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Gli altri Lager: quando i tedeschi vennero internati nei campi di concentramento inglesi e USA

di Daniele Scalea - 06/01/2014

Fonte: huffingtonpost



Alcune settimane fa fece scalpore il caso dell'opera "Komme, Frau", del giovane artista polacco Jerzy Szumczyk. La statua vuol rammentare i numerosi stupri che i soldati dell'Armata Rossa, avanzando in suolo tedesco (oggi spesso parte della Polonia) nel 1944-45, compirono ai danni delle donne tedesche; fenomeno immortalato a suo modo da un testimone oculare d'eccezione, Aleksandr Solženicyn, nel suo Prusskie noči. La scultura, posta senza permesso nel centro di Danzica, è stata rimossa dalla polizia e il suo autore arrestato per qualche ora.

A riconferma dell'adagio secondo cui sono i vincitori a scrivere la storia, nonché della particolare ferocia che in quegli anni mostrarono i Tedeschi, oggi sappiamo tutto degli efferati crimini di guerra della Germania nazista; ma delle rappresaglie che cittadini tedeschi, spesso innocenti, dovettero subire nei mesi della sconfitta, è ben più raro leggere o udire. Il fatto che quasi sempre si trattasse di reazioni alle atrocità precedentemente commesse dalla Germania aiuta a comprendere ma non permette di giustificare moralmente tali rappresaglie.

Le violenze compiute dai Sovietici sono emerse per prime alla pubblica notorietà, se non altro perché presto l'URSS divenne il nemico per tutto l'Occidente, e nessun argomento era più tabù per attaccarlo. Si stimano in circa 12 milioni i tedeschi che, sul finire della guerra e negli anni immediatamente successivi, emigrarono, volontariamente o perché minacciati di violenza o ancora scacciati con la forza, dall'Europa Centro-Orientale, e in particolare dalle regioni della Germania Orientale che furono annesse alla Polonia o alla Russia. La stima delle morti occorse in tale processo è assai variabile, ma mai molto inferiore al mezzo milione.

Difficilmente si troveranno invece notizie di crimini di guerra a danno dei Tedeschi a opera delle potenze occidentali. Ciò può dipendere dal fatto che, se vi furono, furono di scarsa entità; o che siccome la Germania Ovest fu subito reinserita internazionalmente nel sistema della NATO e della futura UE, nessuno ritenne opportuno soffermarsi su quelle pagine di storia che potevano compromettere la ritrovata amicizia.

Tra i sostenitori di quest'ultima tesi è James Bacque, scrittore canadese autore di un libro che, alla sua uscita nel 1989, suscitò un certo clamore: Other Losses, pubblicato in Italia da Mursia col titolo Gli altri Lager nel 1993.

Quando le truppe statunitensi e britanniche avanzarono in Germania, si trovarono di fronte a soldati che sembravano solo desiderare d'arrendersi loro. Gli alti comandi tedeschi sapevano che la guerra era perduta e, disattendendo gli ordini di Hitler, opposero una strenua resistenza sul fronte orientale cedendo invece su quello occidentale. I Tedeschi si aspettavano dagli anglo-americani una pietà maggiore di quella che avrebbero ottenuto dai Sovietici (se non altro perché ai primi, a differenza dei secondi, non avevano inflitto milioni di vittime). Milioni di combattenti germanici furono così internati in campi di concentramento statunitensi, britannici e in seguito francesi.

Bacque, aiutato dallo storico militare Colonnello Ernest Fisher Jr., raccolse numerose testimonianze orali e archivistiche, giungendo alla conclusione che nei campi di concentramento statunitensi e francesi morirono di fame o malattia 800.000 o più prigionieri tedeschi. Bacque ritiene che queste morti non furono inevitabili, perché in Europa vi erano allora sufficienti scorte per garantire la sopravvivenza dei prigionieri, che infatti nei campi di concentramento britannici non morirono in sì gran numero. Secondo l'autore canadese fu invece il comandante supremo statunitense (e futuro presidente) Dwight Eisenhower - il quale, malgrado o proprio per le sue origini tedesche, aveva in gran odio la Germania - a imporre un trattamento tanto duro ai prigionieri, togliendo loro lo stato di "prigionieri di guerra" (tutelati dalla Convenzione di Guerra) per quello di "forze nemiche disarmate" (senza tutela giuridica internazionale), tenendo tende e viveri nei magazzini anziché distribuirli nei campi, impedendo ai civili nei dintorni dei campi così come alla Croce Rossa e altre organizzazioni caritatevoli di recare aiuti agl'internati.

L'opera di Bacque (non uno storico di professione) trovò numerosi critici, uno dei più accaniti dei quali fu il famoso (e controverso) biografo di Eisenhower Stephen Ambrose, che pure inizialmente aveva incoraggiato ed elogiato il lavoro dello scrittore canadese. Ambrose e altri storici hanno criticato tanto la trattazione delle fonti quanto le analisi statistiche di Bacque, concludendo che il numero di morti fu assai inferiore, e non dovuto a un'intenzione genocida di Eisenhower bensì alla carenza di viveri nell'Europa post-bellica. Bacque e Fisher hanno invece rilanciato, asserendo d'aver trovato conferma delle loro stime negli archivi sovietici nel frattempo aperti ai ricercatori (clicca qui per la risposta di Bacque e Fisher a Ambrose, e una replica di Bishoff e Loring Villa).

Quando si parla di grandi drammi storici, dare le cifre assomiglia spesso a un esercizio quasi cabalistico: determinare le dimensioni esatte è difficile al limite dell'impossibilità, e in fondo nemmeno così importante. Un crimine rimane tale a prescindere che riguardi 10 mila o 100 mila o 1 milione di persone. Ordini di grandezza diversi ne distinguono la gravità, ma non ne estinguono la colpa.

Le testimonianze fotografiche e oculari (sia di prigionieri sia di carcerieri) raccolte da Bacque ci mostrano campi di concentramento ch'erano tali nel vero senso della parola: campi, distese di terra circondate da filo spinato, senza baracche, senza tende, in cui i prigionieri erano costretti a scavare buche nel terreno per avere un minimo riparo; in cui i prigionieri ricevevano poco cibo, sovente erano costretti a digiunare, e non avevano alcuna assistenza medica.

Guardando da una prospettiva elevata, discettando di nazioni e responsabilità collettive, si potrebbe obiettare che giustizia fu fatta: i Tedeschi subirono sulla propria pelle ciò che avevano fatto subire a molti popoli loro soggetti. Ma man mano che ridiscendiamo verso terra, in quella massa indistinta che erano i Tedeschi cominceremo a discernere singole persone, ognuna con la sua individualità, la sua responsabilità, la sua umanità. Sicuramente tra quei prigionieri vi era qualche criminale di guerra, ma senza dubbio la stra-grande maggioranza di loro non aveva altra colpa che di essere stata chiamata alle armi dal suo paese.

Forse l'aspetto più deleterio della guerra, e soprattutto della "guerra totale", è quello di trasformare con incredibile facilità e naturalezza le vittime in carnefici e i carnefici in vittime. L'innocenza cruenta ed eroica del combattente svanisce, la crudeltà sadica sul nemico inerme ascende in primo piano.