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Cenni di analisi della crisi attuale

di Carmelo R.Viola - 31/03/2009

Fonte: cpeurasia

 

Analisi e possibili soluzioni sulla strada della sovranità monetaria.


 

Premesse

1 - Il sistema capitalistico ripete in veste antropico-surrettizia la pulsione predatoria della foresta e pertanto è normale che ci siano vincitori e vinti.

2 - L’impresa capitalistica è costituita da uno o più uomini di affari che cercano di depredare altre imprese: ciò avviene producendo e facendo acquistare non importa quale prodotto. Per fare ciò l’impresa è costretta a servirsi del lavoro di qualcuno, ovvero di acquistare lavoro: è questo improprio “dare lavoro” l’effetto secondario dell’impresa che le conferisce un merito del tutto gratuito ed ipocrita.

3 - L’impresa sta tra l’investire (usare un certo capitale-forza) e il competere (usare ogni mezzo a propria disposizione: pubblicità ed altro, per superare altre imprese o riuscire a stabilire un equilibrio). In ogni caso essa si appropria di una parte della ricchezza prodotta dai fornitori di lavoro e da questo deriva l’accumulo di ricchezza parassitaria: la prospettiva unica e inconfessabile di ogni uomo di affari che si rispetti.

4 - Si dice che un Paese goda di buona salute quando il grosso delle sue imprese gode di buona salute indipendentemente dal processo di fagocitazione delle piccole imprese da parte delle grandi (vedi esercizi tradizionali da parte dei supermercati e simili) e dall’esistenza della disoccupazione, dei poveri fino all’indigenza, dei maloccupati, delle differenze abissali senza meriti né colpe sin dalla nascita e della criminalità, comune e mafiosa, che costituisce il corollario di attributi di ogni Paese capitalista.

5 - L’impresa è assistita dal credito della “piovra bancario-usuraia”, che esercita la sovranità monetaria, sottratta allo Stato, cioè la facoltà di coniare moneta vera, assieme alla facoltà di metterne in circolazione (anche senza misura) di altra detta simbolica. Quando si dice fare moneta dal nulla!

6 - La crisi consiste non nella comparsa degli attributi sopra elencati ma solo nella perdita della stabilità del grosso delle imprese, perdita che si traduce in aumento degli attributi stessi.

7 - La crisi può essere fisiologica ed eterògena, nazionale ed internazionale. La crisi è essenziale quando dipende dalla saturazione consumistica della merce venduta. E’ il caso della Fiat, che è praticamente un’impresa esaurita come una cartuccia sparata. La politica d’incentivazione da parte dello Stato corrisponde ad un accanimento terapeutico per fare vivere un uomo morto! E’ fisiologica quando dipende dalla concorrenza, nella quale entra anche il “gioco del credito”.

8 - Il liberismo globale significa tutta la produzione e tutti i servizi in mano al privato e imprese senza frontiere nazionali.

9 - Il privato, il bancario e il globale messi insieme sono tre fattori interattivi che possono produrre crolli nazionali e crisi internazionali di notevole entità specie per effetto del “gioco del credito”, che ha facoltà impensabili.

10 - La crisi è sempre una crisi di imprese – e non di imprenditori -  e questo è la prova del nove che le stesse non esistono per servire il popolo ma si servono del popolo: il bene e il male che ne deriva sono riflessi della loro attività.

Fatto

E’ in atto una crisi internazionale. Agli attributi (quantitativamente variabili ma essenzialmente costanti) si sono aggiunti: a) un aumento degli stessi; b) un rialzo dei prezzi; c) un conseguente ribasso del potere di acquisto; d) un disastro del credito. Il tutto è ovvio: l’impresa vende meno, produce meno, riduce il personale. La riduzione del personale induce la gente ad accorgersi anche della preesistente disoccupazione. Chi vende meno non può rifarsi vendendo sotto costo, piuttosto preferisce eliminare i prodotti, ma, se può vende più caro ed ottiene l’effetto contrario. C’è una serie di circoli viziosi. Che i prodotti cinesi, con o senza i tributi al fisco italiano, siano spesso più appetibili dei nostri, e magari altrettanto buoni – se non migliori -  è naturale. Ho fatto l’esperienza personale.  E’ strano che ci si preoccupi e si cerchi una motivazione nell’illecito: se la concorrenza è globale, è naturale che un’impresa nostra venga “depredata” anche da un’impresa straniera e che uno Stato superi un altro. E’ stato ridicolo cercare di salvare l’italianità di un’Alitalia in un contesto globale! E’ ben evidente il “riassetto fagocitario” delle banche italiane, le poche e maggiori delle quali hanno assorbito tutte le altre.

Nella crisi internazionale attuale predomina lo strapotere della “piovra bancario-usuraia”. In altre parole, alcune banche, specie americane, hanno strafatto, abusando dei propri poteri, ritrovandosi senza sufficiente danaro contante (liquidità) per far fronte alle richieste di varie imprese che sono state costrette a ridurre la propria produzione. In una (sedicente) economia globale, basata sull’elemento non economico della concorrenza predatoria, l’unico fatto funzionante è appunto l’interattività: il ripercuotersi dell’instabilità da una banda all’altra di un mondo legato da costanti scambi di prodotti.

Quale soluzione

Il liberismo globale non è solo l’estremizzazione selvaggia del capitalismo: con la sua globalizzazione è anche il limite della paranoia. Lo Stato, non solo diventa una creatura della piovra bancario-usuraia ma è chiamato a rispondere delle follie di questa, come sta avvenendo negli Usa dove danaro del popolo va a salvare aziende bancarie, i cui titolari dovrebbero semplicemente essere tradotti in un carcere o quanto meno in un istituto di rieducazione sociale. A dispetto del comprensibile ottimismo di chi possiede mezzo mondo, come il padron Berlusconi, che ha la bontà di sorridere a gente che, in cuor suo considera ancora dei cafoni per destino divino (sic), la situazione peggiorerà per chi vive di solo lavoro o ne è privo. Davanti a cotanto sfacelo, un Tremonti, servitore del sistema, ha avuto il coraggio di pensare ad una nazionalizzazione della Banca d’Italia. Secondo la biologia del sociale l’idea è ottima ma potrebbe essere solo il primo atto di una “rivoluzione incruenta”, capace di salvare la civiltà prima che la stessa “imploda” per saturazione di caos e di conflittualità.

Nazionalizzare Bankitalia dovrebbe significare anzitutto riprendere la “sovranità monetaria”, quindi eliminare il debito pubblico e ridurre il fisco a interventi simbolici come i cinque copeki che i sovietici pagavano per avere tutti i servizi,  acqua calda compresa. Che la zecca “pubblica aumenti la massa monetaria in circolazione è vero esattamente come quella “privata”. Gli effetti che seguono alla cancellazione della inutile rete bancaria e alla fondazione di un Ministero della Moneta, capace di avocare a sé ogni problema finanziario, sono la possibilità di cancellare la ridicola motivazione della “mancanza di fondi”, la possibilità di non abbandonare nessun cittadino a sé stesso, la possibilità di rientrare progressivamente nel circuito produzione-vendita (di beni e di servizi) per riprendere parte della liquidità e gestire i prezzi secondo una scaletta scientifico-statistica di valenze di costume e di salute. Ma anche al meglio non c’è fine. Naturalmente, questa ripresa presuppone anche una rivalutazione del locale e del nazionale, come punto di partenza. Fino a che punto pensa di potere arrivare Tremonti?