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Iraq: migliaia di giovani sunniti riprendono la via della guerriglia

di Moreno Pasquinelli - 07/11/2010

Abyssus abyssum invocat




(Nella foto Hussam al Majmaei, leader dei Consigli del Risveglio nella provincia di Dyala)

Dopo l’orrenda strage compiuta il giorno di Ognissanti in una Chiesa siro-cattolica, «al-Qaida in Mesopotamia» (AQM) ha rivendicato anche la serie di devastanti attentati compiuti due giorni dopo in alcuni quartieri shiiti di Baghdad. Undici autobomba hanno preso a bersaglio posti di polizia, ristoranti, locali pubblici, e luoghi di culto shiiti. Più di sessanta i morti, quasi 350 i feriti, Ma il conto non è ancora definitivo.

Nella sera del 2 novembre presi di mira i quartieri di Sadr City, Abu Kasher, Ur, Bayya, Jihad, Baghdad al Jedida, Yermoouk, Shiùla, Khadhimiya, Rashidiya, Ghazaliya. Poco più tardi tre colpi di mortaio si sono abbattuti sulla moschea shiita di Jawadiya, nel quartiere di Geriyat. Il segnale inviato da parte di AQM è chiaro: la “guerra santa”, che già dalla fine del 2005 si era trasformata da Resistenza contro gli occupanti in una fratricida aggressione contro la comunità shiita, è ripresa in grande stile.

Com’è stato possibile, nella città più militarizzata del mondo, con il più alto numero di chek-point, di poliziotti di ogni ordine e grado, di spie d’ogni colore; con barriere divisorie di cemento tra le diverse comunità, portare a compimento questo gigantesco attacco multiplo? Di sicuro esso ha mostrato due cose. La prima è che l’apparato di sicurezza iracheno, appaltato dagli occupanti alle milizie e alle forze di polizia shiite, fa acqua da ogni parte, mentre AQM ha dato prova di un’eccezionale capacità logistica e organizzativa.

Se la prima cosa non stupisce gli analisti (l’Iraq è senza governo da otto mesi, da quando si svolsero le elezioni il 7 marzo), la seconda li ha lasciati letteralmente di stucco. Ma come, si chiedono, non avevamo decapitato AQM?  In verità AQM ha dato dimostrazione di aver riorganizzato i suoi ranghi già l’anno passato. AQM rivendicò infatti tre sanguinosi attentati, il primo nell’agosto 2009, quando due attentatori suicidi colpirono il Ministero delle Finanze e quello degli esteri, uccidendo 122 persone. Il secondo, nell’ottobre, quando sempre un’auto con uno shahid a bordo colpì un edificio governativo ammazzando 155 persone. Il terzo infine, nel dicembre del 2009, quando diverse auto-bomba uccisero 121 persone.

L’offensiva è continuata nel 2010, tant’è che il Generale americano Ray Odierno, comandante in capo delle forze d’occupazione, espresse la sua sorpresa per la capacità di AQM di coordinare attacchi simultanei in tredici città. (citato dal New York Times del 4 novembre 2010)

In effetti gli americani, dopo aver subito dal 2003 al 2006 colpi durissimi da parte dell’ala qaidista della Resistenza irachena, pensarono di averla debellata dopo che riuscirono, prima a far fuori (giugno 2006) il giordano Abu Musab al-Zarqawi e successivamente, per precisione il 18 aprile 2008, l’egiziano Abu Ayyub al-Masri ed Abu Omar al-Baghdadi, che nel frattempo avevano rimpiazzato il vecchio gruppo dirigente. Il colpo finale sembrava essere stato portato proprio nella primavera del 2010, quando vennero uccisi o arrestati i tre quarti del gruppo dirigente qaidista di terza generazione. Ma non è stato così. Solo nell’estate scorsa AQM è riuscita ad organizzare, secondo le stesse fonti del Ministero degli interni iracheno, attacchi che hanno compiuto più vittime che negli ultimi due anni.

Quali sono le cause di questa rinascita su larga scala del qaidismo iracheno? Si sottolinea ad esempio il vuoto di poteri determinato dall’incapacità di formare un governo. Certo questo fattore è importante, tuttavia a noi non pare decisivo. Tre sono, a nostro modo di vedere, le ragioni vere.

La prima è che la guerra civile, il conflitto tra le due principali comunità religiose musulmane, specifico precipitato dell’aggressione e dell’occupazione imperialista, era solo sopita e le sue cause restavano accese sotto una sottile coltre di cenere. Questa guerra dipende, lo sappiamo, dal dissidio ancestrale tra le due confessioni, ma la sua recrudescenza deriva da due fattori che l’occupazione ha portato alle sue estreme conseguenze. Da una parte il dissesto economico e lo sfacelo sociale, la miseria generalizzata, la lotta per la sopravvivenza che attanaglia larga parte della popolazione. In ampie zone del paese lo Stato compare solo come crudele forza di polizia, mentre non funziona affatto l’erogazione dei servizi di prima necessità: l’energia elettrica che va e viene, l’acqua che manca, la sanità e la scuola allo sfascio, il trasporto pubblico inesistente. Tutto questo mentre la disoccupazione è alle stelle, l’inflazione cresce e la corruzione e il nepotismo dilagano. In questo quadro, dove lo Stato è l’unico erogatore di reddito e dispensatore di lavoro, si giustifica la percezione della comunità sunnita di essere discriminata ed emarginata, la qual cosa è un utile carburante per il revanchismo comunitario e in ultima istanza per quelle organizzazioni (non solo AQM) che propugnano la lotta armata come unica soluzione per cambiare il corso degli eventi.

D’altra parte l’Iraq è al centro di un grande e duplice scontro geopolitico, che vede contrapposti gli Usa all’Iran da una parte, come anche l’Iran all’asse arabo saudita e egiziano. I due fronti si accavallano, e non sempre coincidono. Gli americani, ferma restando l’installazione di basi militari strategiche in Iraq, dovranno ritirare gran parte delle loro truppe d’occupazione nel 2011. Dall’altra il fronte arabo anti-persiano, che teme che col ritiro americano sia l’Iran a rafforzare la sua presa. Che questo  fronte voglia impedire che l’Iraq diventi un satellite di Tehran, non c’è dubbio. Di qui i legittimi sospetti che le satrapie arabe abbiano tutto l’interesse a destabilizzare il paese, per rendere la vita difficile ai persiani.
Significa forse questo che dietro alla rinascita di AQM ci siano i sauditi? Resta il sospetto, mancano le evidenze. Di certo non si è fermato l’afflusso di combattenti salafiti verso l’Iraq, paese che è diventato per questi ultimi una specie di Spagna dell’Islam: epicentro dello scontro con gli USA e quindi motivo di reclutamento di vere e proprie brigate salafite  internazionali.
D’altra parte non è un mistero che i persiani addestrino e sostengano le milizie shiite in Iraq, anzitutto il Jaysh Al-Mahdi (JAM) più o meno fedeli (più meno che più) a Moqtada al-Sadr, e le Brigate Badr (o Badr Corps), ala militare dell’ex SCIRI (Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq), fondate dall’Ayatollah Mohammed Baqir Al Hakim ai tempi di Saddam Hussein.

Ma c’è una terza ragione che spiega la rinascita del qaidismo in Iraq. Stiamo parlando dello smottamento dei cosiddetti “Consigli del Risveglio” (Awakening Councils), noti anche come “Figli dell’Iraq”. Si tratta di buona parte delle milizie tribali sunnite, che testa d’ariete della Resistenza contro gli occupanti, nel 2006 passarono armi e bagagli con gli americani di Petraeus. Il motivo di questo sorprendente voltafaccia è noto: essi accettarono di fare fronte con gli americani per combattere proprio la guerriglia qaidista, alleata fino al giorno prima. Di questo fenomeno ci occupammo a suo tempo (Doppio salto nel buio. Riflessioni postume sulla sconfitta della Resistenza Irachena), e rimandiamo quindi a quell’articolo. Di certo gli americani non hanno vinto sul campo di battaglia, come erroneamente si pensa, la resistenza irachena. L’hanno comprata, per questo non debellata. Si calcola di più di centomila ex-guerriglieri “frustrati” siano passati al libro paga degli americani, con la promessa che quanto prima sarebbero stati assunti come dipendenti dal governo iracheno.
Un posto fisso, tuttavia, l’hanno ottenuto nemmeno la metà. L’altra parte è stata abbandonata a  se stessa e vive, con famiglia a carico, di stenti. Di qui il flusso in senso contrario venuto crescendo negli ultimi mesi: il passaggio di migliaia di “Figli dell’Iraq”, di miliziani dei “Consigli del risveglio”, nelle file della guerriglia, e molti di questi sono andati ad ingrossare le cellule di AQM. Non c’è dubbio che questo riposizionamento di molte tribù sunnite (anzitutto nelle province di al-Anbar, Diyala e Baghdad), è la causa primaria della rinascita del qaidismo, che grazie ad esso ha di nuovo ingrossato le sua fila.

Dello smottamento dei “Consigli del risveglio”, ovvero della “defezione di massa”, si occupa, con dovizia di particolari, il New York Times del 16 ottobre . Il Washington Post del 26 settembre, segnala invece un fatto emblematico: il licenziamento nella provincia di al-Anbar da parte del Ministero degli interni di 410 poliziotti tutti ex-miliziani dei Consigli (solo in questa provincia sono 30mila gli ex-guerriglieri diventati poliziotti). Un licenziamento, fanno notare i notabili sunniti, che ha un tremendo valore simbolico e che accresce la tendenza di molti giovani a tornare alla lotta armata.

Questa inversione è solo un colpo di coda, o un fenomeno di lungo periodo? Pendiamo per la seconda ipotesi. Da una parte lo sfascio sociale, economico e politico, la corruzione e il nepotismo dilaganti, non offrono molti margini di spesa per spesare intere comunità. Dall’altra la determinazione dei partiti shiiti filo-iraniani a tornare al governo (dopo otto mesi sembra che al-Maliki sia nuovamente primo ministro) spingendo all’opposizione il blocco di Allawi che si è piazzato per primo alle elezioni del marzo scorso (e comprendente gran parte dei notabili sunniti) spinge ad una radicalizzazione dello scontro, non certo alla pacificazione. La guerra civile rischia dunque di riesplodere in forme forse ancor più cruente, con la possibilità di un catastrofico redde rationem, del precipitare dell’Iraq in un nuovo bagno di sangue.
Da anni segnalavamo quanto aleatorio fosse il processo di normalizzazione, quanto fragile fosse il cosiddetto “successo strategico” di Petraeus (l’alleanza tattica con la guerriglia sunnita contro il qaedismo), e quanto alto fosse il rischio che la guerra e l’occupazione avrebbero lasciato il paese in preda alla “libanizzazione”. Solo che ciò che accadde in Libano dai settanta ai novanta, è nulla rispetto a ciò che potrebbe accadere in Iraq. Gli USA hanno invocato l’abisso, e molto probabilmente l’avranno.