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L’Iran, un paese libero, democratico e pacifico

di Alessio Caschera - 29/12/2013

Fonte: lintellettualedissidente


Un' aura di fondamentalismo retrogrado, affibbiatogli dall’Occidente senza una ragione del tutto chiara, forse solo per spirito di superiorità e anche un po’ di ignoranza

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Tratto dal Numero Uno

L’ascesa sciita in alcuni paesi chiave del medioriente sta ridimensionando i rapporti di forza nello scacchiere regionale: il vento è cominciato a cambiare dal 2006, anno dell’elezione di Al-Maliki a primo ministro iracheno e anno della vittoria di Hezbollah su Israele, nella seconda guerra del Libano. Si è assistito a quella che molti hanno definito “la rivincita Sciita”. Minoranza nel mondo musulmano, perseguitati, considerati eretici, spesso oggetto di veri e propri pogrom, i seguaci di Ali, cugino prima e genero poi del profeta Maometto, sono riusciti in un’ impresa quasi impossibile, diventare potenti in un mondo in cui sono sempre stati minoranza.

Questa rinascita, tuttavia, non sarebbe stata possibile senza l’Iran, che a partire dal 1979, anno della rivoluzione islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini, è riuscito a trasformarsi in una nazione forte, in grado di intimorire i vicini e i loro alleati. Questa sua forza, però, ha contribuito ad alienargli le simpatie di gran parte del mondo occidentale, Stati Uniti in testa. La tensione con Washington ha infatti origine proprio negli anni della rivoluzione khomeinista, culminata con la cacciata dello Scià e l’assalto all’ambasciata americana a Teheran.  Questo eccesso di tensione e la paura diffusa in buona parte dell’opinione pubblica occidentale nei confronti dell’Iran, ha portato lo  scontro a livelli altissimi. L’apice della tensione si è raggiunto nel 2005, con l’elezione dell’ultraconservatore Ahmadinejad alla presidenza iraniana, interpretato dagli avversari come un chiaro gesto provocatorio. Ma nell’estate del 2013, accade  qualcosa di nuovo: a diventare presidente è il “moderato” Hassan Rohani, ex capo negoziatore per il nucleare. La notizia che il vento è  cambiato arriva anche a Washington e al presidente Obama, grande sconfitto nella partita mediorientale, che vede nel tentativo di amicizia con il nuovo moderato di Teheran, un possibile riscatto. L’Iran di Rohani appare un paese diverso, libero da quell’aura di fondamentalismo retrogrado, affibbiatogli dall’Occidente senza una ragione del tutto chiara, forse solo per spirito di superiorità e anche un po’ di ignoranza.

Artefice della nuova politica che ha portato a un lento disgelo è senza dubbio la guida suprema Ali Khamenei, consapevole che solo con un accordo con lo storico nemico si può far respirare il paese strozzato dalle sanzioni. In questo clima festoso e di riconciliazione, qualcosa è però andato storto, i comportamenti da mogli gelose tenuti da Arabia Saudita e Israele nei confronti di Washington hanno rallentato il riavvicinamento, portando a un nuovo stallo, riflesso nei faticosi negoziati di Ginevra sul nucleare. Al di là dei presunti tweet del neo presidente, delle aperture al mondo giovanile, con Rohani qualcosa però sembra veramente cambiata; se a livello istituzionale l’ultima parola spetta sempre alla guida suprema, depositaria del messaggio rivoluzionario di Khomeini, le aperture verso l’esterno del nuovo presidente fanno ben sperare, anche se la paura nei confronti di Teheran è ancora tanta. La vera sfida è ora far capire agli occidentali che non si deve aver  timore dell’Iran. Il problema di questi ultimi trent’anni nelle relazioni tra Teheran e i suoi nemici storici, è stata proprio la mancanza di comunicazione: entrambi schierati spesso su posizioni intransigenti, hanno rifiutato qualsiasi tipo di contatto, scambiandosi accuse reciproche.

La vera rivoluzione di Rohani dovrà essere non tanto una rivoluzione sugli stili di vita,  l’attuale regime politico del paese, infatti, non è frutto dell’imposizione del clero sciita bensì di un referendum popolare, quanto una rivoluzione comunicativa per far conoscere davvero la Repubblica Islamica, che sicuramente avrà i suoi limiti ma che non è certo quel “mostro” che quotidianamente ci viene presentato: un paese barbaro, violento e base per i terroristi di tutto il mondo. In realtà in Iran sono riconosciuti i diritti della persona, le elezioni sono  libere e regolari,  le minoranza religiose hanno diritto di rappresentanza all’interno del Parlamento, possono partecipare con propri partiti politici e le donne hanno libero accesso alle cariche pubbliche.

Certo, in Iran vige la legge  islamica, così lontana da noi e per questo “medioevale, oscurantista e antidemocratica”, ma chi ci dà il diritto di giudicare cosa sia “democratico” o “antidemocratico”?  Se prendiamo in considerazione le caratteristiche base della “democrazia minima”, le ritroviamo, con sorpresa di alcuni,  ben presenti nel panorama politico iraniano. Con tutti i suoi limiti, dovuti anche all’eccessivo conservatorismo di alcune delle sue elite, l’Iran si è dimostrato in diverse occasioni più umano, democratico e pacifista (in mille anni di storia non ha mai avuto mire espansionistiche bensì ha sempre subito le influenze straniere)di tante realtà impegnate in lezioni di libertà e democrazia, diventate stucchevoli e poco credibili, quelle stesse realtà che finanziano senza vergogna le petromonarchie del Golfo e i jihadisti in Siria.