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Una lettera sul movimento dei gilet gialli

di Jean Claude Michéa - 27/11/2018

Una lettera sul movimento dei gilet gialli

Fonte: Voci dall’Estero

Il filosofo francese Jean Claude Michéa  scrive una lettera aperta sul movimento dei gilet gialli, da lui apprezzato e sostenuto come un autentico movimento popolare che spontaneamente parte dal basso contro le politiche liberiste degli ultimi quarant’anni. Nonostante l’ottusa ostilità degli intellettuali di sinistra ecologisti e libertari e dei cani da guarda mediatici, e nonostante la cinica determinazione del governo, questo movimento, avverte Michéa, non è che l’inizio.

 

Cari amici,

 

Solo poche parole molto concise e lapidarie – perché qui siamo presi dai preparativi per l’inverno (tagliare la legna, piante e alberi da pacciamare ecc). Io sono ovviamente d’accordo con tutti i vostri commenti, come con la maggior parte delle tesi espresse su Luoghi comuni (solo l’ultima affermazione mi sembra un po’ debole a causa del suo “occidentalismo”: una vera cultura di emancipazione popolare esiste anche, naturalmente, in Asia, Africa o America Latina!).

 

Il movimento dei “gilet gialli” (un buon esempio, a proposito, di quella creatività popolare di cui parlavo nei Misteri della sinistra) è, in un certo senso, l’esatto opposto di “Nuit Debout“. Questo movimento, semplificando, è stato infatti il primo tentativo – incoraggiato da gran parte della stampa borghese e dal “10%” (vale a dire, quelli che sono deputati ad essere, o si preparano a diventare, la leadership tecnica, politica e “culturale” del capitalismo moderno) – di disinnescare la critica radicale al sistema, concentrando tutta l’attenzione politica su quell’unico potere (seppur decisivo) rappresentato da Wall Street e dal famoso “1%”. Una rivolta quindi di quei metropolitani ipermobili e ultraqualificati (anche se una piccola parte delle nuove classi medie comincia a conoscere, qua e là, una certa “precarizzazione”) che costituiscono, dall’era Mitterrand, il principale vivaio per la classe dirigente di sinistra ed estrema sinistra liberale (e in particolare dei suoi settori più apertamente contro-rivoluzionari e anti-popolari: Regards, Politis, NP“A”, Université Paris VIII, ecc). Qui, al contrario, sono quelli che vengono dal basso a ribellarsi (come analizzato da Christophe Guilluy – tra l’altro stranamente assente, fino ad ora, da tutti i talk show televisivi, a vantaggio, tra gli altri comici, del riformista sub keynesiano Besancenot), i quali hanno già una coscienza rivoluzionaria sufficiente a rifiutarsi di dover ancora scegliere tra sfruttatori di sinistra e sfruttatori di destra (d’altronde è così che Podemos ha avuto inizio nel 2011, prima che i Clémentine Autain e i Benoît Hamon riuscissero a seppellire questo promettente movimento allontanandolo gradualmente dalla sua base popolare).

 

Per quanto riguarda l’argomento degli “ambientalisti” di corte – coloro che preparano questa “transizione energetica” che consiste principalmente, come ha mostrato Guillaume Pitron in La guerre des métaux rares: La face cachée de la transition énergétique et numérique, nel delocalizzare l’inquinamento dei paesi occidentali nei paesi del Sud – argomento secondo cui questo movimento spontaneo sarebbe portato avanti da quelli che hanno l'”ideologia della automobile” e da “tizi che fumano sigarette e viaggiano a diesel”, è tanto assurdo quanto disgustoso e immondo: è chiaro, infatti, che la maggior parte dei gilet gialli non prova nessun piacere a dover prendere ogni giorno l’auto per andare a lavorare a 50 km da casa, per andare a fare la spesa nell’unico centro commerciale esistente nella sua regione e in genere situato in piena campagna a 20 km di distanza, o per fare una visita dall’unico medico che non è ancora in pensione e il cui studio si trova a 10 km dalla sua abitazione. (Prendo questi esempi dalla mia esperienza nelle Landes! Ho anche un vicino di casa che vive con 600 euro al mese e deve calcolare sino a quale giorno del mese può ancora andare a fare la spesa a Mont-de-Marsan, senza fermarsi in mezzo alla strada, a seconda della quantità di diesel – il carburante dei poveri – che può ancora comprare). Scommettiamo invece che sono i primi a capire che il vero problema sta precisamente nell’attuazione sistematica, per 40 anni,da parte dei successivi governi di destra e di sinistra, del programma liberale che ha a poco a poco trasformato il loro villaggio o il loro quartiere in un deserto sanitario, privo di qualsiasi centro di rifornimento di generi di prima necessità, e dove la prima azienda ancora in grado di offrire qualche posto di lavoro mal retribuito si trova a decine di chilometri di distanza (se ci sono dei “progetti per le periferie” – e questo è un bene – non c’è ovviamente mai stato nulla di simile per questi villaggi e cittadine – dove vive la maggior parte della popolazione francese – ufficialmente destinati all’estinzione dal “senso della storia” e dalla “costruzione europea”!).

 

Ovviamente non è l’auto in quanto tale – quale “segno” della loro presunta integrazione nel mondo del consumo (non sono né lionesi né parigini!) – che i gilet gialli oggi difendono. È semplicemente che la loro auto diesel usata di seconda mano (che la Commissione europea sta già cercando di togliergli inventando continuamente nuovi “standard tecnici di qualità”) rappresenta la loro ultima possibilità di sopravvivenza, vale a dire di avere una casa, un lavoro e di che sfamare se stessi e le loro famiglie nel sistema capitalista di oggi, che avvantaggia sempre di più i vincitori della globalizzazione. E dire che è innanzitutto questo cherosene “di sinistra” – quello che naviga di aeroporto in aeroporto a portare nelle università di tutto il mondo (e in tutti i “Festival di Cannes”) la buona parola “ecologista” e “associativa” che osa dar loro lezioni! Decisamente, quelli che non conoscono altro che i loro poveri palazzi metropolitani non avranno mai un centesimo della decenza che oggi si può ancora trovare nei casolari poveri (e di nuovo, è la mia esperienza nelle Landes che parla!).

 

L’unica domanda che mi pongo è fino a che punto può arrivare un simile movimento rivoluzionario (movimento che non è estraneo, nella sua nascita, nel suo programma unificante e nella modalità della sua evoluzione, alla grande rivolta del Sud del 1907) nelle tristi condizioni politiche quali sono oggi le nostre. Perché non dobbiamo dimenticare che ha davanti a sé un governo thatcheriano di sinistra (il consigliere principale di Macron è Mathieu Laine – un uomo d’affari della City di Londra che ha curato la prefazione alle opere della strega Maggie tradotte in francese), vale a dire un governo cinico e senza paura, che è chiaramente pronto – ed è questa la grande differenza con tutti i suoi predecessori – ad arrivare ai peggiori estremi pinochettiani (come Maggie con i minatori gallesi o gli scioperi della fame irlandesi) per imporre la sua “società dello sviluppo” e questo potere antidemocratico dei giudici, ora trionfante, che ne è il necessario corollario. E, naturalmente, senza avere nulla da temere, su questo piano, dai servili media francesi. Dobbiamo ricordare, infatti, che ci sono già tre morti e centinaia di feriti, alcuni dei quali in condizioni molto critiche. Se la memoria non mi tradisce, bisogna risalire al maggio del ’68 per trovare un costo umano paragonabile a quello di queste manifestazioni popolari, almeno sul terreno metropolitano. Eppure, la copertura mediatica data a questo fatto sconvolgente è, almeno per il momento, adeguata a un dramma di questa portata? E cosa avrebbero detto i cani da guardia di France Info se questo bilancio (provvisorio) fosse stato causato, ad esempio, da un Vladimir Putin o da un Donald Trump?

 

Infine, ultimo ma non meno importante, soprattutto non dobbiamo dimenticare che se il movimento dei gilet gialli guadagnasse ancora terreno (o se mantenesse, come adesso, il sostegno della stragrande maggioranza della popolazione), lo Stato Benalla-Macroniano non esiterà un momento a inviare i suoi Black Bloc e tutta la sua “Antifa” (come le famose “Brigate rosse” dei vecchi tempi) per screditarlo con qualsiasi mezzo, o orientarlo verso un’impasse politica suicida (abbiamo già visto, per esempio, come lo stato macroniano è riuscito in poco tempo a privare l’esperienza Zadista di Notre-Dame-des-Landes del suo sostegno popolare originale). Ma anche se questo movimento coraggioso dovesse temporaneamente venire interrotto dal PMA (Parti des médias et de l’argent), nel peggiore dei casi significherà che si è trattato solo di una prova generale e dell’inizio di una lunga battaglia. Perché l’ira che viene dal basso (sostenuta, devo ripeterlo ancora una volta, dal 75% della popolazione – e quindi logicamente stigmatizzata dal 95% dei cani da guardia mediatici) non ripiegherà, semplicemente perché la gente non ne può più e non ne vuole più sapere. Il popolo è decisamente in movimento! E a meno che non se ne elegga un altro (secondo il desiderio di Eric Fassin, questo agente d’influenza particolarmente attivo della famosissima French American Foundation), non è pronto a rientrare nei ranghi. Che le Versailles di sinistra e di destra (per usare le parole dei proscritti della Comune rifugiati a Londra) lo tengano per certo!

 

Con grande amicizia,