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Gas e massacri sui campi d'Etiopia

di Aurelio Lepre - 14/04/2010

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L o studio della guerra d' Etiopia può rappresentare un importante capitolo dell' autobiografia della nazione Italia. Per scriverlo, bisogna guardare al passato con coraggio e onestà, senza i silenzi dettati da un falso amor di patria, che possono placare rimorsi interni, ma non portano nessun giovamento all' immagine e al prestigio internazionale dell' Italia. Un' autobiografia intellettualmente onesta può essere dolorosa ma è necessaria. Nel caso dell' ultimo libro sulla guerra d' Etiopia del maggiore storico della politica coloniale, Angelo Del Boca, La guerra di Etiopia (Longanesi, pp. 300, Euro 18), l' elemento autobiografico assume un rilievo ancora più forte, perché anche l' autore, allora studente undicenne, fu partecipe dell' atmosfera di esaltazione patriottica che spinse, sulle colonne dei giornali e sui banchi della scuola, gran parte degli italiani in grado di leggere e scrivere, ad abbandonarsi alla celebrazione dell' impero fondato da Mussolini. Non sorprende che d' Annunzio potesse rivolgersi così a Mussolini: «Tu hai soggiogato tutte le incertezze del fato e vinto tutte le esitazioni umane. Non hai più nulla da temere». Chi vede la storia in bianco e nero può invece trovare sorprendente che, alla proclamazione della nascita dell' impero italiano nell' Africa orientale abbiano esultato Chabod, Morandi, Maturi e Sestan, i maestri di tutti gli storici dell' Italia repubblicana, dai liberali ai comunisti. La grande maggioranza degli italiani in quei giorni approvò con entusiasmo la politica imperiale del fascismo. Lo fece anche il clero, tranne le alte gerarchie vaticane che ripresero invece la condanna pronunciata da Pio XI. Scrisse allora l' autorevolissimo monsignor Tardini: «Il clero deve essere calmo, disciplinato, obbedire ai richiami della Patria, è chiaro. Ma invece questa volta è esaltato, tumultuoso, guerrafondaio. Almeno si salvassero i vescovi. Niente affatto: più verbosi, più eccitati, più squilibrati di tutti. Offrono oro, argento: anelli, catene, croci, orologi, sterline. E parlano di civiltà, di religione, di missione dell' Italia in Africa. E intanto l' Italia si prepara a mitragliare, a cannoneggiare migliaia e migliaia di Etiopi, rei di difendere casa loro». Gli Stati membri della Società delle nazioni accolsero la fine della guerra etiopica e la vittoria italiana con un senso di liberazione, tranne la Francia e l' Inghilterra, che continuarono a opporsi alla politica di Mussolini, ma per ragioni anch' esse imperialistiche: negli anni precedenti l' obiettivo britannico era stato l' inclusione dell' Etiopia, pur formalmente indipendente, nell' area d' influenza inglese. In realtà gli italiani non si limitarono a cannoneggiare, come scrisse Tardini, ma effettuarono bombardamenti aerei indiscriminati e impiegarono anche l' iprite, il principale tra i «gas asfissianti», com' erano definiti allora. Del Boca dà un forte rilievo a questo aspetto, nell' ambito di una minuziosa ricostruzione della storia della campagna militare d' Etiopia, che rappresenta un contributo nuovo e originale del suo libro. Così come nuovo è spesso il punto di vista da cui considera gli avvenimenti: li osserva e ricostruisce infatti anche dalla parte etiopica, sulla scorta soprattutto della documentazione diplomatica inglese. La guerra d' Etiopia però non fu un conflitto tra i malvagi bianchi e i buoni africani: in Etiopia vigeva ancora la schiavitù (e questo rendeva possibile il discorso sulla civiltà) e, tra i soldati che combatterono agli ordini prima di De Bono e poi di Badoglio e Graziani, i più spietati contro la popolazione etiopica furono gli ascari reclutati nelle altre colonie italiane. Di Hailé Selassié, l' imperatore d' Etiopia, Del Boca mette in rilievo la saggia rinuncia alla vendetta subito dopo la Seconda guerra mondiale, ma anche i metodi molto duri con cui aveva difeso il suo potere dagli altri ras abissini. L' autore non si lascia nemmeno condizionare da ciò che avvenne più tardi: il fascistissimo De Bono si atteggiava più a pacificatore che a spietato conquistatore e fu sostituito per la sua irresolutezza, mentre Badoglio, presidente del futuro primo governo dell' Italia liberata, mirava all' annientamento del nemico, da ottenere con l' uso di tutti i mezzi, compresa, come si è detto, l' iprite. Quella scritta da Del Boca è dunque un' autobiografia della nazione senza zone d' ombra: non un' autoflagellazione, ma soltanto la presa d' atto della realtà di una guerra coloniale. Nel combatterla l' Italia non si comportò né meglio né peggio delle altre potenze.