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Il generale Fabio Mini (su Limes) spiega perché l’Italia è una colonia da 70 anni

di Stefano Verdad - 15/07/2017

Il generale Fabio Mini (su Limes) spiega perché l’Italia è una colonia da 70 anni

Fonte: Barbadillo

Nella nostra tribù, il chiacchiericcio confuso che mischia truci slogan con fastidiosi borborigmi sostituisce, more solito, un’analisi lucida e approfondita delle cause ultime della catastrofica situazione in cui versiamo.  Il polverone alzatosi dopo il 1989, e l’illusione che quella data segnasse davvero la fine di un interminabile dopoguerra, ha offuscato l’unica, triste verità, ovvero che Italia e Germania, e quindi l’Europa, sono nazioni sconfitte ancora occupate militarmente dai vincitori. 

Ovviamente, per affermare pubblicamente questa dura verità, ci voleva una voce esterna, autorevole e indipendente, come quella del Generale Fabio Mini, che, sugli ultimi due numeri di Limes ha spietatamente affondato il bisturi nel bubbone della cruda realtà, raccontandola senza falsi pudori o pelose reticenze. Mini, consigliere scientifico del mensile del gruppo Espresso-Republica, è generale di Corpo d’Armata, già Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. Scrive su “Repubblica” e l’”Espresso” e i suoi libri sono pubblicati da Einaudi e il Mulino. Stiamo quindi parlando di un “esperto” certamente non accusabile di simpatie nostalgiche o dilettantismo superficiale. 

Sul n. 4-2017 della rivista italiana di geopolitica, dedicato  A chi serve l’Italia, il contributo del generale Mini è intitolato “USA-Italia, comunicazione di servizio”, e prende spunto dalla svolta politica del Nuovo Mondo inaugurata dall’amministrazione Trump, che, in nome di un “nazionalismo nostalgico” di reaganiana memoria pretende -come gli altri presidenti, a dire il vero- che tutto il mondo serva gli interessi degli Stati Uniti, e, oltretutto, che tale servitù sia resa con sorridente gratitudine. Per quale motivo? Perché, secondo il generale, gli USA sono convinti che “quasi tutti i paesi del mondo, comunque quelli di tutta l’Europa in particolare, debbano qualcosa agli Stati Uniti. (…) Un debito permanente e inestinguibile (…) che diventa così una sindrome patologica che toglie qualsiasi autonomia e dignità agli individui e sovranità agli Stati”.  Come i Blues Brothers, insomma, gli USA sono in missione per conto di Dio, per difendere o imporre la loro democrazia, e “la riconoscenza dovuta per tali liberazioni è impagabile. Nella pratica, però, (…) solo l’Italia ha dovuto e voluto accettare un debito infinito rifugiandosi nella sindrome della riconoscenza”, con un’unica, drammatica conseguenza: “la politica italiana è da oltre settant’anni vittima consapevole e felice dell’ingerenza degli Stati Uniti ed è stabilmente al servizio dei loro interessi”. Parole durissime e concetti chiari, che spiegano molti episodi oscuri smontando parecchie versioni retoriche, come l’episodio di Sigonella, che per Mini, invece di uno scatto di dignità nazionale, fu l’ennesima sceneggiata di cui i politici della Repubblica italiana sono maestri: Craxi si scusò con Reagan e poi concesse le basi per l’attacco contro Gheddafi.

Per non parlare, poi, della presenza di truppe straniere sul territorio nazionale: i militari americani sono circa 14mila, le installazioni oltre 110, quasi tutte senza la copertura atlantica, risultando così, secondo Mini, “la naturale continuazione delle esigenze militari delle forze di occupazione statunitensi e alleate in Italia. (…) Per settant’anni abbiamo obbedito ai consigli, alle imposizioni, alle ingiunzioni e alle minacce degli Stati Uniti nella politica, nell’amministrazione, nella giustizia e nella sicurezza senza chiedere e ricevere nulla in cambio, se non il fatidico ombrello di protezione, che proteggeva i loro assetti, e la pacca cordiale di solito riservata ai cagnolini. (…) Abbiamo accettato una divisione politica interna innaturale e deleteria che ha consegnato il potere centrale a politici succubi e corrotti, il potere periferico a formazioni filo-sovietiche e l’opposizione a eversivi nostalgici, fascisti, comunisti e frammassoni. Tutti gestiti e manovrati dai “liberatori” americani e sovietici impegnati in una guerra fredda che da noi è sempre stata calda (… ) Non siamo mai stati così apertamente velleitari nel seguire le istruzioni americane alla Nato e al di fuori di essa come nei periodi di governo delle sinistre. Non abbiamo discusso di niente e obiettato su niente, neppure sulle guerre intraprese in aperta violazione del diritto internazionale. Ci siamo accontentati di cambiarle il nome”.  

Le conclusioni tirate dal Generale sono inequivocabili: “Tutti noi europei e in particolare noi italiani non dobbiamo assolutamente niente, anzi (…) in tutti questi anni l’Italia ha già dato abbastanza pagando un caro prezzo anche in termini di tempo sprecato, risorse buttate e intelligenze massacrate da settant’anni di acquiescenza”.

Il discorso, durissimo, prosegue sul numero successivo, il 5/2017, intitolato USA-Germania duello per l’Europa, nel quale il generale Mini, con la scusa di immaginare un ipotetico futuro, nel suo contributo intitolato “3 ottobre Ultimo Valzer a Berlino” immagina ulteriori rivelazioni di Wikileaks, mischiando fantasia (poca) e realtà (quasi tutta) per dimostrare come la Germania sia tutt’ora un territorio occupato militarmente.

“La Germania non era libera e indipendente e non lo era mai stata dalla fine della Seconda guerra mondiale (…) quando il Piano Morgenthau, elaborato nel 1944, fu applicato per i primi due anni cdi occupazione postbellica e in alcune parti per qualche decennio. Il piano prevedeva la riduzione della Germania a paese agricolo e pastorale, lo smantellamento di tutto il complesso industriale e l’appropriazione degli impianti da parte dei vincitori a titolo di risarcimento dei danni di guerra”. La guerra fredda costrinse a un mutamento di prospettiva, e così “il Piano Marshall dei cosiddetti aiuti alla ricostruzione (…) girava attorno al progetto di opporre gli stessi europei all’eventuale espansione sovietica e di riarmare in un modo o nell’altro la Germania”. Le truppe straniere trasformarono di fatto la Germania occidentale “in un enorme feudo anglo-americano”, nel quale “i tedeschi sapevano benissimo di essere le prime vittime sacrificali di un eventuale conflitto tra blocchi, ma non vedevano alternative (…): in realtà erano prigionieri, e questo diventò palese soltanto dopo il crollo del Muro di Berlino”.

L’impietosa analisi storica del Generale Mini arriva sino ai giorni nostri, con dettagli politici e militari che rivelano la drammatica situazione di un Continente  privo di qualsiasi autonomia o residuo di sovranità. Nella finzione narrativa, la conclusione dell’articolo ipotizza per l’anno prossimo un tentativo di uscita dalla NATO, immediatamente seguito da un’impressionante serie di attentati false flag, di cui gli statunitensi sono diventati maestri. 

E….lascio al lettore curioso la fatica di recuperare gli articoli originali per documentarsi seriamente sulle cause ultime della nostra crisi, che affondano nella sconfitta militare, politica e umana di settant’anni fa.