha fallito. La destra e la sinistra sono categorie che sopravvivono ormai nella testa di incalliti nostalgici. La classe media proletarizzata ha usato l’unica arma che ha in mano, la misera scheda elettorale, per mandare un sacrosanto “fuck the establishment” a Washington succursale di Wall Street. In democrazia il popolo è sovrano, anche se per i nasi delicati delle fighette liberal emana odore di strada, povertà, modi popolani, immigrazione obiettivamente illimitata, ingiustizia sociale. Gli Usa non sono soltanto Manhattan e gli Stati dell’Est. Non basta essere donna e parlare di diritti civili, se poi ci si dimentica l’esistenza dei minatori del Kentucky. La Clinton era ed è rimasta invotabile non solo per il maschio bianco non più alpha, ma non ha convinto neppure le donne, neppure tutti i famosi ispanici, e ci sa tanto neppure gli elettori più a sinistra, nonostante Sanders abbia dovuto appoggiarla. E soprattutto, come ha scritto un critico di Trump, con Trump gli Usa perdono «l’afflato imperiale». O almeno speriamo. Cioè il mondo potrebbe essere più libero da questa America invadente e prepotente che non ha alcun diritto di sentirsene il gendarme. «Dovete smetterla di vivere nella negazione e guardare in faccia una verità che sapete essere profondamente attuale», aveva scritto cinque mesi fa il compagno Micheal Moore pronosticando quel che è avvenuto. Ora vedremo cosa farà, il nuovo Presidente. Sempre che glielo lascino fare…