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Verso una balcanizzazione del Medio Oriente?

di Gabriele Repaci - 09/11/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


L’area che va dalla Siria all’Iraq andrebbe dunque incontro ad una frammentazione politica simile a quella sperimentata dall’ex Jugoslavia con un piccolo stato dominato dagli alawiti comprendente le zone di Aleppo, Hama, Homs fino a Damasco mentre nella restante parte – escluso il Rojava e il Kurdistan Iracheno controllato dalle milizie peshmerga – si verrebbe a creare un mega stato sunnita che includa anche la parte occidentale dell’Iraq mentre quella sud orientale abitata prevalentemente da sciiti finirebbe nell’orbita di influenza dell’Iran. Inutile osservare come da tale scenario si avvantaggerebbe solo lo Stato d’Israele il quale rimarrebbe l’unica potenza incontrastata dell’area.

  

L’intervento russo in Siria e il cambio di rotta da parte degli Stati Uniti che per bocca del loro Segretario di Stato John Kerry hanno aperto all’ipotesi di includere il Presidente Bashar al-Assad nelle trattative di pace sul futuro del paese, hanno fatto concludere affrettatamente che staremmo assistendo alla prima sconfitta geopolitica americana dalla fine della Guerra Fredda. In un’intervista radiofonica con la BBC Sir John Sawers¹, che ha rivestito il ruolo di capo dei servizi segreti del Regno Unito il Secret Intelligence Service (MI6), ha avanzato la provocatoria ipotesi secondo la quale Assad sarebbe interessato solo a riprendere il controllo della parte centrale della Siria – la zona che va da Aleppo a Damasco – lasciando “felicemente” allo Stato Islamico l’est del Paese. L’ex spia britannica si è spinta sino ad ipotizzare addirittura una certa connivenza fra il governo siriano e il l’IS per eliminare il Free Syrian Army, braccio armato del Consiglio Nazionale Siriano gruppo politico attualmente in esilio sorto in seguito alle sommosse popolari contro l’esecutivo di Assad del marzo del 2011. Benché lo scrivente consideri tale tesi un po’ fantasiosa, guardando la mappa del Medioriente non si può fare a meno di notare che la guerra civile siriana non ha fatto altro che esasperare le divisioni interconfessionali ed interetniche presenti in quell’area.

Al contrario di quanto è stato detto Putin probabilmente non ha realmente intenzione di sradicare il Daesh – nome con cui viene indicato il sedicente Stato Islamico dagli arabi – dalla Siria. Per farlo infatti non gli basterebbe qualche raid aereo ma dovrebbe mandare un grosso contingente di truppe di terra che comunque impiegherebbe molti anni nel caso mai dovesse riuscire nell’impresa. Si tratta di un’esperienza che i russi hanno già avuto durante il conflitto in Afghanistan (1979-1989) e verosimilmente non vogliono ripetere. Più realisticamente Mosca vuole tenere al potere Assad perché se lui cadesse non solo perderebbe la sua unica base navale estera ma i fondamentalisti islamici che oggi stanno mettendo a ferro e fuoco la Siria rivolgerebbero le loro attenzioni verso l’Asia Centrale ed il Caucaso del Nord, da dove sarebbero in grado di rappresentare una minaccia verso la Russia. Quindi probabilmente i russi si assicureranno che il governo siriano – che controlla circa un terzo del territorio – riprenda il controllo della parte centrale del paese per poi fermarsi. Inoltre tale prova di forza servirebbe a dimostrare a Obama che la Russia non è più una potenza regionale bensì un protagonista a tutti gli effetti dello scenario politico internazionale. L’area che va dalla Siria all’Iraq andrebbe dunque incontro ad una frammentazione politica simile a quella sperimentata dall’ex Jugoslavia con un piccolo stato dominato dagli alawiti comprendente le zone di Aleppo, Hama, Homs fino a Damasco mentre nella restante parte – escluso il Rojava e il Kurdistan Iracheno controllato dalle milizie peshmerga – si verrebbe a creare un mega stato sunnita che includa anche la parte occidentale dell’Iraq mentre quella sud orientale abitata prevalentemente da sciiti finirebbe nell’orbita di influenza dell’Iran.

La dissoluzione dei confini sanciti con la decolonizzazione porterebbe alla creazione di micro entità politiche del tutto incapaci di esercitare qualsiasi influenza sulla politica mediorientale.Inutile osservare come da tale scenario si avvantaggerebbe solo lo Stato d’Israele il quale rimarrebbe l’unica potenza incontrastata dell’area. Nel volume Il mondo fatto a pezzi, Edizioni Insegna del Veltro, 2008, pp. 130, François Thual, ex funzionario civile del ministero francese della Difesa, ha sostenuto che lungi dal costituire un antidoto alla mondializzazione, la regressione tribale ne costituisce lo stadio avanzato. Il narcisismo identitario delle comunità etniche e la loro aspirazione a un’indipendenza puramente formale produce infatti una polverizzazione geopolitica funzionale a una nuova strategia di dominio imperialista. L’unica incognita rimane l’atteggiamento della Repubblica Islamica dell’Iran la quale difficilmente potrebbe permettere la creazione di un mega stato sunnita proprio all’interno della propria area d’influenza la cosiddetta mezzaluna sciita.

https://www.middleeastmonitor.com/news/europe/21525-assad-happy-to-split-syria-with-daesh-says-ex-uk-spy