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Troppa economia ferisce la psiche

di Guido Ceronetti - 21/08/2011


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Limitata e sporadica, la depressione è esistita sempre, e con più nomi nominata: spleen , cafard , acedia , taedium vitae , etc. Oggi è epidemica, pandemica, colpisce chiunque. Dove ci sono molti libri, là ha un luogo di elezione, si fissa, non la mandi più via. Contro questo pervasivo malessere (mal-di-essere) non tengono benesseri sociali o personali, e i farmaci (psicofarmaci, antidepressivi, sonniferi, Prozac) alimentano una sterminata industria, interessata ad attenuarla senza guarirla: a creare e diffondere il morbissimo della Dipendenza. Tutto l' Occidente, e ormai resta poco che non sia Occidente, è fondamentalmente depresso psichicamente: la condizione esistenziale delle città (e di non-città non esiste quasi più nulla, nemmeno i deserti) è generatrice incessante di ogni forma di depressione. Ora, questo vomitare ininterrotto stampato e mediatico, economia-economia-economia, questo non occuparsi d' altro delle classi dirigenti, questo sparare addosso alla gente con fucili automatici che c' è una crisi inaudita, mai vista finora, colossale, irrimediabile, ovviamente planetaria, in quale ideale pattumiera finisce - se non l' anima umana, la sostanza mentale, il corpo eterico, col fine (forse è questo il suo fine, perché niente è pura superficie) di farli a brandelli? Siamo, ascoltando la radio, leggendo i giornali, un bugliolo tremante, un triste cesso dove si deposita il malaugurio - vedi i titoli, assorbi i commenti, crogiòlati negli approfondimenti... E l' anima umana (se vuoi puoi chiamarla anche psiche , ma non ti permetto di chiamarla il Dna ) piglia il nutrimento, come un eterno lattante, da quando esiste il linguaggio radicato nel pensare, dalle parole . Stiamoci attenti. Perché l' anima - quella che la Scrittura nomina come néfesh chàim , «anima-che-vive», non ente trascendente ma lo stesso respiro - accolga come vitale nutrimento le parole, carne del Logos trascendente, occorre che nessuna abbia riferimento a questo drago fumante che viene chiamato economia non osando guardarlo in faccia e ucciderlo. L' economia, nel linguaggio, è fecalità invasiva, bisognosa di purga drastica. Fa' che l' assorbiamo in quantità crescente da tutto quel che è parlante (scritto o audiovisivo, e ritengo che qui il mezzo più potente sia il radiofonico, tutte le sonorità più assassine l' universo umano le riversa nella penetrazione acustica) e vedrai in quale stato avrai ridotto questo tapino di inconscio, individuale e collettivo. Il nostro rapporto col mondo numerico è fatto dalle piccole cifre. Anche un ministro dell' Economia, che ha la sartoria dei miliardi in dollari e in euro, quando spende da uomo qualunque conta i centesimi nel portamonete, può arrivare a cento euro quando gli si presenta un conto di ristorante. Per dei girasoli o una Provenza di Van Gogh, di valore spirituale immenso, senza corrispondenza monetaria, io troverei giusto non si spendessero più di otto-novecento sterline. Un' asta onesta dovrebbe partire da tre-quattrocento; bravo Sotheby, questi sono affari puliti! Il vero mercato, per tutta la gente comune, e nel mondo, bene è stato scritto, «non è se non vulgo», il mercato che lascia l' anima vivere, è il mercatino ortofrutticolo, o la fiera mensile dell' antiquariato. Le cifre spasmodiche delle Borse, invece, sono percentuali di morte, necroeconomia, come la definì la «Welt», al tempo ancora del marco in marcia dell' Aida . E dappertutto dove il leviatano fetentissimo della necroeconomia alza la testa spaventosa, la Depressione miete vittime a milioni. E non c' è difesa.