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Crescite abnormi, Spagna e Irlanda...

di The Advisor - 01/04/2009

 
 
Spagna e Irlanda sono due dei Paesi che condividono la moneta unica europea e la loro storia recente ha dei lati in comune. Negli anni scorsi, infatti, sono stati additati ad esempio per crescita e prospettive, al punto che parevano avviati verso un futuro sereno e ben più florido dell'Italia. Eppure, la recente crisi sembra aver messo più in difficoltà loro che noi italiani. La crescita che i due Paesi avevano avuto negli scorsi anni, infatti, si è rilevata sempre più effimera in quanto basata su situazioni contingenti.

La Spagna era cresciuta molto basando la propria crescita sulla bolla immobiliare che ha portato ad accrescere a dismisura i valori del Paese stesso. L'Irlanda, invece, ha potuto godere di contributi europei al di fuori della norma, che hanno prodotto anch'essi una forzatura verso l'alto del PIL del Paese.

La crisi attuale ha dimostrato che crescite abnormi legate a situazioni particolari, e comunque slegate da un adeguato aggancio all’economia reale, rendono effimeri i guadagni di posizione, essendo questi ultimi costruiti su basi non solide ma eminentemente contabili. È il caso di Spagna e Irlanda, che in questo momento si trovano entrambi in una posizione di notevole difficoltà. I recenti dati spagnoli ci offrono la visione di un Paese che rischia addirittura la deflazione, visto che è il primo Paese europeo a presentare un dato statistico di questo tipo.

È vero che per poter parlare di deflazione in senso tecnico occorre avere delle rilevazioni che colgono questo aspetto per più mesi, ma intanto è la prima volta che si sente parlare di deflazione alla luce di una statistica ufficiale. Se si assomma il dato relativo alla disoccupazione, arrivato al 13% ed equivalente a una massa dei senza lavoro che ormai si avvia a toccare i 4 milioni di unità, ecco che il quadro diventa più che mai allarmante. Nel Paese manca liquidità e prima dell'autunno, almeno, appare pressoché impossibile una svolta.

Quanto all'Irlanda, c'è stato il temuto declassamento da parte di Standard & Poor's, che ha abbassato il rating del Paese da AAA ad AA+. È un primo segnale, ma se lo si assomma agli avvertimenti che le altre due agenzie di rating, Moody's e Fitch, hanno dato abbassando l'outlook da stabile a negativo la tendenza si trasforma in un dato di fatto.

Le finanze pubbliche sotto il peso della recessione fanno paventare un deficit fuori controllo e fanno perdere all’Irlanda quella posizione di privilegio che le aveva consentito, fin dal 2001, di collocare i titoli del proprio debito pubblico tra i “top rating”. Al momento, inoltre, non si vedono interventi possibili data anche la forte contrazione del momento: insomma, eventuali cure draconiane rischierebbero di uccidere il malato.

Proprio ieri, intanto, il Presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Junker, intervenendo al Parlamento Europeo, parla esplicitamente di "crisi dell'occupazione drammatica". Una crisi, ha aggiunto, che "avrà conseguenze estremamente negative anche sul fronte delle finanze pubbliche ed effetti negativi sulla crescita potenziale dell'economia della zona euro che inevitabilmente diminuirà". Lo stesso Junker pur escludendo che si ponga il rischio che anche solo un singolo Paese lasci l'area euro o risulti insolvente, ritiene che la crisi occupazionale in atto sia così grave da poter mettere a rischio la coesione sociale.

In un quadro così deteriorato e potenzialmente ancor più deteriorabile, in caso di aggravarsi della crisi, sembrano sempre più a maggiore rischio proprio quei Paesi che non hanno alla base realtà industriali solide ma che, per un motivo o per l'altro – e non ci riferiamo solo a Spagna o Irlanda ma anche, ad esempio, all'Inghilterra – hanno basato la propria crescita su assets distanti da valori economici legati alla cosiddetta "economia reale".