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Multilateralismo americano e resa europea senza condizioni

di Luigi Tedeschi - 09/07/2021

Multilateralismo americano e resa europea senza condizioni

Fonte: Italicum

Il multilateralismo americano non si tradurrà in un nuovo accordo tra le due sponde atlantiche, ma si rivelerà una resa senza condizioni dell’Europa nei confronti degli USA.

Nuovo multilateralismo e vecchio imperialismo

L’America è tornata? In realtà, la sua presenza in Europa, con le sue basi militari e la sua leadership politica e culturale, non è mai venuta meno. Biden con il G7 ed il vertice Nato di Bruxelles ha voluto ridefinire i rapporti con gli alleati in relazione ai nuovi equilibri politici che si stanno delineando successivamente alla crisi pandemica. Il ritorno dell’impegno diretto americano, che rappresenta una svolta rispetto alla politica dell’unilateralismo di Trump, ha l’obiettivo di ricompattare il fronte europeo nel contesto di una rinnovata leadership americana. Il rilancio delle relazioni atlantiche è dunque avvenuto in un clima di entusiasmo da parte dei paesi europei, già orfani del protettorato americano a causa della politica di disimpegno dalla Nato di Trump.

La UE è stata infatti concepita come un organismo sovranazionale economico – monetario interno ad una alleanza atlantica, estesasi all’Europa dell’est dopo la fine dell’URSS. La UE è una potenza economica che ha delegato la propria sicurezza alla Nato ed è quindi divenuta una entità geopolitica subalterna ed omologata alla potenza americana.

Tuttavia gli entusiasmi degli alleati europei sono stati presto delusi, dato che la svolta geopolitica di Biden, oltre ad un rinnovato multilateralismo dell’alleanza atlantica, prevede anche una ridefinizione del ruolo della Nato in funzione del contenimento della Cina e della Russia, che coinvolgerebbe anche gli alleati europei. Biden ha infatti prefigurato una cooperazione con le potenze militari europee, che implicherebbe il trasferimento delle flotte europee nel Pacifico, con l’obiettivo del contenimento della espansione economica, politica e militare della Cina.

La politica di ostilità antagonista verso Cina e Russia di Biden rispetto a Trump rimane immutata. E’ però mutata la strategia, in quanto Biden ha inaugurato una nuova politica multilaterale nei confronti degli alleati europei, con relativo coinvolgimento diretto dell’Europa nella geopolitica americana. Potremmo definire la politica di Biden con uno slogan: nuovo multilateralismo e vecchio imperialismo.

Non è una nuova Guerra fredda

In realtà il multilateralismo di Biden si configura come una “lega delle democrazie” a leadership americana contrapposta a Russia e Cina, quali potenze autoritarie. Ci si interroga dunque se tale contrapposizione tra le potenze mondiali rappresenti una riviviscenza della “Guerra fredda” scaturita dal bipolarismo USA – URSS successivamente al secondo conflitto mondiale. Tale ipotesi non sembra credibile. Infatti, dopo il tramonto dell’unilateralismo americano impostosi a seguito del crollo dell’URSS, con l’emergere di nuove potenze continentali quali la Russia, la Cina, l’India, l’Iran, il Sudafrica, è sorto un nuovo multilateralismo geopolitico caratterizzato dalla interdipendenza economica e finanziaria globale e da conflitti ed alleanze assai precarie e diversificate.

Inoltre, con la Guerra fredda si instaurò una contrapposizione tra l’Occidente liberal – democratico e i paesi del socialismo reale, quale scontro tra due sistemi politico – ideologici alternativi. Oggi, nel confronto degli USA contro Russia e Cina, i motivi ideologici appaiono assai più sfumati, in quanto il modello neoliberista si è imposto, anche se con marcate differenze, a livello globale. Lo scontro è dunque di natura essenzialmente geopolitica, connotato semmai da una cornice ideologica del tutto americana: democrazie contro autocrazie.

Lo stesso incontro tra Biden e Putin, prelude ad una politica americana di contenimento della Russia assai più morbido rispetto a quello nei confronti della Cina. Nel vertice Biden – Putin è emersa la volontà di ridurre le spese per gli armamenti, di pervenire ad una tregua nella guerra cibernetica, di concordare un impegno unitario per la lotta al terrorismo. Emerge chiaramente la volontà americana di adottare una politica meno ostile verso la Russia, onde scongiurare la formazione di un blocco unitario Mosca – Pechino contrapposto all’Occidente.

America is back

Appare evidente che la strategia di Biden non sia conciliabile con gli interessi europei. La Russia, tranne che per i paesi dell’est europeo, per Francia, Germania e Italia non costituisce una minaccia. E nemmeno nei confronti della Cina è ipotizzabile una netta contrapposizione europea allineata agli USA. La minaccia cinese è avvertita in Europa in tema di salvaguardia delle industrie strategiche, di penetrazione commerciale, di protezione dei dati sensibili, ma è impensabile che l’Europa possa privarsi della tecnologia cinese né che faccia venir meno i rapporti di import – export verso e dalla Cina. La stessa Gran Bretagna del post – Brexit, pur essendo allineata alle strategie americane nel Pacifico, non ha certo l’intenzione di privarsi dell’afflusso dei capitali cinesi alla borsa di Londra.

Ma soprattutto, questa estensione della presenza della Nato all’area del Pacifico, in funzione anti – cinese, condurrebbe ad ulteriori coinvolgimenti dell’Europa in nuovi potenziali conflitti americani. La storia recente dovrebbe aver reso edotti gli europei che le guerre espansionistiche americane, in Iraq, Afghanistan (conclusasi con il recente ritiro unilaterale degli USA), Libia, Siria, Ucraina, oltre a provocare devastazioni e stragi indiscriminate tra le popolazioni e sempre nuovi conflitti insanabili in varie aree del mondo, si siano sempre concluse con periodiche sconfitte dell’Occidente sul piano geopolitico e abbiano incrementato a dismisura la diffusione del terrorismo islamico, di cui l’Europa è stata il principale bersaglio.

Aggiungasi inoltre che gli investimenti europei hanno subito rilevanti perdite a seguito delle sanzioni imposte unilateralmente dagli USA alla Russia, all’Iran al Venezuela. Al riguardo così si esprime Massimo Fini nel suo articolo “Basta seguire il padrone USA”: “La lezione dell’Afghanistan non ci è bastata? Evidentemente no. Al G7 non s’è fatto altro che parlare di multilateralismo, di stretta alleanza fra “le due sponde dell’Atlantico”. Il “multilateralismo” non è altro che la conferma della sudditanza europea nei confronti degli Stati Uniti. Sudditanza di cui la Nato è stata strumento essenziale per mantenere l’Europa in uno stato di minorità, militare, politica, economica e alla fine anche culturale”.

Riguardo al multilateralismo americano, che Biden ha annunciato al vertice Nato di Bruxelles con lo slogan “America is back”, Lucio Caracciolo ha voluto precisare su “La Stampa”del 16/06/2021, che sarebbe errato tradurlo per gli italiani come “Mamma America è tornata”, in quanto il significato di tale slogan sarebbe: “Sulle cose che contano noi decidiamo, voi le applicate. Per il resto imparerete a cavarvela da soli. Non facciamo chirurgia ordinaria, ma solo salvavita”. Esiste una continuità di fondo tra la politica di Biden e quella di Trump: quella di Biden è una “America first” con altri mezzi.

Infatti le speranze dei vassalli europei circa un rinnovato impegno militare americano per la sicurezza dell’Europa sono state deluse.

Per gli USA, la priorità strategica è costituita dal contenimento della Cina, ma è assai meno rilevante quello nei confronti Russia e pertanto, non è previsto alcun piano di rafforzamento della Nato in Europa. Occorre inoltre rilevare che l’impegno dei paesi europei assunto con Trump e mai smentito da Biden, di destinare il 2% del Pil nazionale alle spese militari è stato del tutto disatteso. L’Europa non ha mai preso coscienza del mutamento delle strategie americane e non ha inoltre considerato che nell’attuale geopolitica mondiale, questa Europa, militarmente e politicamente succube degli USA, rappresenta solo una piattaforma geostrategica americana per l’espansione della Nato in Eurasia (progetto al momento rinviato). Tale ruolo geopolitico subalterno dell’Europa, è stato del resto confermato da quanto affermato da Draghi al vertice Nato di Bruxelles: “Una UE più forte significa una Nato più forte”. L’Unione europea sarebbe quindi concepibile solo all’interno di uno schieramento atlantico a leadership americana. Afferma a tal riguardo Alberto Negri in un articolo del “Manifesto” del 13/06/2021 da titolo “Il menù è solo americano, L’Europa non c’è”:“Che cosa ci guadagna l’Europa in questa «prospettiva» di rapporti con la Russia e la Cina non è per niente chiaro. Visto che tra l’altro l’Alleanza Atlantica viene dal ritiro in Afghanistan che non è stato sancito dai Paesi Nato ma dalle trattative degli americani in Qatar con i talebani. Gli europei non hanno deciso niente se non il giorno della cerimonia dell’ammainabandiera. Questo significa che gli Stati uniti quando c’è da stabilire qualche cosa lo fanno per conto loro e poi lo comunicano agli altri che devono trangugiare il loro menù, che piaccia o meno”.

Quale contropartita per l’Europa?

Nel contesto di questo rinnovato multilateralismo americano, che comporterebbe il coinvolgimento dell’Europa nelle strategie globali americane, è lecito chiedersi quale sia la contropartita che gli USA intendano corrispondere all’Europa in cambio della condivisione degli obiettivi geopolitici americani.

Per quanto concerne la auspicabile rimozione della politica protezionista promossa da Trump, Biden ha concluso con l’Europa un accordo di tregua riguardo alla disputa Airbus – Boeing, mentre in merito alla guerra dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, la situazione resta immutata. Analogamente permangono le divergenze tra USA e UE sui brevetti dei vaccini che gli americani vorrebbero abrogare e gli europei (in primis la Germania), vorrebbero mantenere.

Riguardo l’opposizione americana alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2 (che, secondo gli americani, renderebbe l’Europa dipendente dalla Russia per l’energia), con cui il gas russo dovrebbe affluire direttamente in Europa, le sanzioni sono state per ora soltanto sospese, ma l’ostilità americana resta immutata. La UE vuole imporre dazi sui beni ad alto uso di carbone, ma la contrarietà americana è ben nota.

Ma i dissensi più rilevanti riguardano i rapporti economici tra l’Europa e la Cina. L’economia europea è legata alla Cina nei settori dell’innovazione tecnologica, delle telecomunicazioni, delle tecnologie per la rivoluzione verde, dei chip necessari per i prodotti ad alto valore aggiunto, quali la telefonia e le auto. Pertanto, se gli USA perseguono una strategia volta a svincolare l’Europa dalla Cina e dalla Russia, dovrebbero offrire alternative credibili.

Gli USA rimangono comunque contrari ad intervenire in favore dell’Europa nella crisi libica, al fine di contrastare i disegni espansionistici della Turchia di Erdogan.

Dovrebbero inoltre promuovere piani di investimento in Europa.

Tuttavia nel corso del G7 è stato concluso solamente un accordo per l’erogazione di 40.000 miliardi di dollari ai paesi più arretrati. Non si sa però come potranno essere reperiti tali fondi, dato che sia gli USA che gli stati europei sono impegnati a impiegare le loro risorse per la ripresa economica post pandemica. Biden ha annunciato inoltre la possibilità di nuovi accordi commerciali tra l’Europa e gli USA sostitutivi della Via della seta, ma per ora resta un’ipotesi del tutto teorica. Tali accordi potrebbero essere una riproposizione del Trattato transatlantico già promosso ai tempi di Obama, che prevedeva l’abbattimento delle barriere commerciali tra USA ed Europa, con relativa abrogazione delle legislazioni degli stati ritenute non compatibili con il libero mercato, comprese le norme riguardanti la sanità e la sicurezza alimentare. Tale trattato, con grande sollievo per noi europei, non è mai venuto alla luce e non sono ipotizzabili tutt’ora accordi con gli USA che consentano l’import in Europa di prodotti farmaceutici e agroindustriali che non rispettino gli standard di sicurezza sanitaria e agroalimentare previsti dalle normative europee.

Le reazioni europee e il filo americanismo di Draghi

Le reazioni europee alla strategia del multilateralismo di Biden non si sono fatte attendere.

La Merkel ha espresso il proprio dissenso, dichiarando che gli USA e la Germania hanno una diversa percezione della pericolosità della penetrazione cinese e della aggressività della Russia.

Macron, pur ribadendo la fedeltà della Francia alla Nato, ha affermato che la Cina non è nell’Atlantico e pertanto si è dichiarato contrario ad una estensione dell’area di influenza della Nato nel Pacifico.

Per quanto riguarda l’Italia, Draghi ha invece dichiarato il proprio assenso alla politica di Biden di contrapposizione alla Cina. Tale pronunciamento dunque, potrebbe condurre a mutamenti sostanziali della politica estera italiana, che comporterebbero l’abrogazione del memorandum sottoscritto dall’Italia con la Cina, riguardo alla Via della seta.

La posizione filoamericana assunta da Draghi, potrebbe essere finalizzata ad ottenere il sostegno americano nella crisi libica, che coinvolge in modo determinante gli interessi italiani. Russia e Turchia, anche se su fronti contrapposti, si sono insediate in Libia, a seguito del disimpegno americano in Nordafrica e Medio Oriente. Ma gli USA non intendono impegnarsi per contrastare le mire espansionistiche turche nel mediterraneo e la UE non vuole e non è comunque in grado di opporsi ai disegni neo ottomani di Erdogan. Pur essendo prevedibile nel prossimo futuro una escalation della penetrazione politica, militare e religiosa della Turchia in Europa, che potrebbe assurgere al ruolo di paese guida dell’Islam sunnita, come lo fu la Turchia ottomana.

La Turchia è comunque un membro della Nato, la cui posizione strategica è essenziale nella politica di contrapposizione americana alla Russia. E’ stata recentemente approvata dal parlamento turco la costruzione del “Canale Istambul”, una infrastruttura di collegamento tra il Mar Nero e il Mar di Marmara.

Un canale di collegamento parallelo al Bosforo per l’accesso al Mar Nero.

Il transito per il Bosforo è regolato dalla Convenzione di Montreux del 1936. Tale trattato garantisce libero il transito delle navi mercantili attraverso il Bosforo, ma quello delle navi militari dei paesi non prospicienti il Mar Nero è soggetto a restrizioni. E’ previsto che le navi militari dei paesi terzi non superino le 15.000 tonnellate singolarmente e le 45.000 tonnellate come flotta. Inoltre, tali navi militari non possono stazionare nel Mar Nero per oltre 21 giorni.

Il “Canale di Istambul” non sarebbe però soggetto a tale trattato.

Pertanto Erdogan potrebbe consentire l’insediamento della flotta della Nato nel Mar Nero in funzione antirussa. Erdogan quindi potrebbe concedere agli USA l’accesso al Mar Nero della Nato in cambio dell’assenso americano ad una politica egemonica della Turchia nel mediterraneo.

Dinanzi a tale prospettiva, è del tutto assurdo sperare in un sostegno americano anti – turco in Libia a favore dell’Italia.

Il multilateralismo americano non si tradurrà in un nuovo accordo tra le due sponde atlantiche, ma si rivelerà una resa senza condizioni dell’Europa nei confronti degli USA.

L’Occidente non è un modello di valori universale

Il confronto tra gli USA e Russia – Cina assume peraltro anche una valenza ideologica, quale difesa dei valori dell’Occidente democratico a fronte della aggressività delle autocrazie russa e cinese.

Innanzi tutto occorre rilevare che l’Occidente non è un blocco unitario e che il nuovo multilateralismo di Biden non farà che accrescere in Europa le fratture interne agli stati e fra gli stati stessi. Esiste inoltre uno squilibrio macroscopico tra la potenza americana e i suoi alleati europei che comporta, come conseguenza, che tale multilateralismo sussista nella misura in cui gli alleati si adeguino ai diktat della leadership americana, altrimenti sarebbe l’unilateralismo americano a prevalere. La leadership USA è, per sua natura, ostile al coinvolgimento degli interessi degli alleati nella geopolitica americana.

Gli stati dell’Occidente democratico sono inoltre dilaniati da contrapposizioni interne insanabili (in primis gli USA) che in futuro potrebbero incidere sulla unità e la sussistenza stessa degli stati.

Pertanto, l’unitarietà e la continuità della politica estera degli stati dell’Occidente sono diventate incerte e problematiche. L’imporsi del modello neoliberista ha esautorato progressivamente le istituzioni politiche dalle loro prerogative primarie, con la devoluzione nella UE della stessa sovranità degli stati ad organismi sovranazionali tecnocratici ed oligarchici non elettivi. Le elites finanziarie prevalgono sulle istituzioni, generando diseguaglianze sociali e conflittualità insanabili interne agli stati e tra gli stati stessi. La rappresentatività democratica così come la sovranità popolare è ormai venuta meno, la governabilità degli stati è esercitata da maggioranze labili ed eterogenee o da governi di unità nazionale: il modello economico e politico della liberaldemocrazia occidentale versa in una crisi strutturale irreversibile.

La decadenza delle istituzioni democratiche ha provocato anche la progressiva dissoluzione dei valori etici e culturali dell’Occidente.

Non può sussistere la democrazia in una società dominata da poteri oligarchici estranei alla volontà popolare. Sul tema della dissoluzione dei valori democratici dell’Occidente, così si esprime Andrea Zhok in un articolo dal titolo “La difesa dei nostri valori”:

“Di quali “valori occidentali” dovremmo parlare infatti?
Democrazia? Eguaglianza? Libertà di pensiero?
Rivendicare i valori della democrazia in paesi dove metà della popolazione non va più a votare, dove l’indifferente omogeneità della scelta politica non permette di immaginare nessuna alternativa, e dove l’influenza diretta del capitale privato sulla politica è sfacciata, suona imbarazzante.
Rivendicare i valori dell’eguaglianza in paesi in cui dinastie ereditarie di superricchi vanno in televisione a spiegare alla plebe che deve affrontare con coraggio le sfide del mercato sembra più
una gag comica, che una convincente rivendicazione di valori comuni.
Rivendicare i valori della libertà di pensiero in paesi dove i media sono occupati militarmente dai detentori di capitale, facendovi da portavoce, e dove per poter parlare senza censure la gente si sposta su social media russi (sic!), ecco anche questa sembra più una presa per il culo che un argomento serio.
La semplice verità è che i “nostri valori”, quelli che saremmo chiamati tutti coraggiosamente a difendere, sono in effetti i valori depositati in banca dai maggiori stakeholders dei paesi occidentali, un’élite transnazionale, domiciliata in paradisi fiscali, disposta a fare a pezzi e vendere al miglior offerente qualsiasi cosa: storia, cultura, affetti, dignità, territori, persone, salute.
E noi, plebei spossessati e piccola borghesia affannata, siamo preallertati per una futura chiamata alle armi in loro difesa”.

L’Occidente non costituisce un modello democratico universale, né un sistema di valori etici credibile. Sono note a tutti le conseguenze disastrose di 20 anni di esportazione armata dei diritti umani e dei valori della liberal democrazia occidentale contro gli “stati canaglia”, rei di non essersi assoggettati al dominio americano.

E’ anzi prevedibile una deriva autoritaria dell’Occidente, così come prefigurata dalla pianificazione neoliberista globale del “Grande Reset”. Infatti si vuole instaurare una struttura economica e politica autoritaria in Occidente in grado di contrapporsi alla efficienza e alla funzionalità del capitalismo autoritario cinese, dimostratosi tanto più efficiente dell’Occidente al punto di insidiare il primato della potenza americana.

Il neoliberismo della IV rivoluzione industriale non renderà democratico l’Oriente della Cina, ma farà divenire totalitario l’Occidente stesso.