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Crisi. Ma quale crisi?

di Alessandro Cappelletti - 29/04/2009

La parola “crisi” deriva dal greco Krisis/Krino, etimologicamente significa “separare”. Sui dizionari viene definita come un «momento che divide un modo di essere o una serie di fenomeni». Figurativamente, può indicare lo stato d’animo di una persona, una situazione anormale in una Nazione o la sospensione nella regolarità del movimento di scambio che costituisce il commercio.

Sfogliamo alcune recenti agenzie di stampa:

- JP Morgan, trim1 sopra attese, pronto a rimborsare Tarp.

- Citigroup ha chiuso il primo trimestre con un utile di 1,6 miliardi di $, dopo cinque trimestri  consecutivi in perdita.

- Citigroup porta a “buy” giudizio su Goldman Sachs.

Ma come? Ma queste non sono alcune delle aziende che qualche mese fa non avevano neanche i fazzoletti per asciugarsi le lacrime, che avevano perso tutto e che hanno dovuto chiedere l’elemosina al Popolo/allo Stato perchè non riuscivano a mettere insieme un pasto al giorno? Non sono un economista, non mi intendo di borsa né di finanza e quindi non riesco a capire le schizofrenie di questo mondo.

Leggiamo ora alcune delle ultime dichiarazioni sulla Crisi:

Tremonti: «La paura del crollo delle Borse mi sembra finita»; …Così il segretario Usa al Tesoro, Timothy Geithner, non vede all’orizzonte una seconda ondata di crisi bancarie… Anche se, dall’altro lato della strada, Obama predica saggezza, perchè non siamo ancora «fuori dal tunne»l, influenzato probabilmente dal proprio consigliere economico Larry Summers. ….Così come l’ex n°1 della Fed Paul Volcker «ha ricordato che l’economia mondiale sta vivendo la contrazione più forte che si sia vista dagli anni ‘30».

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Se crisi è «separazione», allora tra gli economisti ce n’è tanta. Noi, che economisti non siamo, vorremmo capire a che punto siamo: siamo dentro, fuori o nel mezzo? Ragioniamoci insieme.

Se crisi è «sospensione nella regolarità del movimento di scambio che costituisce il commercio», allora ci siamo ancora dentro in pieno. Tante sono le Aziende che hanno dovuto ridimensionare chiudere o licenziare, strozzate dai debiti e/o dagli investimenti sbagliati. Possiamo discutere sulla natura di questa Crisi, non sui risultati finali. La disoccupazione è aumentata, la povertà diffusa pure. Fortunatamente, non mancano le merci, né come materia prima né come prodotto finale, il sistema dello scambio denaro-prodotto non è mai andato in tilt, semmai solo diminuito. E non poteva essere altrimenti, visto e considerato che il circuito economico in cui si operava era già considerato gonfio oltre natura fin dalla fine degli anni ‘90. Il problema è che la bolla è esplosa dopo anni di contenimento del costo del lavoro, principalmente gli stipendi, e dello Stato Sociale, sanità e pensioni. È stata poi distrutta la cosiddetta classe media, la borghesia, roba che nemmeno Stalin c’era riuscito così bene, e la forbice tra pochi ricchi e tanti impoveriti si è allargata. La troppa ingordigia ha creato montagne di soldi virtuali e forte diminuzione di quelli reali, così quando è stato il momento di riscuotere quei pezzi di carta il cui contro valore ci permette di comprare il pane, ecco che sono cominciati i problemi veri. Come si poteva pensare che questo sistema potesse continuare all’infinito? Prima o poi bisognava tirare una riga e ripartire da zero, con tutte le conseguenze del caso. Il fatto che il castello di sabbia sia caduto all’improvviso, senza avvertimento, nella sorpresa generale, è un dettaglio che ha stupito solo i fedeli del liberismo radicale.

Se per crisi dobbiamo invece intendere un «momento che separa un modo di essere o una serie di fenomeni» e quindi come da molti immaginato, la fine del capitalismo selvaggio e dell’Economia dell’Algoritmo, allora siamo  ben lontani dall’esito finale. La manipolazione delle tre carte è ancora la regola che domina le valutazioni di un’azienda, altrimenti non si spiegherebbero quei miracoli economici sopra riportati. Non conta quello che si produce ma quello che si mostra attraverso il gioco degli specchi. Non importa il valore del prodotto, dell’azienda, ma i confronti fra le trimestrali. Come disse qualche settimana fa, in un’intervista su La7, Alessandro Profumo,  il numero uno di Unicredit, «fondamentali sono le persone, per la soddisfazione dei nostri clienti». Sciocco e sorpassato io che sono rimasto all’idea che per valutare il grado di soddisfazione verso una Banca, fondamentali siano gli interessi sul c/c, i servizi e le spese bancarie, ovvero il prodotto finale, quello che un’azienda produce!

Parliamoci chiaro: questa gente probabilmente s’è presa un grande spavento, ha visto il baratro all’orizzonte ed ha quindi sacrificato qualche ramo secco ed ha fatto le scarpe a qualcun altro ma, sostanzialmente, sta tornando a maneggiare l’economia e la finanza come se nulla fosse o sia stato. In pratica, stiamo assistendo ad un riassetto delle posizioni sul mercato. Restano darwinianamente e come sempre gli esseri più capaci di conservarsi e non necessariamente i più evoluti.

mondo-euro_dollaro_fondo-magazinePer cambiare l’Economia dell’Algoritmo bisogna pensare un modello alternativo che sappia trapiantarsi al posto dell’attuale. Non basta solo tornare all’economia dell’Impresa e della Produzione, dell’evoluzione dei prodotti, del miglioramento nella catena produttiva, della ricerca nei materiali, perchè non esistendo più una borghesia imprenditoriale capace, appunto, di imprendere, non esiste più nemmeno quella forza trainante e dialettica capace di evolvere e sviluppare benessere e ricchezza attraverso il Prodotto Finale. Oggi il maggior Azionista di Industria è Banca e Banca non imprende, fa solo tornare i conti. La vera domanda che quindi ci dobbiamo porre in questa fase storica è: quale figura guida oggi lo sviluppo economico? Il Ragioniere o l’Imprenditore? Da questa constatazione, bisogna partire per pensare il Futuro.

«L’agricoltura restituisce deliberatamente quello che l’uomo estrae dalla terra. L’estrazione mineraria, al contrario, è distruttiva perchè ciò che viene estratto, non si può sostituire e molto si scarta». Così scriveva Lewis Mumford.

Oggi, l’Economia dell’Algoritmo non solo produce scarti e rifiuti, ma impone anche che tutto debba essere sostituibile e scartabile per poter mantenere e conservare il Circolo Economico Vizioso. La Rivoluzione del Futuro sarà trasformare il sostituibile e lo scarto in risorsa indispensabile al funzionamento del Sistema. Niente di troppo fantasioso né futuribile. Lo scarto non sia più rifiuto ma materia di produzione. La Precarietà nel mondo del Lavoro non sia più occasione per offrire rituali sacrifici sull’altare delle quotazioni borsistiche, ma possibilità temporanea di miglioramento individuale. Non avere più bisogno del Superfluo, ma disporre del Fabbisogno.

La vera crisi è pensare un Ambiente Economico in armonia con l’Ambiente circostante, un modello di sviluppo alternativo a questo che viviamo attualmente, così simile a quello di  Leonia, una delle Città Invisibili di Calvino dove la felicità è direttamente proporzionale alla quantità di rifiuti che si getta via per poter lasciare spazio a nuovi e più moderni oggetti che diventeranno spazzatura domani.

Già da tempo viviamo tempi dinamici, che ancora non sono definiti all’orizzonte. La Cultura, il Pensiero, l’Arte, la Società, la Politica, vivono anni di buio,di crisi, di silenzio, di nichilismo che hanno lasciato il campo libero ai devoti del Materialismo, del Progresso, del Liberismo, del freddo Pragmatismo illuminista. Manca un indirizzo di riflessione che sappia essere confronto dialettico per criticare questa nostra epoca, che sappia separare gli elementi, che sappia distinguere, che soprattutto sappia essere alternativa al Pensiero Comune Dominante. È necessario pensare il Futuro rompendo gli schemi e i confini, oltrepassando il Meridiano Zero. In questa direzione esiste già un vasto Pantheon di Pensiero Critico cui attingere che passa dai padri storici di questa visione della vita (Nietszche, Heidegger, Jünger) per arrivare ai contemporanei Faye, De Benoist, Tarchi, Locchi, Vaj ma anche all’originale proposta della Professoressa Bonesio e senza dimenticare il compianto Giano Accame con il quale vorrei chiudere tutto questa mia riflessione, citando parte di un  suo articolo recente  che sia o possa, così, essere spunto di riflessione e devoto tributo:

«Già da tempo è stato osservato che una crescita economica continua in un sistema non infinito, ma al contrario segnato da limiti, è una contraddizione della matematica. Ma è soprattutto un errore rispetto ai sempre più pressanti problemi di protezione ed equilibrio ambientale, tanto del genere umano e della vivibilità sulla Terra, quanto - e a maggior ragione, toccandoci più direttamente - per mantenere gli attuali livelli di diffuso benessere nei sistemi come il nostro socialmente avanzati. Sistemi che negli scorsi decenni ebbero il merito di assorbire nel ceto medio gran parte del proletariato; ma nei quali l’attuale modello di crescita non prospetta obiettivi  di miglioramento per tutti e al contrario sta generando nuove povertà accanto a sempre più minoritarie e squilibrate ricchezze. Le soste nello sviluppo economico non si curano con i manager tagliatori di teste di moda nell’economia americana, ma con una gestione dell’ormai raggiunta economia del benessere e dell’abbondanza che sappia realizzare anche, attraverso le imprese più attive e non finanziando i falliti, gli obiettivi equilibratori del lavorare un po’  meno ma tutti».

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