Erdogan e Putin, i due guasconi euroasiatici
di Alberto Negri - 30/11/2015
Fonte: ilsole24ore
Il botta e risposta tra i due guasconi euro-asiatici è una guerra di parole ma anche di sostanza. Per questo la crisi tra Russia e Turchia, tra squilli di telefono veri o presunti, si fa profonda, con scambi di accuse e minacce dai toni accesi. Tayyp Erdogan è un alleato dei ribelli anti-Assad e lo vorrebbe morto mentre Vladimir Putin sostiene il presidente siriano ed è intervenuto militarmente per salvarlo dal collasso, altrimenti ora scriveremmo una storia diversa anche sul Califfato. Non solo. Erdogan ha stravinto le elezioni facendo leva sul nazionalismo, sulla paura degli attentati e il pericolo che i curdi minaccino l’integrità territoriale del Paese. Non può rinunciare a mostrarsi forte anche quando non lo è. Difende soprattutto la sua politica spericolata che in questi anni lo ha portato a far passare migliaia di jihadisti dal suo confine per abbattere Assad e proporsi come il vero leader dei musulmani del Levante. Al punto da intrattenere rapporti ambigui con l’Isis spingendosi a bombardare i curdi quando combattevano contro il Califfato. Come Putin non ha scrupoli. Ha bisogno di una rivincita in Siria dopo aver visto crollare al Cairo, con il colpo di stato di Al Sisi, l’alleato Mohammed Morsi: è lui, Erdogan, che si propone come la versione “autentica” e vincente dell’Islam politico.Anche il suo rivale ed ex alleato Putin spinge sul nazionalismo, strumento per una politica di prestigio che vuole riportare la Russia al rango di superpotenza. Con l’intervento militare in Siria Mosca torna a essere un arbitro della sorti di interi popoli e nazioni e bilancia la potenza americana in una regione dove gli Stati Uniti hanno iniziato, e non finito, direttamente due guerre, Afghanistan e Iraq, a una serie di altri conflitti locali lanciati sotto l’egida della guerra al terrorismo. Ora si permette non solo di esibire forza aerea e missilistica ma ha già impiegato sul terreno le forze speciali. Anche se per recuperare il pilota di un caccia colpito dai turchi è dovuto intervenire il sagace generale iraniano dei Pasdaran Qassem Soleimani, il vero stratega della guerra siriana sul campo.Se alle considerazione geopolitiche si aggiungono le note caratteriali dei due personaggi si capisce bene che la sceneggiata è destinata a continuare. Erdogan vuole incontrare Putin a margine della Cop21 a Parigi, «Voglio vederlo faccia a faccia», ha detto, e avverte: «Non scherzi col fuoco». Il leader del Cremlino fa sapere che non gli parlerà finché non ci sarà la volontà di chiedere scusa per l’abbattimento del jet di Mosca. Ed è stata smentita la sospensione dei voli militari turchi. Il tutto accompagnato da ritorsioni russe, dalla sospensione del regime esente da visti con la Turchia alle rappresaglie su imprenditori e turisti turchi. Mancano solo le pedate nel fondoschiena. Erdogan usa i missili con la destrezza con cui un tempo si usavano i coltelli nel suo quartiere di Kazimpasha, Putin non rinuncia a impartire lezioni di educazione siberiana. In queste mani è finito l’Occidente per la sua insipienza.Con questi duelli in corso c’è da riflettere su come andrà la presunta guerra al Califfato. La coalizione anti-Isis è tutt’altro che un’alleanza elastica: ha due teste, una a guida americana, l’altra con a capo i russi, e un terzo volto, quello di Erdogan, leader di un Paese della Nato, che è ha andato spesso contro gli interessi dell’Alleanza e ha concesso assai malvolentieri le base di Incirlik agli Usa per bombardare l’Isis. Ora la Nato in questo scontro Turchia-Russia abbassa i toni perché gli Usa non vogliono un conflitto allargato e mettere truppe a terra ma si sta ponendo la questione scottante del confine turco-siriano, alle porte dell’Alleanza, che già da quattro anni è il nervo ultrasensibile di questo conflitto siriano: qui, sull’”autostrada della Jihad”, passano i foreign fighters con biglietti di andata e ritorno, qui si è installato l’Isis, qui fuggivano e fuggono migliaia di rifugiati, qui si contrabbanda il petrolio siriano. Ma l’Europa e gli Stati Uniti sono stati per anni a guardare sornioni in attesa di un verdetto su Assad e la Siria che non è mai venuto, strizzando un occhio complice a Erdogan: ed ecco i risultati.