Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Un vallum mediterraneum? No, grazie

Un vallum mediterraneum? No, grazie

di Franco Cardini - 16/10/2013

Fonte: francocardini


 

Conoscete la leggenda medievale di Gog e Magog? Ce l’anno riraccontata anche Pascoli, Gozzano e a modo suo Buzzati: peccato che non si leggano più Erano i due terribili popoli di mostri che abitavano le plaghe dell’Asia centrale, oltre i monti dell’Indo Cush. Alla fine del IV secolo a.C. vi si affacciò anche il grande Alessandro. Implorato dai poveri agricoltori del nordovest indiano, atterriti da quell’immane pericolo, il conquistatore fece elevare tra quelle cime e quei passi montani un’immensa muraglia di bronzo irta di trombe sonore dal tremendo suono il vento ci passava attraverso: così quei mostri avrebbero pensato nei secoli che l’esercito macedone era sempre là, a guardia del mondo civile contro la loro invasione. Ma un giorno, tanti secoli dopo, una di quelle orribile creature salì fino alla muraglia, la esplorò, si accorse che era ormai cadente e indifesa. Tornò giù di corsa ad avvertire gli altri: e l’orda lilagò allora per il mondo intero, mettendolo a ferro e a fuoco.

Può darsi che dietro la leggenda si celi la storia di come, tra metà Duecento e primi del Quattrocento, in ben due differenti terribili ondate, i tartari di Genghiz Khan prima e i turkmeni di Tamerlano poi abbiano conquistato quasi per intero il continente eurasiatico giungendo ai margini del Mediterraneo. E la “Muraglia Cinese”? Servì a tanto poco che Marco Polo, nel suo viaggio tardoduecentesco attraverso l’Asia, non si accorse nemmeno della sua esistenza.

Stessa malinconica fine avevano e avrebbero fatto, prima e dopo la grande Muraglia, analoghe ciclopiche opere di difesa. Dichiarate invincibili, inatterrabili e insuperabili quando erano state erette, si dimostrarono inutili nel momento della prova: o inutilizzate, in quanto la prova non venne mai. La storia delle imprendibili mura di Troia aggirate da un truccco quasi infantile o delle colossali mura di Gerico sbriciolate dal suono delle trombe di Dio è sempre quella. La rocca di Massada era imprendibile, ma cadde per fame. Roma si salvo dai celti nel IV secolo a.C. perché aveva brave oche, non forti difese; e parecchio tempo più tardi le formidabili mura erette attorno al Caput mundi dell’imperatore Aureliano nel III secolo d.C. – bellissime: e per larghi tratti ancor oggi ammirate da tutti – non servirono a fermare né Alarico nel 410, né Genserico nel 455, né i saraceni nell’846, né Carlo V nel 1527. I Valla fatti erigere in Dacia da Traiano e poi da Adriano e in Britannia da Adriano e da Antonino Pio nel II secolo d.C. non servirono né a contenere i barbari finché essi si limitarono a premere alle frontiere chiedendo di essere ammessi pacificamente nell’impero – che frattanto era in fase di decremento demografico e aveva bisogno di soldati e di agricoltori – né a frenarli quando si presnetarono in massa ed armati. Il limes reno-danubiano, che non fu mai una vera e propria linea fortificata continua, fu in effetti per lunghi secoli utile come frontiera controllata: ma i germani che fuggivano alla carestia determinata dal raffreddamento continentale tra II e VII secolo circa e alla spinta dei turcomongoli che li premevano alle spalle (unni, àvari, ungari) furono accolti per molti secoli all’interno del territorio imperiale e insediati come soldati-coltivatori foederati e limitanei: poi l’impero d’Occidente crollò silenziosamente, nel 476, e quelle barriere non servirono più a nulla.

Tutti conoscono infine la malinconica fine dell’inutile Lina Maginot, che Hitler aggirò da nord e colse alle spalle calpestando con geniale cinismo la neutralità belga; e la triste fine del Vallo Atlantico, proclamato invincibile e pur valorosamente difeso nel ’44 dalle truppe del Terzo Reich.

Le grandi opere di difesa sono utilissime: danno gloria, fama e onore a chi la costruisce; mobilitano capitali immensi e forza-lavoro infinita; offrono prosperità a numerose maestranze e ricchezza a sostanziosi gruppi d’imprenditori. Ma poi, o la prova non arriva mai, o alla prova si rivelano inadeguate.

Quel che adesso, in modi e con caratteristiche diverse, il presidente Letta e l’Unione Europea progettano di organizzare a nord delle coste mediterranee di sud-est, è un Vallum Mediterraneum. Dovrebb’essere molto costoso ma non difficile da organizzare con i mezzi militari e tecnologici a nostra disposizione: oltretutto, il Mediterraneo e irto di basi NATO che alla bisogna dovrebbero essere ben utilizzabili. Servirà a disciplinare, regolare e anche in parte diradare l’esodo dall’Africa e dal Vicino Oriente. Non potrà fermarlo perché la ragione di esso è profonda ed epocale: sta nell’impoverimento e nella distruzione del tessuto socioproduttivo del continente africano, nelle sue immense aree che lo sfruttamento delle lobbies multinazionali ha ridotto al regime di monoculture seminando disoccupazione, miseria e perfino fame (e arrivando all’impossibile: affamare le regioni subtropicali, una cosa inaudita…), nel disordine delle guerre civili e dei regimi tirannici risultato non solo, ma anche del pessimo processo di decolonizzazione messa in atto in Africa dalle potenze europee dopo la seconda guerra mondiale e dell’instabilità vicino-orientale frutto del demenziale assetto di quella regione all’indomani della prima. Se non si pone rimedio a queste cause profonde, è inutile prendersela con la pur criminale attività degli scafisti, che sono funzionale alla nostra società – lo si voglia o no – esattamente come i negrieri del Sette-Ottocento erano funzionali al sistema schiavistico.