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Strage di Bologna. La verità imprigionata

di Adinolfi - Beccaria - Colombo - Cutonilli - Rapisarda - Tassinari - 05/08/2010


*Il trentennale della strage di Bologna è appena alle spalle. Ma non sono alle spalle le lunghe ombre che quell’eccidio ancora semina sul cammino della nostra attualità. Ombre che non sono state dissolte da un verdetto che pure si vuole definitivo e di colpevolezza nei confronti di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. Il Fondo, come è nella sua ragione d’essere, propone domande e confronto critico fra persone competenti, di opinioni diverse e finanche opposte ma con il comun denominatore di ritenere la verità ancora prigioniera di tanti, troppi segreti. Compreso quello di Stato.

miro renzaglia

Intervengono (in ordine alfabetico):

Gabriele Adinolfi – più volte inquisito per strage a causa dei depistaggi dei servizi segreti, è infine risultato parte lesa. Ne parla nel libro I nostri begli anni di piombo.

Antonella Beccaria - è autrice del libro Schegge contro la democrazia – 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari, scritto con Riccardo Lenzi.

Andrea Colombo – è autore del libro inchiesta Storia Nera, la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti.

Valerio Cutonilli - è autore del libro inchiesta sui fatti di Bologna: Strage italiana.

Antonio Rapisarda – ha affrontato il tema della strage di Bologna sul “Secolo d’Italia”, da ultimo con l’articolo: Strage del 2 Agosto. E se fosse arrivata l’ora della verità?

Ugo Maria Tassinari – ha affrontato le tematiche relative alla strage di Bologna soprattutto nel libro Guerrieri.


 

Forse per la prima volta  in assoluto, quest’anno, nel trentennale della strage di Bologna, abbiamo assistito non solo all’assenza del governo dalle celebrazioni ma ad una richiesta trasversale di riaprire le indagini. La strage fascista sembra convincere sempre meno. Cosa ne pensi?

Gabriele Adinolfi - La strage fascista non ha senso. O meglio lo ebbe in quanto i fascisti, più deboli rispetto a tutti gli altri ambienti dell’epoca e più consoni per natura a far da collante per le forze dell’arco costituzionale, rappresentavano il capro espiatorio perfetto. Che non c’entrino con le stragi non è difficile da stabilire: basti pensare che per istruire i processi si è ricorsi a elucubrazioni psicologiche o a pentiti costruiti in laboratorio, che parlavano oltretutto per “sentito dire” e che si sono palesemente contraddetti, quando non sono stati chiaramente smascherati. Non c’è una prova che sia una, e io direi nemmeno un indizio, che indichi che ci siano state stragi fasciste. Ovviamente se per tali intendiamo quelle indiscriminate. Peteano non fu indiscriminata, così come non lo fu l’attentato all’ambasciata americana di Atene dei bombaroli dell’ultrasinistra italiana legati al Superclan. Aggiungo che di tutto quanto accadde in quegli anni si sono avute rivelazioni consistenti tranne che per le stragi, per l’eccidio di Acca Larentia, per gli omicidi di Verbano e di Fausto e Iaio. In tutti quei casi, quindi, per me i colpevoli sono da ricercarsi al di fuori dagli ambienti politici, sia pur militarizzati. La fandonia dello stragismo fascista avrebbe avuto gambe molto corte se le generazioni (mal)educatesi nello spirito dei Campi Hobbit non avessero patito un complesso d’inferiorità verso la sinistra, un desìo mendicante d’accettazione e un complesso di colpa, che hanno fatto sì che i primi a credere nel teorema delle stragi fasciste e a sperticarsi per prenderene le distanze siano stati i neofascisti imbecilli. Così, ripetendo il dogma all’infinito come un mantra, proprio loro hanno dato credito agli inquisitori e ai depistatori. E’ a loro che augurerei un po’ di prigionia rieducativa. Che oggi si pensi di mettere in discussione il dogma falso e vile della strage fascista, di per sé, non può che farmi piacere. Poiché non penso che ciò dipenda da improvvisa simpatia, c’è da chiedersi cosa mai stia inducendo a farlo e verso quale altro scenario falso e inquietante ci si stia avviando.

Antonella Beccaria - Credo che, da qualsiasi punto di vista di affronti la questione, rimangono urgenti (e probabilmente sempre più urgenti) le risposte alle domande che le sentenze non hanno saputo fornire: mandanti, motivazioni politiche, verifiche delle cosiddette piste alternative. Con la fine dell’anno, la procura di Bologna dovrebbe concludere le indagini sulle piste palestinesi consentendo, a quel punto, di poter scartare o tenere in considerazione quell’ambito, finora destituito da ogni fondamento dato che, fino a nuovi ed eventuali riscontri, è rientrato nell’ambito dei depistaggi.

Andrea Colombo – Se ci si fosse attenuti agli indizi, di prove non essendocene alcuna, la colpevolezza dei Nar sarebbe risultata poco convincente sin dall’inizio. Il problema è che per lungo tempo quasi nessuno si è preso la briga di prestare attenzione a quella farsa di processo proprio perché gli imputati, poi condannati, erano fascisti e lo sapevamo tutti che a fare le stragi erano sempre i fascisti. Questo pregiudizio è oggi meno forte proprio perché alcuni magistrati, storici, giornalisti ee esponenti politici si sono presi la briga di smontare quell’impianto accusatorio e indicare l’esistenza di piste alternative a quella nera che erano state deliberatamente ignorate. Pochi all’inizio sono oggi molti di più, e tuttavia continuano a scontrarsi con una sorta di “ricatto antifascista” (“Se dici che sono innocenti vuol dire che sei ‘oggettivamente’ complice dei fascisti”) oggi assai meno potente di trent’anni fa ma tutt’altro che innocuo.

Valerio Cutonilli – Da tempo esiste un fronte spontaneo di persone politicamente trasversale – mi riferisco a magistrati, storici, giornalisti, politici, gente comune – che non crede affatto alla ricostruzione giudiziaria della strage di Bologna. Molti lo dicono sottovoce, alcuni hanno il coraggio di dichiararlo pubblicamente. All’attualità, la “verità giudiziaria” è sostenuta soltanto da una parte minoritaria della sinistra – maggioritaria però nel capoluogo emiliano – ben supportata dal sistema mediatico.  Tale contraddizione, che si tende purtroppo ad ignorare, sta producendo effetti devastanti per le nostre istituzioni. L’assenza del governo alle celebrazioni, divenute da anni un’occasione per contestare gli esecutivi di centro-destra, rappresenta un dato sintomatico di tali paradossi. In realtà, e vengo all’ultima parte della risposta, le indagini vennero riaperte nel 2005. Credo personalmente che tali indagini siano destinate ad un’archiviazione addirittura scontata. A mio avviso, la complessità dello stragismo – fenomeno che potrebbe implicare responsabilità interne ma anche straniere – rende inadeguato lo strumento giudiziario. A ciò si aggiunga che se le nuove indagini sortissero esito positivo, verrebbe sconfessata una sentenza che ha goduto dell’avallo della Suprema Corte a sezioni unite. Un’eventualità piuttosto remota in un paese che, mai come in questi mesi, sta rischiando seriamente di assumere i connotati di una democrazia giudiziaria.

Antonio Rapisarda – Che, parafrasando il nome di un comitato che sostiene da anni l’innocenza dei tre condannati, è forse giunta davvero “l’ora della verità”. O, per lo meno, di un fronte più ampio e autorevole che non accetta più la verità di comodo sull’episodio più straziante e vergognoso della nostra vicenda repubblicana. Lo ha sostenuto lo stesso presidente della Repubblica Napolitano spiegando come è giunto il momento di indagare sulle complicità ammettendo, insomma, che i depistaggi e gli insabbiamenti su ciò che successe davvero quel 2 agosto ci sono stati. La tesi della “strage fascista” non convince? Diciamo pure che non ha mai convinto. Ci sono state sentenze contraddittorie, un contesto che non è stato mai ricostruito a dovere ma soprattutto per anni il perseguimento di una sola pista. Perché, come ha confessato Francesco Cossiga che poco tempo dopo l’accaduto bollò il tutto (per poi ricredersi) come prodotto del terrorismo di destra, l’onda emotiva era così grande che la pista fascista sembrò quella politicamente e culturalmente più funzionale alla caccia alle streghe. Con il tempo, poi, si è potuto riscontrare come già nei vari processi le tesi dell’accusa non reggevano appieno. Adesso però siamo arrivati a trent’anni da quel giorno. Una soglia che non può essere solo psicologica ma che per un paese occidentale deve significare un tempo sufficiente per fare i conti con la propria storia. Purtroppo la proposta di prolungare il regime di tempo per il segreto di Stato non è un sintomo che si stia andando verso la strada giusta. Anzi, non farà altro che alimentare le visioni paranoiche dei complottisti un tanto al chilo. Anche loro, come gli omertosi, nemici della verità.

Ugo Maria Tassinari - A me non mi ha convinta mai.  E’ positivo il dato politico che si allarghi il fronte di chi non è soddisfatto del giudizio definitivo (anche un colpevolista come Mastelloni evoca una nuova categoria criminale: la strage in appalto e riesuma i mandanti senza prendersi la briga di individuare gli intermediari). Ma sul terreno giudiziario siamo assolutamente nel vago, su semplici ipotesi di lavoro.

Di recente è stato pubblicato il libro Intrigo internazionalescritto dal giudice Rosario Priore (che indagò, tra l’altro, su Ustica, Moro, Alì Agca)   e da Giovanni Fasanella, già autore de Il misterioso intermediario che disegna una “pista internazionale” alla strage. E’ credibile?

Gabriele Adinolfi - Solo nelle premesse. Mi par così palese che lo sostengo da anni, che le stragi furono atti di guerra commessi contro di noi da nostri “alleati” all’interno di una Guerra Mediterranea. Il libro, che espone molti dei dati probanti, però si rifiuta di trarre le conclusioni e per quanto riguarda Bologna ripiega nella fandonia di un attacco palestinese mosso dall’est. C’è una sfasatura enorme e incomprensibile tra gli elementi forniti e il rifugio in calcio d’angolo in una versione che contraddice il novanta per cento dei dati. Mi sono fatto la convinzione che per ragioni che non conosciamo ancora si sia giunti all’obbligo di esporre la pista internazionale. In questa pista i fascisti automaticamente scompaiono visto che erano stati isolati praticamente ovunque. Intrigo internazionale ha l’aria di un depistaggio sofisticato. Perché include una gran parte degli elementi del puzzle – e dunque non si può dire che li abbia ignorati – ma si rifiuta di collegarli e salta di colpo a conclusioni incoerenti ma precostituite. A me interessano i dati forniti e la loro lettura critica; l’ho spiegato nel giorno del trentennale in un’intervista fattami da Tassinari sul suo blog “Fascinazione” e che riporto in focus su “noreporter.org“. Credo di essermi addentrato meglio e di aver salito qualche gradino in più nella ricostruzione dell’edificio che, quanto meno, supervisiona e indirizza la gestione delle sporche guerre internazionali per delega.

Antonella Beccaria – Il fatto che un magistrato dell’esperienza di Rosario Priore faccia determinate affermazione già di per sé merita di essere tenuto in
considerazione. Sarebbe necessario a questo proposito poter analizzare l’affermazione documenti alla mano perché, come già introdotto sopra, le piste palestinesi sono state opera del generale Giuseppe Santovito e di Francesco Pazienza, condannati con sentenza definitiva in proposito. Opera – in forte odor piduistico – che è stata declinata con la collaborazione, di volta in volta, di altri appartenti all’intelligence, come Musumeci, Belmonte o Cioppa. Dunque, proprio per la delicatezza che ha caratterizzato il fronte internazionale fino a oggi, documentarlo è quanto più necessario possibile.

Andrea Colombo – La notte fra il 4 e il 5 agosto 1980, a Bologna, un summit fra i vertici dello Stato e gli inquirenti contò numerosissimi interventi orientati in direzione di una qualche pista internazionale. Poche ore dopo, la mattina del 5 agosto, la strage fu definita, senza mezzi termini e praticamente senza che le indagini fossero ancora iniziate, “fascista”. Di quella eloquente riunione non sapremmo niente se una anonima manina, parecchi anni dopo, non avesse fatto pervenire, mi pare al “manifesto”, una busta con il verbale di quel vertice. Impossibile dire chi avesse spedito la busta. Certo è che pochi giorni prima Francesco Cossiga, su insistenza dell’ex brigatista Anna Laura Braghetti, aveva incontrato per la prima volta Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che avevano protestato la loro innocenza, e che proprio Cossiga aveva bollato per primo la strage come “fascista”, per poi pubblicamente pentirsene. Tutto questo per dire che la pista internazionale era credibile sin dall’inizio, e che da allora è infatti riemersa più volte, pur essendo puntualmente ridicolizzata e ignorata dalla procura di Bologna, sino a quest’ultimo lavoro di Priore e Fasanella.

Valerio Cutonilli – A mio avviso, Priore è il magistrato italiano più preparato in materia di terrorismo. Ha dimostrato competenze in materia di intelligence e di geopolitica precluse a molti suoi illustri colleghi . La sua lettura degli anni piombo è avulsa da interessi politici. Lo dimostra il fatto che le sue tesi hanno destato disappunto sia a destra (Ustica) che a sinistra (Bologna). Priore ha descritto in modo esemplare le costanti geopolitiche italiane, i fattori di tensione connaturati alla peculiare collocazione dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, le contraddizioni della nostra politica estera emerse soprattutto all’indomani della tragedia di via Caetani. Tra le pieghe di tali contraddizioni si celano i moventi delle grandi stragi italiane. E non solo. Priore ha individuato i molteplici attori – interni e stranieri, occidentali e dell’est – protagonisti nello scenario di crisi in cui rimase coinvolta l’Italia nella lunga e drammatica estate del 1980. Ha spiegato che ogni strage rappresenta in realtà un messaggio indirizzato ad un governo in un preciso momento. Credo abbia offerto al lettore libero da pregiudizi  tutti gli strumenti per comprendere. A tal fine, lo ha invitato a non cadere nelle trappole concettuali e linguistiche che hanno indotto magistrati e ricercatori ad innamorarsi di teoremi fuorvianti e drammaticamente errati, alimentati da lestofanti come Izzo o Sparti. Priore ha spiegato anche che il termine “strategia della tensione”, comunemente utilizzato per fornire una spiegazione a tutto e al suo esatto contrario, è stato inflitto alla nostra opinione pubblica attraverso una campagna di disinformazione d’ispirazione britannica. Ha poi messo alla berlina espressioni rozze e semplicistiche come “strage di stato”. Per seguire Priore, quindi, occorre liberarsi dagli stilemi e dai luoghi comuni che hanno inquinato la ricerca della verità dall’inizio degli anni settanta sino ad oggi.

Antonio Rapisarda – Non è compito del giornalista sancire la credibilità di una tesi ma quello di affermare il dubbio su un processo nel quale mandanti e movente non sono mai stati chiariti sì. Per questo di sicuro il libro di un magistrato in prima linea come Priore e di un giornalista attento come Fasanella aiuta a comprendere una cosa: lo scenario di quegli anni e, in qualche modo, il ruolo che le potenze internazionali avevano nel nostro Paese durante gli anni di piombo. Con un elemento in più: l’ingresso di un terzo polo, quello franco-inglese, che è stato per anni misconosciuto nell’analisi geopolitica di quegli anni. E rispetto al quadro che nel libro viene delineato, le figure di Mambro, Fioravanti e Ciavardini sembrano davvero “piccine”. Lo ha spiegato qualche giorno fa al Secolo d’Italia un protagonista della politica di quegli anni come Rino Formica: il nostro a quei tempi, era un paese a sovranità limitata. Al centro quindi di una dinamica che ha visto l’Italia in mezzo non solo di uno scontro tra Usa e Urss ma anche tra potenze europee che con ogni probabilità mal sopportavano ogni iniziativa italiana che agisse in una logica di affrancamento. Ecco che, assieme a Ustica e alle altre stragi ancora senza colpevoli, che forse va inquadrata questa storia. E, allora, è proprio in ragione di una sovranità da riaffermare che dovremmo riaprire i fascicoli.

Ugo Maria Tassinari – Condivido, in linea di massima, l’impianto del ragionamento di Priore e Fasanella, anche se sono scettico sul ruolo assegnato all’Autonomia ma non mi pare che si possa parlare di una pista investigativa capace di produrre risultati sul piano giudiziario.

A quello della strage fascista si è opposto un nuovo teorema, mosso sul quotidiano “Il Tempo”: quello della strage palestinese con supporto del terrorismo di sinistra e del blocco dell’Est. E’ un teorema sostenibile?

Gabriele Adinolfi - Per niente. Innanzitutto non lo è la tesi su cui si fonda il teorema. I palestinesi avrebbero voluto vendicare il loro esponente Saleh condannato in Italia a sette anni di reclusione (e uscito molto presto come da prassi); oppure i tre autonomi Pifano, Nieri e Baumgartner, presi durante un trasporto di armi per conto loro.  Ciò è grottesco: i palestinesi che hanno migliaia e migliaia di loro prigionieri non vendicati, avrebbero messo a definitivo repentaglio le loro relazioni con l’Italia per queste bazzecole? Gli “inidizi” poi sono esilaranti. Il depistaggio, partito quattro anni fa da Area che – nella pia illusione di provare l’innocenza di Ciavardini – è caduta con tutte le scarpe nella provocazione, punta sul gruppo Carlos. Costui, legato ai servizi della Germania dell’est e ai palestinesi, avrebbe eseguito la vendetta reclamata. A comprovarlo il fatto che un “terrorista” tedesco (e dovremmo  vedere che s’intende per terrorista) avrebbe dormito a suo nome, la notte prima della strage, in un albergo di Bologna. Se questa notizia è vera essa prova semmai l’innocenza del tedesco, di nome Kramm, che si sarebbe trovato a Bologna, città grande e di passaggio, per chissà quale motivo. Non escluderei neppure la vacanza a Rimini. Come si può infatti delirare al punto di pensare che un terrorista supportato da servizi segreti vada a commettere una strage costretto a dormire in albergo e senza uno straccio di documento falso? Capisco che nella società della fiction e del baccano non si ha più l’abitudine a ragionare, ma qui siamo arrivati alla meningite acuta. Che oggi questa pista venga rispolverata, con tanto d’interventi provvidenziali quanto obliqui di personaggi molto discutibili, quale Senzani, deve allarmare: siamo di fronte ad un depistaggio certo. Un depistaggio che parte da lontano. Nel 1978,  i depistaggi degli inquirenti pidduisti durante il rapimento Moro sono oramai leggendari. Ebbene nell’aprile di quell’anno, prima che Moro fosse ucciso e mentre già era prigioniero, sul Settimanale, poi accusato non so quanto a ragione, di essere un megafono della P2, apparve una rivelazione degli investigatori. Secondo questa “rivelazione” le BR avevano una rete all’estero che comprendeva Germania Est, Raf, Carlos e palestinesi. Già era pronta la pista oggi riesumata. E sì che proprio nel libro di Fasanella e Priore i contatti internazionali dei brigatisti vengono ripercorsi ed è chiaro che i loro inquinamenti si ritrovano altrove: basterebbe indagare su di essi per scoprire che le manipolazioni, nella misura in cui ci furono, non vennero dal mondo arabo e neppur più di tanto dall’est ma più seriamente da ovest. Si aggiunga che lo stesso 2 agosto 1980 oltre a una telefonata di rivendicazione, chiaramente falsa, della strage a nome dei Nar, ci fu anche un comunicato, altrettanto fasullo, del Fronte di Liberazione Popolare della Palestina che si scusava per il massacro dovuto all’esplosione fortuita di esplosivo trasportato dai feddayn. I depistaggi erano belli e confenzionati da subito. Pista nazionale: i fascisti. Pista internazionale: i palestinesi con il supporto dell’ultrasinistra.

Antonella Beccaria – Un altro teorema che, appunto, ha bisogno di verifiche. La desecretazione e la traduzione degli archivi della Stasi, la fonte citata da alcune recenti pubblicazioni, potrebbero aiutare. Occorrerebbe dimostrare, per esempio, che gli addestramenti di italiani non avvenivano solo nei campi cristiano-maroniti, come finora accertato. Occorrebbe poi capire perché colpire alcune frange
dell’estremismo di destra riconducibili ad Avanguardia Nazionale e Terza Posizione, come avvenuto nei depistaggi dei servizi segreti, e magari riprendere in considerazione una vicenda su cui è calato un silenzio di piombo, il caso di Graziella De Palo e Italo Toni, i giornalisti scomparsi dalla Beirut palestinese il 2 settembre 1980, altra vicenda su cui il solito Santovito (con la collaborazione del colonnello Giovannone e della giornalista Rita Polena, nomi che tornano di nuovo nei depistaggi di Bologna) ha giocato sporco
trincerandosi infine dietro il segreto di Stato.

Andrea Colombo – La destra è arrivata molto tardi alla campagna innocentista per Bologna, e da quando è scesa in campo ha fatto più danno che altro, come sempre capita quando qualcuno cerca di usare il passato a fini di lotta politica presente. Esercizio bipartisan nel quale eccellono a pari merito sia la sinistra che la destra italiane. Personalmente, ritengo la pista palestinese credibile ma non più di altre, in particolare di quella che rinvia alla Libia e a Ustica. Vedo una certa pericolosa tendenza a voler fare con Thomas Kram, il militante tedesco della Cellule rivoluzionarie che era quel giorno alla stazione di Bologna, quello che si è fatto con Fioravanti, Mambro e Ciavardini: procedere cioè sulla base di un teorema e di una opzione politica piuttosto che su prove reali, che non esistono a carico di Kram come non esistevano a carico dei Nar. La vicenda tuttavia è effettivamente importante, non perché ci siano prove contro Kram e i palestinesi, ma perché il fatto stesso che la presenza di Kram a Bologna, pur nota agli inquirenti, sia stata per anni ritenuta non meritevole di approfondimenti investigativi, se non  addirittura nascosta, dimostra come le indagini si siano mosse sin dal primo momento in una direzione sola e sulla base di una verità pregiudiziale, puramente politica. Per quanto riguarda i palestinesi, infine, io non scarterei del tutto neppure la teoria di Cossiga, quella di un trasporto di esplosivo finito in tragedia in seguito a un incidente. E’ vero: appare poco credibile perché troppo comoda. Finisce che nessuno ha colpe. Però resta l’irrisolto di quell’innesco di cui non sono state trovate tracce e delle perizie secondo cui gli inneschi capaci di non lasciare tracce erano all’epoca rarissimi e molto difficilmente reperibili.

Valerio Cutonilli - La domanda relativa alle inchieste de “Il Tempo” richiede una risposta molto più complessa di quanto sembrerebbe in apparenza. Passando ad altra questione, ritengo che la “verità politica” sia qualcosa di indecente e bene fanno quanti non intendono fornire sostegno a teoremi di natura ideologica, pro o contro qualcuno. Con altrettanta schiettezza credo la destra radicale, ragionando con le sue categorie mentali, non abbia ancora compreso la complessità delle formazioni eversive che ad essa si contrapposero negli anni di piombo. Ad esempio, potremmo chiederci perché le Brigate Rosse rapirono proprio Aldo Moro, il maggiore esponente della tendenza filoaraba della politica italiana, e perché le formazioni terroristiche straniere amiche delle BR e teoricamente interessate alla conservazione di quell’indirizzo non incisero positivamente sull’esito del sequestro. Continuando a tagliare la storia con l’accetta, non andremo mai in profondità. Ciò posto, tengo a precisare un mio pensiero  personale. Quand’anche un giorno, per assurdo, si dovesse scoprire che un anarchico incosciente lasciò una valigia all’interno della Banca dell’Agricoltura di Milano, io non mi sentirei in diritto di accusare la sinistra italiana di stragismo.

Antonio Rapisarda – Ho letto e mi sembra che un ragionamento del genere sia stato rilanciato anche dallo stesso giudice Priore. Di questa pista ne parlano in tanti, anche Francesco Cossiga nel suo ultimo libro. Così come questa è stata argomento di studio per il lavoro del gruppo di lavoro di Pellizzaro, Paradisi e de Tonquédec. Ci sono pagine di documenti che – anche grazie al lavoro della commissione Mitrokhin – testimoniano la presenza di personaggi legati al terrorismo palestinese in quei giorni a Bologna. Una persona molto attenta su Bologna come Enzo Raisi, deputato del Pdl che solo per una manciata di minuti non si è trovato alla stazione quel giorno, ha rilanciato la proposta di rivedere ancora il lavoro di quella commissione dove lui fu molto impegnato e che ha di fatto riaperto il caso. Detto ciò non si capisce se questa pista teorizzi l’incidente della bomba esplosa per caso o l’atto volontario. Se cioè si intenda una tragica fatalità o un atto volontario dopo l’arresto del militante Fronte Popolare. Non so se sia questa sia la vera pista alternativa – ho letto che c’è chi sostiene che questo sia solo l’ennesimo depistaggio – ma l’augurio è anche qui si vada fino in fondo e che non si sottovalutino i nuovi elementi.

Ugo Maria Tassinari – Sulla base degli elementi prodotti, no. Kram che consegna il documento autentico in albergo ed è seguito passo passo nel suo soggiorno italiano mi lascia assai perplesso. Così anche la tempistica rispetto alla vicenda del lanciagranata del FPLP sequestrato a Ortona a fine 79 con l’arresto del fiduciario del gruppo e del leader di via dei Volsci.

Si può ipotizzare che si sia giunti  ad un bipolarismo forcaiolo degli opposti estremismi anche nella gestione storica delle stragi, opponendo tifosi ciechi delle piste nere a tifosi ciechi delle piste rosse?

Gabriele Adinolfi – E’ esattamente quello che accade. Ed è palese che chi detiene la verità non vuole che essa sia divulgata. Sulla strage di Bologna possiamo fare svariate ipotesi. I libici avrebbero potuto reagire al nostro improvviso voltafaccia verso Tripoli con tanto di nuovo trattato con Malta firmato proprio il 2. E’ possibile anche se i libici hanno l’abitudine di rivendicare, persino stragi altrui; quel loro silenzio è dunque strano. Gli inglesi dopo il nostro appecoronamento non  avevano proprio la necessità di fare splodere una nostra stazione. I francesi perché coinvolti in Ustica? Io non so se lo fossero realmente ma è impensabile che potessero godere di tale impunità da abbattere un nostro aereo sui nostri cieli, replicare con una strage e poi eliminare  una dozzina di testimoni, molti dei quali legati ai nostri apparati militari. Gli americani e i sovietici non si sporcarono mai le mani in prima persona e, del resto, a loro poco interessavano gli esiti delle frizioni tra i loro alleati minori. Gli israeliani potevano avere due motivi per commettere la strage, innanzitutto la loro fissazione ripetutamente conclamta di destabilizzare l’Italia per assicurarsi saldamente il sostegno americano potendo apparire come l’unico alleato fidato nel Mediterraneo; poi la preparazione dell’offensiva in Libano che può essere la chiave di lettura del trittico stragista Bologna-Monaco-Parigi, visti gli effetti che quelle stragi praticamente contemporanee ebbero, soprattutto in Francia nelle gerarchie politiche e persino in quelle interne alla comunità ebraica. Poi c’è anche la tesi ufficiosamente propagandata dai servizi segreti francesi, quella per cui, per un errore tecnico, l’esplosivo sarebbe saltato in aria insieme con il suo trasportatore che lo stava portando a cospiratori pidduisti partendo dal centro linguistico e spionistico Hypérion. Potrebbe persino essere una strage anti-pidduista; visto che tutto quello che s’innesca immediatamente dopo travolge la P2 e il fatto che siano sempre i pidduisti a depistare potrebbe non significare che intendessero sviare dall’effettivo colpevole bensì dal bersaglio preordinato. E non stiamo prendendo in considerazione altri moventi che si tende sempre a ignorare ma che hanno notevole valore: manovre finanziarie o borsistiche. Non credo che ci siano state indagini riguardo le speculazioni immediatamente successive al massacro. Penso che non ne verremo accapo. Di certo sappiamo che una spessa cortina fumogena, a più strati, c’impedisce non tanto di scoprire i colpevoli, del che oramai dubito seriamente, ma anche e soprattutto l’apparato e le strutture che gestiscono le guerre sporche e determinano le scelte politiche internazionali. Sollevando il velo s’intravede qualcosa ed è per questa ragione che c’è tanta ostinazione nel riproporlo. Questa riedizione di opposti estremismi, con gli imbecilli rossi che dicono “sono stati i neri, insieme alla Cia per favorire il golpismo” e con gli imbecilli neri che dicono “sono stati i rossi insieme alla Stasi per vendicare i palestinesi” poi è avvilente. Ed è anche pericolosa perché potrebbe servire a varare la tesi aberrante dello “scontro di civiltà” (i palestinesi assimilati ai musulmani) ed avviarci ancora una volta a fare da carne di macello per  interessi altrui. Non ho simpatie per i rossi accomunati ora nella “pista palestinese”, non ne ho per Pifano, che comunque rispetto, e sicuramente non ne ho per Lojacono. Ma non accetterò mai d’incorrere nell’errore “teologico” che ha caratterizzato la sinistra per oltre trent’anni e non mi racconterò balle per indurmi a credere nello stragismo rosso. Non ho mai condiviso lo spirito el racconto di Esopo dell’uomo che, seduto a poppa di una nave che naufraga, è felice perché il suo nemico è a prua, che s’inabissa prima, e, prima di morire, potrà godere della sua fine. Se ora, di colpo, le parti son cambiate e mi ritrovo seduto a poppa, non attendo con trepidazione che anneghi chi, ora a prua, voleva prima la mia morte. Se proprio non posso salvare la nave godrò solo se vedrò affogare il pilota che l’ha condotta a picco.

Antonella Beccaria – È ipotizzabile e usare il termine tifoserie è più che corretto. Credo che vada superata la dicotomia colpevolisti-innocentisti, dato che molti dei nomi ascritti a ciascuno dei due “fronti” hanno lavorato su elementi di fatto. Probabilmente cercare di sostituire le tendenze di tifoseria a un serio dialogo e confronto su quei dati aiuterebbe a lavorare collettivamente a una ricostruzione che tenga in
considerazione – e magari aggiunga elementi di conoscenza – ai nodi – rilevanti, dato che si comprendono elementi molto più consistenti della manovalanza – non ancora risolti dal percorso giudiziario seguito per la strage del 2 agosto 1980.

Andrea Colombo – Non è un’ipotesi: è una desolante verità, che si conferma ogni volta che si riparla di quegli anni, e capita spessissimo. A lungo, la strage di Bologna è stata una specie di felice eccezione. La campagna innocentista era stata fatta partire non dalla destra ma dalla sinistra, e quasi tutti di sinistra erano gli esponenti del comitato “E se fossero innocenti”, che per anni ha sostenuto la tesi dell’estraneità dei Nar alla strage. Per alcuni decenni quella strage è stata forse il solo episodio dei cosiddetti anni di piombo che non venisse usato, quanto meno non sempre e non da tutti, con gli occhi fissi sull’utilità propagandistica per il presente più che sulla ricerca della verità. Da questo punto di vista, quest’anno registra un netto passo indietro. Sono riemersi dalle cripte gli accenti dell’antifascismo militante. L’innocentismo è stato bersagliato da anatemi in misura sconosciuta nel passato recente. Il ricatto antifascista si è fatto sentire più pesantemente. Ma questo non dipende tanto dallo specifico di Bologna quanto dall’instupidimento complessivo del confronto politico in Italia, che nella sinistra si riflette in due dogmi diffusi in aree non inconsistenti, tanto dementi quanto nefasti: quello stalinista per cui “L’antifascismo viene prima di tutto, anche della verità”, e quello giustizialista secondo cui “Le sentenze non si commentano”.

Valerio Cutonilli - Le condotte forcaiole non hanno mai giovato ad una seria ricerca della verità, esse servono unicamente a destare reazioni impulsive in porzioni più o meno consistenti dell’opinione pubblica.Le “verità politiche” sono tante e sono destinate inevitabilmente alla contrapposizione frontale. Esse non portano mai a nulla. Le sentenze di condanna di Ciavardini e degli altri, che ritengo profondamente ingiuste, sono figlie naturali di tale atteggiamento. La verità è una per definizione e proprio per tale ragione potrebbe lasciare scontenta una parte dello scacchiere politico.  Forse un giorno la storiografia militante, con le sue farneticazioni interessate, andrà finalmente in pensione. E a parlare saranno soltanto i fatti.

Antonio Rapisarda – Purtroppo è un vizio antico che ci portiamo dietro. Perché il nostro è un paese lacerato da una guerra civile permanente che ha attraversato le piazze, ma anche le carte processuali e quelle accademiche. Una visione manichea per cui si fa il tifo a prescindere per la storia o per le sentenze senza entrare mai nella narrazione delle cose e i suoi perché. Mi ha fatto impressione vedere come oggi ci siano ragazzi e giovani della mia età – nati proprio in quell’anno – manifestare contro il “revisionismo” sulla strage di Bologna: come se brandire la verità fosse un’arma politica o un’operazione di insabbiamento. Il dato incoraggiante, perché c’è e di questo dobbiamo essere contenti, è che questi sono settori ormai marginali dell’opinione pubblica. Perché per fortuna, proprio a sinistra, hanno fatto “scuola” anche giornalisti e politici coraggiosi che hanno sconfessato il “dogma” della pista nera a ogni costo per indagare appieno sulla verità. Insomma, per smantellare quello che chiami il bipolarismo forcaiolo occorre incentivare ancora di più l’incontro culturale, scientifico e perché no anche generazionale. E magari spiegare che gli incendiari di oggi e di ieri hanno creato a qualsiasi “scala” le condizioni perché si arrivasse anche a una strage del genere. E’ proprio la logica folle degli opposti estremismi che ha permesso alla menzogna di avere vita facile su Bologna. Facciamo in modo che quel tempo finisca una volta per tutte.

Ugo Maria Tassinari – La tendenza a ragionare per schemi e logiche di fazione è un male corrente ma su questo terreno mi pare che qualcosa si muova anche nel colpevolismo di sinistra. Che dopo essersi accontentato per anni della condanna e aver esplicitamente teorizzato che comunque non c’era motivo di difendere i fascisti da un’accusa debole e contraddittoria, oggi comincia a porsi il problema di una giustizia quantomeno incompiuta.