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La psicologia cattiva di Milgram e Zimbardo è una perversione della vera ricerca scientifica

di Francesco Lamendola - 22/04/2010



È noto che l’Università di Yale costituisce un centro di potere occulto imperniato sulla sinistra società «Skull and Bones» («Teschio e Ossa)», fondata mediante una cerimonia di magia nera che ebbe luogo davanti al cranio trafugato del capo indiano Geronimo e alla quale furono iscritti alcuni degli uomini più potenti del mondo politico, scientifico e finanziario americano, ivi compresi i due presidenti Bush, padre e figlio.
Le cerimonie di iniziazione avvengono in una stanza foderata di velluto nero con al centro un pentagramma rosso. Daniel Coit Gilman e altri due “Bonesmen”, Timothy Dwight e Andrew Dickson, formarono un triumvirato alla guida della Fratellanza che, ancora oggi, esercita un notevole influsso sulla vita americana, specialmente nell’ambito dell’educazione. Basti dire che essi, insieme, fondarono la American Economic Association, la American Chemical Society e la American Psychological Association.
Rientrato da Berlino, dove si era recato a studiare, nel 1856, Daniel Gilman registrò la Società come Russell Trust e ne divenne tesoriere e bibliotecario; Timothy Dwight, da semplice professore, nel 1886 divenne Presidente della Yale University. Sotto la presidenza di William H. Russell, la Fratellanza ebbe quattordici anni di tempo per rafforzarsi a tutti  livelli, sia dentro l’università, sulla quale finì per esercitare un controllo significativo, sia all’esterno di essa.
Tra le altre cose, la Società «Teschio e Ossa» (la quale, si badi, è la più esclusiva e tenebrosa, ma non la sola società segreta dell’Università di Yale) funge da cinghia di trasmissione verso la Corte Suprema, verso la Central Intelligence Agency (C.I.A.)  e verso i più prestigiosi avvocati e consigli di amministrazione degli Stati Uniti d’America.
Ebbene, questa inquietante università americana fa da sfondo a uno degli esperimenti psicologici più discutibili e crudeli degli ultimi decenni: quello legato al nome dei due ricercatori Stanley Milgram (1933-1984) e Philip G. Zimbardo (New York, 1933), che venne effettuato fra il 1963 e il 1974, anno, quest’ultimo, del lavoro più importante.

 Ed ecco come Luigi D’Isa e Franca Foschini riassumono le caratteristiche dell’esperimento Milgram (in: «I percorsi della mente. Elementi di psicologia, sociologia e statistica», Milano, Hoepli, 2008, pp.375-76):

«L’esperimento che analizziamo prevede 17 possibili varianti.
I soggetti sono reclutati da tutti i settori professionali, ricevono un rimborso spese e viene loro spiegato che l’esperimento consiste in sedute finalizzate a scoprire il ruolo della punizione nell’apprendimento (lo scopo in realtà è un altro). L’ambiente in cui sono accolti, il laboratorio dell’università di Yale, è “sontuoso” e ha tutte le caratteristiche per incutere ammirazione e rispetto. Il soggetto ha un duplice compito: leggere numerose serie di abbinamenti di parole (per esempio, cielo-blu, anatra-selvaggia); poi rivolge delle domande a un’altra persona per verificare se ha imparato tali liste. Il soggetto “interrogato” si trova assicurato a una specie di “sedia elettrica” in una stanza attigua a quella dell’interrogatore e, se sbaglia la risposta, l’”insegnante” (che ha imparato la serie di parole) deve punirlo con un apposito congegno che impartisce delle scosse elettriche; più errori vengono commessi, più intensa deve essere la punizione. In realtà non viene impartita alcuna scossa e l’”interrogato” è un attore che segue le istruzioni dello psicologo. Il dispositivo per le scosse è composto di trenta leve che, una volta azionate, liberano delle scosse che vanno da un minimo di 15 a un massimo di 450 volt. Tali scariche sono poi divise in varie categorie da “scossa leggera” a “pericolo scossa violenta”. Per rendere più realistico l’esperimento, prima della seduta viene impartita all’insegnante una scarica di 45 volt che, pur se non è dolorosa, provoca dolore. L’attore commette numerosi errori e lo sperimentatore chiede all’”interrogatore” di impartire scosse sempre più violente, e lo incita a proseguire se si mostra indeciso o timoroso. Le esortazioni (divise in quattro categorie, via via più perentorie) si succedono a ogni esitazione e, all’occorrenza, si dice all’”insegnante” che, nonostante il forte dolore, l’alunno non subirà lesioni,. Solo quando, al quarto tipi incitazione, chi interroga si rifiuta di impartire la scossa, lo sperimentatore pone fine all’esperimento. I risultati dello studio sono sconcertanti: nonostante le urla di dolore, le suppliche della “vittima”, perfino quando questa smette di reagire come se avesse perso i sensi, il 62% dei soggetti obbedisce fio alla fine, impartendo una scossa di 450 volt. Alla fine dell’esperimento viene spiegato con molta delicatezza il vero scopo dello studio, cercando di non fare sentire in colpa le persone che vi hanno partecipato. Inoltre viene realizzata un’intervista ponendo ai soggetti svariate domande.
L’esito del’esperimento non dipende tanto dal tipo di categorie morali a cui i soggetti fanno riferimento, quanto dal tipo di relazione che viene stabilita con la vittima e con l’autorità che impartisce le istruzioni.
Non bisogna pensare che gli “interrogatori” abbuiano agito a cuor leggero. Durante l’esperimento molti di loro manifestavano evidenti segni di conflitto, sudando, balbettando e ridendo in modo nervoso. Nelle varianti sperimentai in cui la “vittima” è visibile, la percentuale di chi obbedisce fino alla fine scende al 40%, se il protocollo sperimentale prevede con lei anche un contatto fisico, la percentuale scende ulteriormente al 30%.
In un’altra variante sperimentale lo sperimentatore si allontana fingendo di dover rispondere al telefono e un altro soggetto dell’esperimento, in realtà un complice dello psicologo, si offre di sostituirlo. In tal caso solo un terzo dei soggetti prosegue a impartire le scosse fino alla fine. La posizione sociale di chi impartisce gli ordini, il suo prestigio, rivestono perciò un’importanza notevole. Non agiscono quindi categorie morali, ma la sottomissione al’autorità che, in questo caso, è meno diretta e quindi meno avvertita al soggetto.»

Seguono alcune considerazioni banali e assai moralistiche  sullo scalpore suscitato a suo tempo da tali esperimenti; scalpore dovuto al fatto che non pochi avrebbero visto un’analogia tra i comportamenti dei soggetti sperimentali con l’obbedienza cieca e assoluta dei criminali nazisti agli ordini di Adolf Hitler; questi ultimi, infatti, si sarebbero trincerati dietro l’autorità indiscussa da cui provenivano gi ordini ricevuti.
A quanto pare, né agli ineffabili Autori del manuale di psicologia e sociologia (nel quale, per fare un altro esempio del loro modo di procedere, compare un disegno con gli scheletri delle varie specie di ominidi fino all’”Homo sapiens”, per mostrare l’evoluzione del cervello umano: come se l’evoluzionismo non fosse altro che una teoria, oggi molto contestata dagli stessi scienziati), né al benpensante pubblico americano, è venuto in mente che il vero scandalo non è questo, ma quello dell’esperimento in se stesso.
La vera analogia con i criminali nazisti, semmai, dovrebbe essere istituita non con i soggetti dell’esperimento, ma con i pretesi scienziati che lo hanno ideato, pianificato e realizzato. In nome di una conoscenza astratta che passa al di sopra di ogni scrupolo e considerazione morale, essi hanno perseguito un modello scientifico del tutto disgiunto dalla consapevolezza che l’esperimento in sé si proponeva di manipolare gli esseri umani come marionette e di istigarli ad agire in maniera palesemente immorale.
Ci si potrebbe, semmai, domandare come avrebbe reagito l’opinione pubblica benpensante, se fosse giunta notizia che simili esperimenti venivano condotti in qualche Stato a regime dittatoriale palese; ma né a Milgram e Zimbardo, né alla democratica opinione pubblica statunitense è venuto in mente di paragonare il modo di agire dei soggetti dell’esperimento con i volonterosi piloti che portarono i loro aerei nei cieli di Hiroshima e Nagasaki per sganciarvi le bombe atomiche, dei cui effetti erano perfettamente informati; per non parlare delle migliaia di piloti americani che gettarono milioni di tonnellate di bombe sui villaggi del Vietnam o che sterminarono le colonne di carri armati e soldati iracheni in fuga nel deserto, durante le due guerre del Golfo Persico.
Eppure essi non furono mai processati, neppure moralmente; anzi, vennero considerati eroi di guerra o, in ogni caso, soldati che avevano fatto il loro dovere. Qual è la differenza fra il loro modo di eseguire ordini inumani, nati dalla deliberata e sistematica volontà di distruggere grandi città quali Amburgo e Dresda, bruciando vivi gli abitanti con le bombe al fosforo bianco? Piloti che non  agivano di loro iniziativa, per un sadico impulso individuale, come quegli aviatori americani i quali a Grosseto, nel 1944, mitragliarono i bambini sulle giostre; ma che avevano eseguito ordini precisi e che, rientrando alla base, si sentivano perfettamente soddisfatti per aver portato a compimento la propria missione, sotto le bandiere di una buona casa.
L’unica differenza fra quei piloti statunitensi e britannici e i criminali nazisti che operavano nei campi di sterminio, è che questi ultimi potevano guardare negli occhi le proprie vittime; per il resto, l’analogia con i soggetti dell’esperimento di Milgram e Zimbardo si risolve tutta a vantaggio di questi ultimi, non dei criminali di guerra di qualunque Stato, dittatoriale o democratico che sia. Essi, in fondo, sapevano che le scosse elettriche avrebbero provocato dolore, ma nessuna lesione permanente; e l’autorità da cui venivano istigati ad agire, vale a dire la comunità scientifica e accademica universalmente stimata e riconosciuta, li metteva al riparo da scrupoli o esitazioni, perché essa non aveva nulla a che fare (ma solo in apparenza, visti i già ricordati legami tra Yale e la C.I.A., per esempio) con il potere politico, poliziesco o militare.
Inoltre, a parte l’immoralità d condurre esperimenti in cui le persone vengono spinte ad agire contro il più elementare senso di umanità e compassione, chi ci vieta di pensare che simili esperimenti non possano essere stati pensati, voluti e realizzati non per una forma spassionata di conoscenza (conoscenza alla quale, del resto, non aggiungono assolutamente nulla rispetto a quanto già si sa), ma per vedere fino a che punto degli onesti” e rispettabili” cittadini possono essere manipolati, resi insensibili e trasformati in docili esecutori di ordini odiosi e ripugnanti? Chi può dire, cioè, se l’esperimento stesso non sia stato concepito allo scopo di perfezionare delle tecniche di manipolazione mentale e non già per mettere in guardia contro le loro nefaste conseguenze?
Quando si passa il limite di ciò che è moralmente lecito, e sia pure in un esperimento basato sulla finzione dei ruoli, il confine tra bene e male tende a scomparire, così come quello tra lecito e illecito.
Del resto, agli Autori del citato manuale è sfuggito un vocabolo che la dice lunga su come l’inconscio di qualunque persona recepisca il significa riposto di quel’esperimento, là dove si definisce uno dei membri dell’équipe di Milgram con la parola “complice” dello psicologo. Se egli è un complice, allora lo psicologo stesso non è un vero scienziato, ma un ciarlatano malvagio e un cattivo apprendista stregone, che si serve del paravento della rispettabilità scientifica e accademica per portare avanti una forma di sapere finalizzata alla manipolazione, al dominio e alla distruzione del senso morale.
A che serve, poi, spiegare ai partecipanti all’esperimento che si era trattato “solo” di un macabro scherzo? Che le persone legate alla “sedia elettrica” fingevano solo di soffrire? A che serve cercar di lenire nei soggetti dell’esperimento il lancinante senso di colpa, consolandoli con chissà quali belle parole? Se un uomo crede che la pistola che impugna sia caricata con proiettili veri, e viene istigato a sparare su un altro essere umano, non ha molto senso, poi, spiegargli che ha solo creduto di uccidere: perché la consapevolezza di stare compiendo un assassinio c’era tutta.
Non si può rimediare a un simile danno morale, una volta che sia stato perpetrato: quella persona non si sentirà mai più pace con se stessa, per tutta la vita. E i cattivi scienziati, come Milgram e Zimbardo, ne portano la responsabilità.
Questa spregiudicatezza, questa insensibilità, questo cinismo nei confronti della sofferenza altrui (vera o simulata che sia) e questa indifferenza nei confronti delle conseguenze morali del proprio agire, ricordano la filosofia di Cartesio, basata sulla ferma convinzione che gli altri esseri viventi non soffrano, anche se torturati,  perché privi della facoltà del pensiero; e ricorda anche la “favola dei suoni “ di Galilei, dove una cicala viene vivisezionata senza scrupoli né rimorsi, allo scopo di trovare la causa del suo frinire.
In quei casi, si trattava della insensibilità verso gli animali; ma uno scienziato che si ritenesse appartenente a una razza superiore (come lo sono i membri della «Skull and Bones»), non esiterebbe ad agire con altrettanta spregiudicatezza e con altrettanta insensibilità verso degli esseri umani ritenuti, a qualsiasi titolo, “inferiori”.
Che il Cielo ci protegga, in futuro, da siffatti scienziati, da siffatte università, da una cosiffatta idea della scienza.
Altrimenti, vedremo cose terribili; e, quel che è peggio, vedremo come esse verranno perpetrate alla luce del sole, senza limiti né rimorsi, in nome del progresso del sapere.