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La città a dimensione umana

di Leopold Kohr - 13/11/2005

Fonte: traccefresche.info

 

{stralci di Marco Sicco da Leopold Kohr, 1992, op. cit., pagg 37-39, cap. "La metropoli polinucleare"}


(...) In primo luogo, una città ben progettata deve essere una federazione di piazze, e non una successione asmatica di strade prive di ossigeno. Solo introducendo un sistema di piazze, che duplica, invece di centralizzare, le funzioni della vita cittadina, è possibile diffondere, disperdere e diminuire la pressione del traffico, di solito aumentata dalla caratteristica di strettoia delle strade.
In secondo luogo, come una città ben progettata deve essere una federazione di piazze, così una metropoli ben progettata deve essere una federazione di città. Per ottenere questo è necessario concedere una buona dose di autonomia ai distretti, circoscrizioni o arrondissements che la compongono. Perché solo un'organizzazione autonoma può offrire a livello locale l'insieme dei servizi essenziali di una comunità. E solo se tali servizi sono erogati localmente i cittadini potranno avere un incentivo a stare dentro i confini del loro distretto, invece di intasare le strade allo scopo di cercare in lontani centri metropolitani quello che hanno a portata di mano. Pertanto, a livello di conurbazioni più grandi, la soluzione consiste nel sostituire l'attuale metropoli mononucleare, con un unico centro, mediante un sistema polinucleare multicentrico. Limitando la partecipazione sociale degli abitanti, persino all'interno di una città immensa, quasi esclusivamente ai quartieri di residenza, questa soluzione ha l'ulteriore vantaggio non solo di restituire all'uomo l'umanità delle proporzioni, ma di fornirgli anche un ambiente trasparente che può essere colto in tutto il suo significato dalla sua piccola statura. Perché, parafrasando la definizione aristotelica delle dimensioni ideali di uno stato, il proprio quartiere è l'unico abbastanza piccolo da "poter essere compreso con una sola occhiata".
In terzo luogo, come una metropoli deve essere una federazione di città, una nazione che goda di buona salute deve essere una federazione di capoluoghi di provincia o città-stato dotati di ampia autonomia, come descrivo più diffusamente nell'ultimo capitolo di questo libro. La pressione del traffico metropolitano, infatti, aumenta non solo dall'interno di una città come conseguenza dell'integrazione urbana, ma anche dall'esterno, come risultato dell'interdipendenza economica tra la capitale e le province derivante dall'integrazione nazionale.
Da ultimo, per assicurare la sopravvivenza dello schema cellulare assorbi-traffico nel contesto di un sistema federativo largamente autonomo, non è sufficiente concedere alle piazze di una città, ai distretti di una metropoli e ai comuni e alle regioni di una nazione una buona dose di autonomia politica ed economica; si deve garantir loro in grande misura anche l'autosufficienza conviviale ed estetica. Perché quello che tiene gli abitanti ancorati al loro quartiere è, in ultima analisi, non l'economia ma l'estetica, non la ricchezza ma il piacere, non la ragione ma il sentimento, non l'industria ma la bellezza. E, in una prospettiva urbana, la bellezza deve manifestarsi non solo negli edifici di una città, ma anche e in primo luogo nella struttura organica del suo ambiente conviviale.
Tutto ciò si dimostrerebbe proibitivo se comportasse la necessità di abbellire ogni angolo e dettaglio di una città. Ma, come ho accennato nell'Introduzione e come chiarirò nei capitoli seguenti, quello che occorre non è tanto una pianificazione globale, quanto un processo che si può chiamare disseminazione nucleare o polinucleare. Con questa espressione si intende l'inserimento, nei distretti autonomi di una metropoli e nei comuni delle città-regione di un intero paese, di un nucleo di strutture (chiese, taverne, sale consiliari) determinate da istanze estetiche e conviviali anziché economiche. La natura diversificata e l'aspetto piacevole di questi nuclei consentiranno loro di resistere alla pressione inevitabilmente centralizzante e, pertanto, causa di traffico, delle città capitali, il cui sviluppo storico, affidato alle mani sensibili dei maestri del passato, si è tradotto in un tale monopolio di attrazione conviviale che nessun incentivo a favore dei sobborghi o delle città di provincia è in grado di contrastarlo. (...)


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