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Italia-Cina e ritorno

di Alessandro Iacuelli - 05/04/2007

 

Che i traffici di merci e rifiuti tra Italia e Cina prosperino, non è certo una novità, né tantomeno la cosa dovrebbe meravigliare: dopo l'innalzamento della guardia, avvenuto negli anni '90, nei confronti delle rotte transfrontaliere illecite verso l'Africa, è l'Asia il nuovo terminale dei traffici marittimi di rifiuti, scorie, veleni. Stavolta, secondo gli agenti della squadra mobile di Roma, quello che è venuto alla luce è un traffico di rifiuti industriali. Con l'intervento dell'Ufficio Antifrode centrale dell'Agenzia delle Dogane sono state eseguite 88 perquisizioni in tutta Italia, e ne è emerso che discrete quantità di rifiuti industriali prodotti in Italia, invece di essere smaltiti, venivano esportati in Cina. Sembrerebbe non esserci nessuna novità, d'altronde si tratta di poche tonnellate di materiali sequestrati, che appaiono ben poca cosa rispetto ai 6 milioni di tonnellate smaltite in Campania negli ultimi 20 anni, o alla quantità incalcolabile - sempre in milioni di tonnellate - di scorie mandate in tutta l'Africa nell'arco di un secolo. Eppure, a guardare bene, una novità c'è.

Infatti, mentre l'Africa è considerata la tomba finale di scorie chimiche e radioattive e dei rifiuti della produzione industriale altamente tossica dell'opulento occidente, la Cina non svolge affatto il ruolo di cimitero delle scorie. I materiali esportati dall'organizzazione appena sgominata a Roma, giungevano in Cina, dove prima venivano lavorati e poi reintrodotti in Italia come derivati degli stessi rifiuti per essere destinati, in particolare, a fabbriche di materiali plastici. In pratica, uscivano dalla finestra per rientrare regolarmente dalla porta.

L'inchiesta, avviata un anno fa, è stata condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, il traffico di rifiuti industriali era possibile soprattutto grazie alla collusione di imprenditori italiani, in particolare del settore delle spedizioni internazionali.
Così, pochi giorni fa, sono scattate perquisizioni a Roma e provincia, a Napoli, Frosinone, Pescara, Milano e Catania. I reati ipotizzati, secondo le diverse posizioni, sono contrabbando, introduzione in Italia di merci con marchi contraffatti, falso materiale e ideologico; numerosi sono anche i reati doganali contestati. I rifiuti venivano trasferiti dall'Italia alla Cina in normali container, in partenza dal porto di Napoli, che ancora una volta si è rivelato lo snodo nevralgico di un traffico internazionale.

I materiali sequestrati sono di diverse categorie merceologiche. Due tonnellate di rifiuti industriali, di tipo plastico, anche tossici, sei tonnellate di rame. Sequestrati dieci capannoni tra la zona Prenestina e Guidonia, un negozio nella centrale via Principe Amedeo. Nelle mani degli investigatori è finita anche una gran quantità di documentazione contabile sul traffico illecito internazionale di rifiuti in uscita dal Paese e del loro rientro, sotto forma di materia prima, dalla Cina. Sono complessivamente una quarantina gli indagati. I proprietari dei capannoni, ma anche alcuni noti spedizionieri doganali di Napoli, oltre a diverse persone di nazionalità cinese.

L'accumulo di rifiuti tossici in Italia e il relativo trasporto verso la Cina configurano il reato di inquinamento ambientale. Secondo quanto si è appreso, in Italia venivano stoccati, in specifici capannoni, materiali destinati allo smaltimento secondo particolari procedure, come contatori elettrici, computer, circuiti e materiale elettrico generico. Tutti spediti illecitamente in Cina via mare, dove venivano trasformati in plastica, bachelite e policarbonati. Questi, una volta in Italia, venivano rivenduti come materie prime a specifiche fabbriche che le utilizzano per le loro attività produttive. Numerose campionature di queste “materie prime seconde” sono state trovate e sequestrate insieme con circa 10 mila euro in contanti.

Questo è quanto scoperto, ma è una punta d'iceberg. Resta un "sommerso" di cui forse non si immagina neanche la mole. Dopo gli scandali delle "navi dei veleni" nel Mediterraneo, delle vecchie carrette del mare affondate di proposito con il loro carico di scorie, dopo l'omicidio di Ilaria Alpi, che ha portato allo scoperto i traffici di rifiuti chimici e radioattivi verso l'Africa, oggi quantità sempre più ingenti di rifiuti industriali e tossici salpano dai principali porti europei per approdare al
pericoloso mercato cinese del riciclo di materie prime.
Questo non significa che i traffici transfrontalieri verso l’Africa siano finiti (la recente catastrofe di Abdjan ne è la prova) ma sono sostanzialmente ridotti rispetto a 15 o 20 anni fa, limitati a carichi di sostanze che non hanno più alcun utilizzo o alcun riciclo, sostanze che pertanto non sono più in grado di generare economia, profitti, vendite. Tutto ciò che invece può essere trattato e immesso ancora nel mercato, anche se con rischio per la salute pubblica, ha trovato la via dell’Asia.

Le ultime stime dell’Ue parlano di 11 milioni di tonnellate annue di rifiuti elettronici da smaltire. E sono i porti asiatici, Hong Kong in testa, le mete privilegiata dei container provenienti dal mondo ricco e industrializzato dell'Europa, degli Stati Uniti e del Giappone.