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Ogni dubbio cade, cresce la nostra dipendenza

di Gianfranco La Grassa - 02/05/2009

Per il momento riporto una serie di notizie e documenti di una situazione che va aggravandosi soprattutto per quanto riguarda l’indipendenza del nostro paese; indipendenza mai avuta in tutto il dopoguerra, sia chiaro, ma oggi secondo me a rischio di essere rinsaldata, e per chissà quanti anni a venire. Intanto riportiamo questo articolo dal solito blog di M. Foa; il giornalista manifesta seri dubbi sull’ottimismo dilagante in tutto l’occidente (secondo le opinioni “pilotate” delle Autorità, propagandate da tutti i media) circa il fatto che ormai la fase più grave della crisi sarebbe superata. Non prendo posizione, perché sinceramente non penso che questo sia il problema principale. In ogni caso, constato che anche un giornalista non certo alieno da simpatie governative non ci vede chiaro.  

<<<Banche e crisi, il peggio deve ancora venire? Di M. Foa

Il debito delle banche irlandesi è pari al 250% del Prodotto interno lordo della stessa Irlanda, che potrebbe rischiare il default addirittura sui titoli di Stato

Molti Paesi dell’Europa dell’est stanno sprofondando in una crisi di tipo asiatico a causa delle banche che li hanno esposti a rischi insostenibili e sperano che l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale li salvi.

 In Svizzera il governo federale ha dovuto stanziare oltre 70 miliardi di franchi svizzeri per salvare Ubs e oggi ha addirittura violato lo stato di diritto e il segreto bancario, cedendo al ricatto di Obama, che aveva dato tempo fino a ieri ancora una volta a Ubs per svelare i nomi di 250 contribuenti americani che hanno frodato il fisco con l’aiuto decisivo della banca elvetica. Il governo americano non ha rispettato gli accordi tra gli Usa e la Confederazione elvetica e anziché aspettare la fine del normale iter giudiziario, come accade tra tutti i Paesi civili, ha messo la Svizzera con le spalle al muro, minacciando di revocare la licenza bancaria all’Ubs, il che avrebbe provocato il fallimento dell’istituto bancario. E siccome Berna non può permettere di far fallire l’Ubs, perchè un evento del genere destabilizzerebbe la Confederazione, ha ceduto.

Ci sono tanti altri esempi, ma la morale è sempre la stessa. Negli ultimi 15 anni le banche sono diventate più potenti degli stessi governi; ma ora che sono in difficoltà sperano che lo Stato, da loro stesse a lungo depotenziato, le salvi, mantenendo intatto il sistema ovvero preservando la prerogativa di condizionare il mondo. Questa non è democrazia e neppure capitalismo, è un’aberrazione. E fino a quando non verrà estirpata, non c’è possibilità di salvezza. Ma non vedo segnali di svolta. Anzi, la crisi economica, generata dalla finanza, sembra entrata in una spirale.

Da qui il mio timore: il peggio deve ancora venire?>>>

Aggiungiamoci, sempre dello stesso giornalista, queste considerazioni intorno ai banchieri (che non devono però divenire il solo capro espiatorio di quanto è provocato da fenomeni ben più vasti e profondi)

<<<Il mondo continua a lottare contro la recessione, il Pil americano sprofonda a -6%, ma c’è qualcuno che ha già vinto. I soliti noti, sì, proprio loro, la casta dei banchieri Usa che, come spiego in questo articolo nel 2009 si appresta ad incassare stipendi e bonus strepitosi, quasi allo stesso livello del fantastico (per loro) 2007: nei primi tre mesi dell’anno le sei principali banche americane hanno accantonato la bellezza di 36 miliardi di dollari per il proprio management. Chi lavora nel dipartimento trading e investimenti bancari di JPMorgan Chase, ad esempio, assapora già, per l’anno in corso, un reddito medio pro capite di 509mila dollari, mentre nell’ultima annata senza eccessi, il 2006, era stato di 345mila dollari. Intanto, però, le banche continuano a licenziare e a delocalizzare gli impieghi più modesti in India e nelle Filippine. E’ il loro modo di ringraziare il contribuente americano.

Intanto, grazie al New York Times, sappiamo con certezza che l’uomo scelto da Obama per risanare l’economia statunitense, il ministro del Tesoro Timothy Geithner quando era alla guida della Federal Reserve aveva rapporti scandalosamente stretti con i banchieri (per i dettagli leggere il pezzo successivo). Insomma, era e resta il loro uomo. Intanto i banchieri festeggiano anche in Gran Bretagna (bonus per 7 miliardi) , mentre il numero uno di Societé Générale Daniel Bouton dopo aver fatto disastri se ne va con una pensione da 730 mila euro.>>>

Ecco infatti chi è Geithner:

<<<Doveva essere l’uomo della Provvidenza, il superministro capace di risanare il sistema finanziario americano, o almeno così lo aveva presentato Barack Obama quando aveva annunciato la sua nomina a ministro del Tesoro. E tutti ad applaudire. Le credenziali erano quelle di un giovane economista che, dopo cinque anni trascorsi alla guida della Federal Reserve di New York, aveva l’esperienza necessaria per capire il complesso mondo delle banche d’affari di Wall Street. Garantiva, per lui, il presidente della Fed, Ben Bernanke.
Non tutti erano convinti. I più scettici, come il Nobel dell’Economia Stiglitz, non avevano gradito che a presentarlo al presidente degli Stati Uniti fosse stato Robert Rubin, numero uno di Citigroup e artefice, negli anni di Clinton, della deregolamentazione finanziaria. Per essere un autentico riformatore sembrava troppo vicino al Club dei Top Manager.
Oggi quei sospetti trovano conferma, grazie a un’inchiesta esemplare del New York Times, che ha ricostruito il profilo, le amicizie, le decisioni di Geithner durante i suoi anni alla guida della Fed di New York, giungendo a una conclusione sconsolante: i rapporti con il Club (o se preferite la Casta) della finanza erano strettissimi; addirittura senza precedenti.
I suoi predecessori, proprio per evitare sospetti di collusione, avevano adottato una regola di condotta per limitare allo stretto indispensabile gli incontri con i banchieri e sempre in presenza di un testimone neutrale. Timothy, che quando assunse il comando aveva appena 42 anni, incontrava spesso e volentieri direttori di banca, come l’ex presidente di Citigroup Sanford Weill, nonché gestori di hedge funds, in occasioni ufficiali e ludiche. Non era difficile incontrarlo alle feste del jet-set finanziario.
Di certo, non aveva capito la complessità delle istituzioni finanziarie che avrebbe dovuto controllare e, sebbene in qualche occasione avesse sollecitato le banche a cautelarsi nell’eventualità di periodi avversi, le sue decisioni sono risultate di segno opposto. Fu lui, nel maggio del 2007, cioè quando la crisi dei subprime era già iniziata, a esaltare «la solidità delle principali istituzioni finanziarie americane», che, grazie a strumenti come i derivati, avevano «migliorato la propria capacità di misurare e controllare il rischio»; salvo proporre, due giorni dopo, una diminuzione delle riserve obbligatorie delle banche. Fu sempre lui, nel giugno del 2008 in una riunione riservatissima, a sostenere la proposta dell’allora ministro del Tesoro Henry Paulson di un ampio intervento statale per ripianare i buchi degli istituti.
E da quando è stata ratificata la sua nomina a ministro del Tesoro non ha cambiato rotta: Timothy Geithner è l’uomo delle banche d’affari americane
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Secondo quanto si apprende, dopo il sì dei principali creditori al piano di ristrutturazione del debito (della Chreysler), tre fondi e cioè Oppenheimer, Perella e Stairway avrebbero cercato di compattare un fronte del no, rendendo difficile un accordo. La soluzione è stata però trovata con una bancarotta dell’azienda automobilistica americana pilotata per 60 giorni. Una bancarotta in cui, al contrario di quanto avviene normalmente, nessuno pagherà con provvedimenti gravi a suo carico (fino talvolta alla galera). Il fallimento (pilotato) serve invece a ridurre le pretese dei creditori, che dovranno accontentarsi di una parte esigua di ciò che avanzano (mi sembra non più di un terzo).

La Fiat avrà intanto il 20% delle azioni, poi potrà salire al 35%. Infine, le sarà consentito, almeno allo stato attuale degli accordi, di arrivare al 51% solo dopo aver restituito i 3,5 miliardi di dollari concessi dal Governo Usa. La Casa Bianca dichiara: “Salvati 30mila posti di lavoro. Operazione di sicuro successo”. E’ per me ovvio che questo è solo il travestimento menzognero (tutti i capitalisti solo preoccupati di salvare posti di lavoro. Ma va là, bugiardoni!) dei motivi reali per cui è stata condotta l’operazione. Favorita anche dai sindacati dell’automobile che garantiscono l’assenza di scioperi fino al 2015 (ammappete!) e anche la “rinuncia a 19 dollari l’ora per salvare le fabbriche” (questa condizione, la capiranno meglio i sindacalisti).

Si sprecano le dichiarazioni di entusiasmo. Barack Obama: “la Fiat farà rinascere la Chrysler”. Ora per Marchionne (“un momento storico”; e ci credo, per la Fiat senz’altro, anzi una vera manna) è tempo di giocare altre partite. Berlusconi: “L’Italia può essere orgogliosa” (figuriamoci se ha i “cosiddetti” per non osannare quelli che sono stati, sono e saranno sempre i suoi oppositori della GFeID). D’altra parte, bisogna riconoscere che questa parte del capitalismo italiano, parassitario e dipendente dagli Usa, ha al suo “servizio” non solo l’intera sinistra (con una serie di mascheramenti diversi tra Pd, Idv, e “estremi” vari), ma anche An, Lega, buona parte di FI. Occorre un ben altro leader e con ben diverse forze al seguito: dure e violente abbastanza per attuare una vera politica d’interesse nazionale.

 

Ogni riserva e dubbio adesso cadono. L’operazione Fiat-Chrysler non è certo “economico-produttiva”. I peana di mascheramento dell’operazione non possono più ingannare: si tratta di un’operazione che accresce la nostra dipendenza, la rinsalda, ecc. Ma di questo in altra occasione. Qui ho presentato alcuni elementi per pensare diversamente da quanto i “potenti” vorrebbero farci credere sulla congiuntura attuale (non mi riferisco a quella soltanto economica). Tireremo le debite conclusioni fra non molto.