L’aggressione imperialista alla Repubblica Araba di Siria dura ormai da oltre quattro anni e, avendola seguita minuziosamente nei suoi poliformi e molteplici sviluppi, chi scrive ha la possibilità di tracciare sommariamente un resoconto delle peculiarità, delle tendenze e degli insegnamenti che si possono evincere dal suo andamento, per quel che riguarda l’aspetto tattico, operazionale e strategico delle operazioni militari, nella speranza che questo possa essere utile a enucleare i punti critici delle stesse e come i loro esiti abbiano influenzato gli sviluppi diplomatici e politici della situazione, offrendo anche (eventualmente) uno sprazzo di luce sui suoi possibili sbocchi futuri, che tutti noi auguriamo avviati a una soluzione che lasci integra la Repubblica Siriana e permetta al suo tenace e coraggioso popolo di rimanere indipendente, autonomo e arbitro del proprio destino.
Le centrali imperialiste che hanno deciso l’aggressione alla Siria sono fondamentalmente due: Washington e Tel Aviv, la prima preoccupata di dover spostare la sua attenzione strategica e le proprie decrescenti risorse militari verso la Cina (il famoso ‘pivot’) e quindi ansiosa di rimescolare le carte mediorientali per creare una situazione favorevole ai propri ‘proconsoli’, turchi, sauditi e qatarioti, cui lasciare in mano i destini della regione mentre l’aquila americana si volge verso il Pacifico; la seconda, costantemente fedele al proprio ‘mantra’ geostrategico, interessata a garantire la sicurezza del regime ebraico dell’Apartheid mediante la sistematica distruzione di ogni forte stato arabo intorno ai suoi confini immediati o circostanti.
Tel Aviv aveva già provato nel 2006 contro il Libano la carta dell’aggressione militare convenzionale, venendo dolorosamente respinta dalla determinata resistenza di Hezbollah (che nel caso era stato sostenuto dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica libanese, anche quella non sciita); quindi un attacco massiccio con truppe regolari venne scartato a priori. Si può anzi dire che gli strateghi imperialisti, di fronte a un paese come la Siria, in possesso di ingenti (anche se in parte obsolescenti) forze militari abbiano optato per l’azione di gruppi terroristici irregolari probabilmente nel tentativo di convertirsi una tantum alla ‘guerra asimmetrica’, i cui principi formano ormai da tempo la pietra angolare del pensiero militare di molti stati anti-imperialisti (specialmente la Repubblica Islamica Iraniana).
Per concretare questa minaccia si scelsero una serie di ‘subappaltatori’…Usa e stato sionista non avrebbero direttamente inviato uomini e armi contro Assad e la Siria, ma avrebbero lasciato l’incombenza a Recep Erdogan (lusingato con un possibile ruolo di nuovo ‘Sultano’ per convincerlo a tradire anni di politica amichevole verso Damasco) a Casa Saoud (che, anche se con meno apparente ‘amitié’ di Ankara, comunque trattava la Siria come partner di dialogo e trattative da almeno due decenni) e il Qatar, ansioso di superare Riyadh come munifico patron degli estremisti sunniti grazie alla quasi totale cooptazione dei vertici dell’Ikhwan (la Fratellanza Musulmana), sia in Siria che in Egitto che in altri paesi mediorientali e nordafricani.
Di fronte alle orde di takfiri e wahabiti fanatizzati nelle moschee finanziate dai petrodollari dei tiranni del Golfo, addestrati da quella parte di Esercito Turco ormai piegato ai voleri dell’AKP (grazie alle numerose ‘purghe’ e campagne anti-vecchia guardia portate avanti da Erdogan fin dalla sua prima salita al potere), armati da NATO, Usa, Israele e GCC, le pur numerose brigate corazzate e meccanizzate di Assad (pensate per combattere una guerra intensa e breve contro l’IDF per riconquistare le Alture del Golan) avrebbero fatto la fine dei pachidermi aggrediti da sciami di formiche, dibattendosi per un po’ prima di venire abbattute e spolpate.
L’Esercito Siriano prima del 2011 contava circa 300.000 effettivi, suddivisi in tre Corpi d’Armata più un raggruppamento direttamente controllato dallo Stato Maggior Generale, con un totale di tredici divisioni: sei corazzate, quattro meccanizzate, due di Paracadutisti/Forze Speciali, una divisione (meccanizzata) di Guardie Repubblicane, due Brigate di fanteria indipendenti e sei reggimenti di Commando anch’essi indipendenti. Le divisioni siriane erano suddivise in Brigate; solitamente le Divisioni Corazzate avevano tre Brigate di Carri Armati (ciascuna potente di 105 tank, 31 blindati per fanteria e 2500 uomini), una Brigata di Fanteria Meccanizzata (41 tank, 105 blindati per fanteria e 3500 uomini) e una unità di Artiglieria organica (45 obici perlopiù cingolati e circa 1500 uomini). Le Divisioni Meccanizzate, specularmente, avevano Tre Brigate Meccanizzate (41 tank, 105 blindati per fanteria e 3500 uomini), una sola di Carri (sempre 105 tank, 31 blindati per fanteria e 2500 uomini) e ancora una formazione artiglieria di 1500 uomini e 45 obici (perlopiù trainati, salvo che in certe divisioni di alto status).
Ciascuna Brigata poi “in piccolo” ripeteva lo stesso schema (tre Battaglioni Corazzati e uno Meccanizzato in quelle Corazzate; tre Meccanizzati e uno Corazzato in quelle Meccanizzate), con in più elementi di supporto integrali a ogni Brigata (artiglieria a razzo e mortai per il supporto fuoco a breve raggio, cingolati antiaerei per la difesa ‘flak’ a bassa quota, elementi del Genio…) si capisce che, a livello operativo, la ‘pedina’ fondamentale era la Brigata, utilizzata dal comandante di Divisione per raggiungere gli obiettivi affidatigli dal Corpo d’Armata. Il più massiccio schieramento di Divisioni era ovviamente nell’angolo Sudoccidentale del paese, dove erano concentrate la Divisione Guardia Repubblicana, la 1a, la 3a, la 4a, la 5a, la 7a, la 9a, la 10a, la 14a e la 15a Divisione, mentre la 11a Divisione gravitava intorno ad Homs, la 18esima presso Aleppo e la 17esima presidiava l’Est del paese vicino Deir Ezzour.
La prima preoccupazione per i manovratori dei takfiri fu infatti quella di attaccare prima di tutto città distanti dalla maggiore concentrazione di truppe siriane, come Hama (nota roccaforte Ikhwanita, al centro anche della fallita insurrezione del 1982), poi Homs, Aleppo, nel tentativo di distrarre forze dal ‘cuore’ dello stato siriano e poterlo così penetrare con più agio in seguito.
Inizialmente la reazione siriana ai primi massicci episodi di aggressione terrorista, può essere sembrata lenta e, a qualche critico molto severo, persino inefficace. Ma bisogna concedere all’occhio clinico del Presidente-medico Bashar Assad di aver subito individuato alla prima ‘diagnosi’ uno dei punti cruciali per una prolungata resistenza…la Siria aveva degli amici internazionali (la Russia, l’Iran, il Movimento Hezbollah) e, se fosse riuscita a mantenere aperti i canali con questi giocatori sul tavolo mediorientale e internazionale, avrebbe potuto contare non solo sul loro aiuto fattivo (in termini di sostegno militare ed economico) ma anche su quello politico e diplomatico.
La Siria, dunque, per non far la fine della Jamarhiyah gheddafiana doveva mantenere aperti i suoi canali di contatto con Russia, Repubblica Islamica ed Hezbollah e subito un grande sforzo venne fatto per solidificare la costa mediterranea e mantenere aperti i porti di Tartous e Latakia. I soliti cinici diranno che la forte presenza della minoranza alawita in quelle aree avrà contato anche di più nella decisione di Assad, anche perché all’inizio della crisi avere un ‘ridotto’ in cui rifugiarsi in caso di tracolli poteva essere una buona scelta; chi scrive crede che, seppure ragionevoli come co-motivazioni, esse non possano giustificare da sole la scelta di Assad che per tutta la crisi si é mostrato sempre pro-attivo e ottimista, raramente se non mai dando l’idea di starsi preparando una ‘exit strategy’, come se l’idea di una sconfitta non lo condizionasse affatto.
Tuttavia il primo anno di guerra fu durissimo, come previsto le Brigate siriane si muovevano male su un terreno che non fosse quello della guerra convenzionale ad alta intensità e spezzettarle nei loro battaglioni costitutivi non era certo un rimedio visto che a un battaglione mancavano le formazioni ausiliarie integrate a livello di Brigata per condurre operazioni veramente efficaci…le grandi unità si andavano frazionando in delle sorta di ‘Kampfgruppe’ con le brigate escluse da questi che venivano usate più che altro come fonti di rincalzi man mano che le perdite li erodevano, ma l’efficacia di tali misure ad hoc era bassa e fomentava e facilitava uno stato di persistente depressione del morale. Le uniche ‘vere’ vittorie di questo periodo furono il referendum costituzionale del febbraio 2012 e le successive elezioni politiche di primavera, che dimostrarono, con la loro stessa organizzazione e con la loro affluenza, che la maggior parte della cittadinanza siriana si riconosceva ancora nelle istituzioni della Repubblica e non aveva intenzione di acconsentire a un ‘regime change’ orchestrato da americani, sionisti e dai loro lacché arabi e turchi.
Anche queste vittorie “politiche” (le consultazioni di febbraio e maggio 2012) furono sul punto di rivelarsi inutili però nel luglio successivo, quando i terroristi arrivarono a colpire direttamente la capitale Damasco, portando a termine attentati nello stesso Ministero della Difesa, uccidendo il Ministro Generale Dawoud Rajiha e ferendo gravemente altri alti ufficiali. Se il Presidente Assad avesse preso parte a quel meeting forse il fato della Siria sarebbe stato segnato. Ma, per fortuna, così non fu. I terroristi non sciamarono nel centro cittadino, vennero respinti e allontanati anche dall’Aeroporto Internazionale della capitale, che brevemente erano riusciti a minacciare. Seppure sacche terroristiche si trovino ancora adesso nell’hinterland damasceno (il ‘Rif’) da quel momento di grave crisi i takfiri non sono più riusciti a minacciare gravemente il cuore dello Stato.
Il punto di svolta nella situazione militare arrivò a gennaio 2013 quando, con decreto presidenziale, vennero formati i Comitati Popolari di Difesa, colloquialmente detti ‘Milizia NDF’, che assorbivano nei loro ranghi giovani non ancora di leva, membri di milizie governative formatesi spontaneamente, o anche veterani che avevano svolto molto tempo fa il loro servizio militare (e magari avevano anche combattuto, ad esempio, in Libano) o persino uomini dell’Esercito che erano rimasti separati dalle loro unità (o si erano resi temporaneamente assenti ingiustificati ma erano poi tornati) e che avevano intenzione di combattere per la difesa della Patria.
L’NDF é una forza di fanteria leggera equipaggiata con armi individuali, mitragliatrici, lanciarazzi mortai leggeri e medi e artiglierie di piccolo e medio calibro che deve presidiare territorio già liberato o compiere operazioni di piccola scala, eventualmente sostenendo l’Esercito regolare. Con il compito di presidio e pattugliamento l’NDF rende difficile ai terroristi re-infiltrarsi in zone bonificate e ‘sgrava’ il soldato regolare (meglio addestrato e preparato) da compiti statici anchilosanti e che ne fiaccano l’efficienza. Quando si consideri che il miliziano NDF opera nelle sue zone natali si capisce come questo corpo sia anche servito a motivare ulteriormente i cittadini a dare il massimo per difendere le proprie stesse case e famiglie.
L’NDF é stata aiutata nel suo sviluppo da ufficiali iraniani dell’IRGC, la Guardia Rivoluzionaria, che hanno molto insistito e lavorato insieme ai colleghi siriani per renderla il più possibile simile alla milizia ‘Basij’ (“Mobilitazione degli Oppressi”) che rappresenta il complemento ‘di massa’ della Repubblica Islamica ai quadri altamente addestrati dei ‘Pasdaran’ e che nella visione degli ufficiali di Teheran rappresenta una ‘scelta esistenziale’ che Damasco dovrà mantenere anche nel futuro, dopo una sperabile vittoria, per mantenersi a lungo ‘immune’ da nuove aggressioni esterne per mezzo di cellule terroristiche.
Dal 2013 fino all’autunno del 2014 le forze siriane: Esercito ed NDF, ulteriormente aumentate dai Battaglioni del Partito Baath, dai militanti dell’SSNP, da unità costituite da profughi palestinesi fedeli ad Assad e da milizie religiose sciite e cristiano-assire hanno ottenuto una serie lusinghiera di vittorie contro tutti i gruppi terroristici…l’FSA con tutto il suo polverìo di sigle associate, le organizzazioni filosaudite Al-Nusra ed Ahrar Sham e anche i gruppi ikhwaniti filo-qatarioti.
Settimana dopo settimana il centro del paese veniva ricollegato con la costa (sempre rimasta in mano governativa), con la capitale Damasco (ancora funzionante in tutti i suoi aspetti ecnomici, politici, civili) e con la riconquista di Homs e perfino di Hama. Nel Nord del paese Aleppo veniva via via purgata dalla presenza takfira (mentre per un certo periodo sembrava vicina a dover diventare la ‘capitale’ di uno ‘stato moncone’ sostenuto da Turchia, Sauditi e NATO) e con una operazione di successo ma strategicamente molto rischiosa persino Idlib veniva liberata, pur se collegata al resto della zona libera della Siria da un sottile, tortuoso cordone.
Questa scelta azzardata era collegata alla fiducia che l’alleato russo riponeva nella possibilità di cooptare almeno una parte dell’opposizione in armi a un tavolo di trattavia, obiettivo per il quale tutta la diplomazia del Cremlino si impegnò a fondo dai secondi ‘Colloqui di Ginevra’ in avanti. Se questo fosse riuscito ovviamente il fatto che al tacere delle armi il Governo controllasse anche Idlib, seppure solo grazie a un sottile ‘tentacolo’ avrebbe avuto enorme rilevanza. Ma i manovratori dei tagliagole non potevano permettere questo e, con uno sforzo economico e logistico immane, finzanziarono una brusca e violenta ripresa delle operazioni nel Nord della Siria appena le condizioni meterologiche lo consentissero nella primavera 2015.
Il Comando Siriano, che per l’anno in corso aveva deciso di concentrare le proprie forze nella cooperazione con gli Hezbollah libanesi per la “ripulitura” definitiva del confine col Paese dei Cedri reagì male e lentamente a questa ‘ondata’ di fanatici di Nusra e Ahrar Sham, perdendo il controllo di Idlib e di Jisr al-Shoughour tra aprile e giugno scorsi. La presunta “inarrestabilità” dei terroristi ebbe però un grave colpo quando, nonostante vani proclami, gli stessi tagliagole che avevano conquistato queste due grandi e importanti località non riuscirono invece, nonostante numerosissimi tentativi, ad avere ragione delle due cittadine sciite di Fouaa e Kafraya, dove da anni gli abitanti (che sanno benissimo che fine li aspetterebbe nel caso di una conquista takfira) resistono indefessamente a ogni assalto terrorista.
Del resto, nel teatro siriano, simili epopee alla “No Pasaran” (o alla “Alcazar”, a seconda dei vostri gusti) sono tutt’altro che rare: poco a NO di Aleppo Nubbul e Zahraa (altri villaggi sciiti) resistono ugualmente da anni, nella periferia Nord di Aleppo la Prigione Principale della città é stata raggiunta pochi mesi orsono dalle truppe governative che l’hanno salvata dopo un lunghissimo assedio, a NE sempre di Aleppo la base di Kuweires ha retto due anni di assedio, e su scala più larga nell’estremo Est del paese Deir Ezzour ed Hasakah, presidiate da guarnigioni provatissime ma sempre straordinariamente efficienti, continuano a respingere un attacco dell’ISIS dopo l’altro.
L’ISIS é un fenomeno relativamente recente nella Guerra in Siria, essendosi infiltrato nel paese dal poroso confine con l’Irak, dove é nato nel corso del 2013 grazie all’iniziativa di ex-quadri della polizia, dell’Esercito, dei servizi segreti e del partito di Saddam Hussein che, tornando al servizio dei loro antichi padroni (gli Usa), per eterodirezione tramite Turchia e Qatar, hanno ricevuto il duplice incarico di cercare di spaccare l’Irak o quantomeno di impedire che il legittimo Governo egemonizzato dalle forze politiche sciite potesse controllarne l’intero territorio e, contemporaneamente, di intervenire anche in Siria per accelerare un possibile rovesciamento di Assad.
Al contrario di quanto fatto in Irak, dove è riuscito a insediarsi in maniera semi-stabile nella ricca e verdeggiante provincia settentrionale di Ninive, in Siria l’ISIS si limita a controllare molto poco territorio, preoccupandosi principalmente delle vie di comunicazione e di alcuni snodi strategici tra cui la città di Raqqa che costituisce il suo ‘capoluogo’; coloro che pubblicano mappe della “situazione siriana” in cui enormi estensioni di terreno nella rocciosa e spopolata parte orientale del paese vengono assegnate al cosiddetto ‘califfato’ fanno un’opera di disinformazione probabilmente conscia e voluta, volta a fare apparire il ‘Daash’ come una minaccia molto più grande e incombente di quanto non sia già in realtà.
Similmente ad Al-Nusra e Ahrar Sham con le loro conquiste di Idlib e Jisr al-Shoughour anche l’ISIS nella scorsa primavera (maggio 2015) ha avuto il suo ‘momento di gloria’ riuscendo a prendere il controllo della cittadina di Tadmur, nell’estremo Est della Provincia di Homs, con l’adiacente sito archeologico di Palmyra. Se dal punto di vista storico, culturale e umano l’evento é stato grave e doloroso (specie per chi, come chi scrive, ha una formazione umanistica) bisogna altresì ammettere che, strategicamente, non é stata una vittoria in alcun senso decisiva; molto più fruttuose per il ‘Daash’ sarebbero state la conquista di Hasakah, contro cui da fine giugno a fine luglio si sono inutilmente accanite ondate dietro ondate di fanatici takfiri, o quella della riva destra di Deir Ezzour e del suo importante scalo aereo.
Ad Hasakah la difesa é garantita da una coalizione che comprende Esercito Arabo Siriano, milizia NDF, Brigate del Baath, cristiani assiri (Sotoro) e Curdi che hanno trovato un accordo per proteggere la città e la sua popolazione dalla violenza cieca dell’ISIS e dei suoi tagliagole; a Deir Ezzour cooperano una Brigata d’elite di Parà della Guardia Repubblicana, parte della 17esima Divisione che come abbiamo visto presidiava l’Est del paese, milizia NDF e volontari del clan sunnita Shaytat che, seppure in passato avessero stretto accordi di ‘non belligeranza’ con Al-Nusra ed FSA, una volta che a queste sigle terroriste si é sostituito l’ISIS sono tornati a operare di concerto col Governo.
La puntata su Tadmur/Palmyra e la maniera evidentemente scollegata con cui sono state condotte l’offensiva su Hasakah (giugno-luglio 2015) e quella più seria contro Deir Ezzour (agosto 2015) dimostrano come l’ISIS, nonostante proclami di granitica solidità, sia un movimento molto frazionato e sottoposto ai protagonismi di questo o quel suo comandante. Si pensi solo che nel momento di massima intensità dell’attacco contro Hasakah la relativa quiescenza del fronte di Deir Ezzour permise al coraggioso e determinato Generale Issam Zahr Eddine di spostare 300 dei suoi migliori parà nella città minacciata, dove essi (insieme al loro stesso comandante) contribuirono decisivamente a respingere le orde takfire.
Tatticamente la guerra in Siria come si é sviluppata fino a quest’estate ha dimostrato l’estrema flessibilità e utilità della fanteria leggera altamente specializzata nel contrastare fenomeni di terrorismo e insorgenza anche massiccia (quasi tutte le grandi vittorie per le armi siriane sono arrivate col diretto coinvolgimento di Forze Speciali come la ‘Forza Tigre’, i paracadutisti di Eddine o altre brigate della Guardia Repubblicana, oppure ancora con la collaborazione di Hezbollah); d’altra parte ha anche evidenziato come, seppure sia possibile per gli emirati del petrolio riversare decine di migliaia di terroristi oltre i confini e inondarli di torrenti di denaro e armi non é però possibile fare una vera ‘guerra asimmetrica’ senza il pieno sostegno della popolazione locale, che infatti é fuggita appena ha potuto verso le zone a controllo governativo oppure continua, dalle aree occupate, a comunicare ai servizi e ai comandi dell’Esercito Siriano posizioni e spostamenti di leader e assetti delle varie formazioni terroristiche.
Anche l’importanza della familiarità col terreno e della motivazione psicologica a resistere é stata apprezzata in tutta la sua profondità dagli osservatori militari più pazienti e attenti; come dimostrato dalla prolungatissima resistenza di posizioni isolate presidiate da genti del luogo che sanno benissimo quale fato spetterebbe loro in caso di cedimento. Anche per questo, lo si capisce bene, i consiglieri iraniani insistono sull’importanza dell’NDF nell’organizzazione della difesa siriana e suggeriscono, per un auspicabile futuro, di mantenere in vita questa formazione parallelamente all’Esercito Regolare, proprio come Teheran fa con i ‘Basij’.
L’Aviazione Siriana ha impiegato in compiti di bombardamento e interdizione tutti gli apparecchi disponibili, anche i meno adatti: inizialmente il compito di fornire appoggio aereo alle formazioni di terra venne riservato ai Su-22, ai MiG-23 e anche agli addestratori cecoslovacchi Aero L-29, che con la loro lentezza permettevano una grande precisione nel bombardamento, ma in seguito l’usura e la relativa scarsità di pezzi di ricambio ha forzato i Siriani a usare anche i bombardieri medi Su-24 e a montare pod lanciarazzi e altri carichi bellici anche sugli intercettori MiG-21 e persino sui MiG-29, inizialmente risparmiati per venire conservati nel loro ruolo di difensori dello spazio aereo siriano. La Repubblica Islamica é intervenuta in aiuto di Damasco cedendole parte dei Su-22 fatti fuggire da Saddam verso l’Iran nel 1991 e poscia riparati e ricondizionati.
Un campo in cui i Siriani sono stati molto pronti ed efficienti a imitare i loro nemici takfiri è stata la creazione di vasti parchi di veicoli da combattimento improvvisati sulla base di fuoristrada, pickup, furgoni e camion di vario genere (le cosiddette ‘tecniche’) armati, oltre che con le consuete mitragliere Dushka e bocche da fuoco quadrinate o binate da 14.5 o 23 millimetri, anche con cannoni di calibro più grande (come i 57mm sovietici che non mancavano certo nei depositi e magazzini della riserva siriana) o con lanciarazzi multipli, arrivando persino a creare dei rudimentali ma affidabili SPA unendo le artiglierie ‘duplex’ M-46 da 130mm di origine sovietica con camion Renault.
È indubbio che la coalizione imperialista abbia commesso molti errori nella sua conduzione delle operazioni contro la Siria e che, senza alcuni di essi, la situazione avrebbe potuto degenerare molto rapidamente causando, se non proprio il rovesciamento di Assad, quantomeno un suo ridimensionamento a ‘signore della guerra’ locale (magari nel suo ‘ridotto’ costiero a maggioranza alawita), ponendo una gravissima ipoteca sull’integrità territoriale e sulla stessa sopravvivenza dello Stato siriano; eppure, anche tramite un riassunto tanto schematico e superficiale come il presente, non é possibile non esprimere ammirazione per la determinata resistenza offerta dalle truppe e dalle milizie siriane, resistenza che sarebbe stata impossibile senza il lungo, meticoloso e accurato lavoro di “costruzione di un’identità nazionale siriana” oltre e al di là delle barriere etniche e religiose, che é stato il vero capolavoro dei decenni di presidenza di Hafez Assad, la cui eredità è stata portata avanti e onorata sul campo dal figlio e successore Bashar.
Se Assad Padre avesse governato la Siria come Gheddafi e Saddam Hussein hanno fatto rispettivamente con Libia e Irak, secondo il modello del tradizionale ‘Rais’ arabo, ipersospettoso, clanico e familista, la resistenza all’aggressione terroristica non vi sarebbe stata o sarebbe durata molto meno dei quattro anni e passa che hanno permesso in ultimo a Vladimir Putin di intervenire direttamente con le sue forze militari in soccorso del suo più antico e fedele sodale arabo. L’intervento russo in Siria, lungi dall’essere considerato un ‘soccorso’ a un alleato sul punto di crollare, va per chi scrive valutato piuttosto come il giusto ‘premio’ a poco meno di cinquanta mesi di tenace e volitiva difesa, condotta dal Presidente siriano e dai suoi ministri e generali con prudenza, assennatezza, accurata valutazione della gravità e della serietà delle minacce e soprattutto delle proprie effettive forze e capacità di tenuta.