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Il tempo è morto, il silenzio è morto ed anche la società non si sente molto bene

di Carlotta Maria Correra - 01/06/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


La vera oppressione è quella invisibile che fa credere di essere padroni della propria individualità, e che invece sceglie per noi. Così fra rumore assordante, chiasso e non più musica, caos, frastuono e non più armonia, chiacchiera ininterrotta e non più dialogo, la scelta del silenzio, non esiste più.

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E’ un fiume il silenzio ,che si ramifica in tutte le possibili forme, per sfociare a delta nel profondo mare dell’interiorità. Vi sono molteplici nature assunte dal silenzio. Questo si compone di infiniti volti ed infiniti corpi.Vi è Il silenzio che manifesta riservatezza, vi è il silenzio che minaccia ostilità o che annuncia collera e rancore. Vi è il silenzio che crea ed accresce sensazioni di esasperata ed indicibile intensità, vi è il silenzio che innalza la preghiera ed il silenzio febbrile del dolore e dell’angoscia. Il silenzio in ogni caso è il ricco vuoto che accoglie l’intero ventaglio d’emozioni quiete ed incandescenti, impetuose ed anguste, palpitanti ed inaridite.

Il silenzio, secondo Heidegger, è primariamente propedeutico alla comprensione, in quanto permette una compartecipazione al dialogo ed in seguito consente l’elaborazione delle parole udite. Una comunicazione, che si realizza in un rigetto ininterrotto di parole, è un’esclusiva prevaricazione del soggetto che vuole imporsi, per mostrare sè o, meglio, per mostrare quel che si vuole far credere di sè. In tal modo il senso da comprendere è totalmente oscurato, portando al finale, ormai ben noto, della perdita di significato e di essenza della parola. Come anche Dinouart, nel saggio “L’Arte di tacere” afferma che il silenzio è il presupposto del dialogo, in quanto raggiungere uno stato di quiete, nel quale saper ascoltare, è ciò che consente di avvicinarci alla nostra essenza, ed è qui che nasce la capacità di comunicare, con il mondo ed in particolar modo con noi stessi. Senza dubbio anche nella poesia e nella letteratura il silenzio è d’essenziale importanza. Edgar Lee Masters, riconosceva al silenzio, la capacità di esprimere l’inesprimibile “Per le cose profonde a cosa serve la parola? “. Ma il silenzio è anche il ponte necessario per raggiungere la dimensione spirituale e dunque per arrivare a Dio. Così per Rilke, quando l’uomo non ascolta il rumore della vita quotiana, trova Dio, nel proprio silenzio interiore. Nel settimo sigillo di Bergman, il protagonista domanda“Perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi?. La morte tace, la risposta è con e nel silenzio.

Eppure, in una società moderna che raglia, tale ricchezza di sincerità sensibile è assordata da rumori e parole, decurtate del loro significato sincero ed originario. Il Novecento, di fatti, ebbe inizio così: squillo della campanella, fischio del vapore, ed in seguito suono, ritmico e martellante dell’operaio al lavoro, «la macchina a vapore-scriveva Engels- è sempre in movimento, le ruote, le cinghie e i fusi [...] ronzano e strepitano continuamente nelle orecchie». Ed in tal processo di industrializzazione, secondo lo storico e saggista Pivato, vennero spalancate le porte al “Secolo del rumore”,con treni, automobili, aeroplani, telefoni, nel segno della velocità e del frastuono, l’uomo, per dar voce alla macchina, cominciò a dimenticare il silenzio, il cui definitivo sorpasso venne annunciato dal fenomeno, che porta il nome, già in sè alquanto fragoroso,di boom economico. Nella società odierna tale processo può dirsi completato,. E se nel passato il silenzio, come sopra detto aveva un’importanza essenziale, oggi la nostra modernità ritiene che in nome dell’evoluzione, si debba rifiutare l’antico, perciò, dopo la morte del tempo annunciata da Montale, vi è stata l’uccisione del silenzio, eliminati entrambi perchè strumenti di riflessione interiore. Ed è proprio questo il punto che nell’era della riproducibilità tecnica giungere al genocidio delle sensazioni e delle riflessioni, per conseguire alla riproduzione del sentire, senza alcuna dimensione soggettiva ,diventa il traguardo ed inevitabilmente il tramonto della società. Il deserto emotivo e riflessivo procura all’animo umano un’apparente tranquillità e benessere, perchè permette di sfuggire a ciò che di più intenso e di più difficoltoso esista, ossia alla conoscenza di sè e degli altri, ed è in tale aridità che il potere agisce indisturbato. Senza alcun accorgimento il linguaggio stereotipato si impossessa della nostra mente, avanza e distrugge ogni originale riflessione creativa. Soppresso il silenzio, da qualsiasi tipo di rumore martellante, che non è più sottofondo, ma sopraffazione delle nostre vite, è soppressa, di conseguenza, la dimensione soggettiva d’emotività e di riflessione, l’oggetto del pensiero di massa è strettamente legato al suo carattere di prodotto industriale e al suo ritmo di consumo quotidiano.

“Il vero problema-come afferma Morin nel saggio “L’industria culturale”- è quello della dialettica tra il sistema di produzione culturale e i bisogni culturali dei consumatori”. La cultura di massa si pone come un’etica dell’ozio piacevole: il consumo dei prodotti diventa insieme autoconsumo della vita individuale e autorealizzazione. L’unica alternativa possibile al caos comunicativo posta da Mario Perniola, autore dei saggi “De sentire” e “il sex appeal dell’inorganico”, è il ritorno all’educazione estetica, la quale è in grado di offrire una nuova economia dei beni realmente essenziali, fondata su un capitale culturale, anzichè su quello economico. Ma da quando l’apice della tragicità è stato raggiunto con l’abbandono della dimensione riflessiva, sensoriale e creativa, attraverso un sistematico processo, reso possibile senza alcun tipo di imposizione o di costrizione, ma con lo sfruttamento mirato della potenza invasiva e persuasiva degli strumenti di comunicazione, l’alternativa proposta dal Perniola è a dir poco un’utopia. La vera oppressione è quella invisibile che fa credere di essere padroni della propria individualità, e che invece sceglie per noi. Così fra rumore assordante, chiasso e non più musica, caos, frastuono e non più armonia, chiacchiera ininterrotta e non più dialogo, la scelta del silenzio, non esiste più.

Racconta Gunther Anders che un Re per impedire al figlio di abbandonare la strada centrale e di inoltrarsi nella campagna, per riflettere e per elaborare un giudizio sul mondo, gli regalò carrozze e cavalli.

“Ora non hai più bisogno di andare a piedi”, furono le parole del Re.

“Ora non ti è consentito farlo“, era il significato.

“Ora non puoi più farlo“, fu il loro effetto.