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La ricetta Usa contro la crisi? "Una strada per l'inferno"

di Enrico Piovesana - 02/04/2009

Londra si prepara al summit dei G20 di stamattina in un clima di tensione che ricorda quello che precedeva il tragico G8 di Genova del 2001. Le autorità danno per scontati violenti disordini in occasione delle proteste del movimento no-global e anti-capitalista che scenderà in piazza con lo slogan "Assalta le banche!". Un esercito di almeno 10 mila agenti antisommossa è pronto a fronteggiare i manifestanti che sfileranno nella capitale britannica.

Usa ed Europa su posizioni diverse. Una vigilia di tensione non solo per il timore di violenze, ma questa volta anche per i profondi dissensi emersi tra gli stessi 'grandi' sulle ricette per uscire dalla crisi. Mentre gli Stati Uniti - assieme alla Gran Bretagna - puntano tutto sui piani statali di stimolo e di salvataggio, l'Europa continentale - Germania in testa - chiede nuove regole per i mercati finanziari e mette in guardia contro i rischi dell'approccio Usa, definito addirittura "una strada per l'inferno" dal presidente di turno dell'Unione europea, Mirek Topolanek. Secondo i leader del vecchio continente, l'enorme indebitamento pubblico necessario a finanziare piani anti-crisi 'all'americana' getta le basi di una futura crisi ancor più catastrofica di quella attuale.

Il rischio del super-indebitamento. Il trilione e mezzo di dollari che Bush e Obama hanno finora stanziato nei loro piani di stimolo e di salvataggio sono finanziati con l'emissione di titoli di debito pubblico. Poiché nessuno si illude che siano i cittadini a prestare soldi allo Stato comprando questi titoli (il clamoroso fallimento dell'ultima asta di bond inglesi ne è la riprova), il Tesoro Usa prevede di 'monetizzare' questo megadebito, ovvero di venderlo alla banca centrale, la Federal Reserve, che lo acquisterà emettendo moneta nuova di zecca. Il massiccio aumento della massa monetaria produrrà inevitabilmente due effetti: un forte aumento dei prezzi (la cosiddetta 'imposta da inflazione') e una svalutazione del dollaro che ne minaccerebbe lo status di valuta di riserva internazionale.

La fine dell'era del dollaro? Se l'effetto iper-inflattivo della monetizzazione del debito preoccupa per le sue esplosive conseguenze sociali, il crollo del biglietto verde fa tremare tutti i Paesi che detengono riserve in dollari: in particolare la Cina, nelle cui casse si sono accumulati oltre un trilione di bond Usa che rischierebbero di diventare carta straccia. Da qui la proposta che la Cina, assieme alla Russia (e all'India, al Brasile, alla Corea del Sud e al Sudafrica), presenterà giovedì al G20 di Londra: abbandonare il dollaro, ormai poco affidabile, come valuta di riserva internazionale, e adottare al suo posto una valuta sovranazionale. I banchieri centrali dei Paesi emergenti propongono di usare il vecchio Sdr (Diritto Speciale di Prelievo), usato fin dagli anni '60 solo per regolare le transazioni interne al Fondo monetario internazionale (Fmi), allargando il paniere di monete su cui viene calcolato il suo valore (oggi solo dollaro, euro, sterlina e yen).

Verso un nuovo ordine mondiale. Il presidente degli Stati Uniti, ovviamente, ha già bocciato questa proposta: "Non credo ci sia bisogno di una valuta globale: il dollaro è ancora straordinariamente forte", ha dichiarato Obama nei giorni scorsi.
Più possibilista è stato il suo ministro del Tesoro, Timothy Geithner: "Gli Usa sono abbastanza aperti a questa proposta", ha detto parlando a una conferenza del Consiglio delle Relazioni Esetere (Cfr) - che assieme ad altre potenti lobby come la Commissione Trilaterale e il Gruppo Bilderberg hanno sempre sostenuto la necessità di una moneta globale come pilastro di un nuovo ordine mondiale.
Forse questa 'rivoluzione' non vedrà la luce già al G20 di Londra di giovedì, ma appare evidente che alla fine di questa crisi economica (o della prossima) molte cose cambieranno.