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Il rogo dei libri (solo se «nemici»)

di Pierluigi Battista - 20/09/2011

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Un Tribunale manda «Falce e carrello» al macero. E tutti tacciono Ma almeno un gesto, una finta. Una «mossa» tanto per far capire che la censura è una cosa odiosa, gli apostoli della libertà di stampa conculcata, potrebbero pure simularla anche in favore di un nemico. D’accordo, le Coop non si toccano, venerate come una reliquia sacra e quindi bisognose di robuste esenzioni fiscali, ma per questo il libro del patron dell’Esselunga Bernardo Caprotti, Falce e carrello (Marsilio), deve essere bandito, gettato al macero, bloccato nella pubblicazione, per sentenza di un tribunale che dovrebbe giudicare nel nome del popolo italiano e non in quello dei baroni dei supermercati politicamente corretti? Niente. Non una protesta, un sussurro, un sospiro. Niente di niente. Quelli della sacralità dell’articolo 21 della Costituzione: silenzio tombale. Quelli della compagnia di giro che agita le bandiere viola solo quando le aggrada: muti come disciplinatissimi scolaretti. In questo non viene solo sanzionato l’autore di un libro che contiene una diffamazione (che infatti, con una sanzione proporzionata, deve pagare una certa somma a chi è stato riconosciuto come diffamato), ma viene intimato di distruggere tutte le copie del libro incriminato. E non si chiede, come sarebbe stato lecito, di emendare le prossime edizioni del libro degli eventuali errori. No: si chiede che l’intero libro sia messo al rogo. D’accordo, gentili paladini a singhiozzo delle libertà mortificate, non riguarda voi, i vostri amici e i vostri affari e dunque i principi universali possono attendere. Ma insomma, una semplice parolina per dimostrare che non siete degli ipocriti incalliti, dei bugiardi seriali, potevate pure pronunciarla. Non dico una manifestazione a Piazza del Popolo con le attrici e i giornalisti Rai martiri, questo è troppo. Ma un comunicatino, una noticina, una protesta piccina piccina, solo per una questione di firma. Che mondo dimezzato che è questo. Dove si è garantisti con se stessi e forcaioli con tutti gli altri. Dove le intercettazioni sono un’imprescindibile esigenza investigativa se ad essere origliato è il nemico, e invece una vergogna barbarica se l’intercettato è un amico.  Che mondo, dove i tribunali italiani decidono quale libro può uscire e quale no ma la cosa non interessa i difensori della libertà d’opinione. Della propria. Perché quella degli altri non è un argomento sexy. E neanche meritevole, figurarsi, di un frammento di un’indignazione altrimenti generosamente profusa.