La Le Pen? Per l’Eliseo non basta essere leader del partito più votato
di Marco Tarchi - Michele De Feudis - 14/12/2015
Fonte: Il Tempo
Non basta essere leader del primo partito francese per conquistare l’Eliseo, ma è necessario – per coltivare nuove ambizioni – dare una buona prova di governo in caso di vittoria ai ballottaggi delle regionali: è questa la lettura del caso Marine Le Pen di Marco Tarchi, politologo dell’Università di Firenze, tra i massimi studiosi europei del fenomeno “populismo”. Nei prossimi mesi darà alle stampe un saggio per il Mulino sul lepenismo.
Professor Tarchi, Le Figaro e L’Humanité titolano “Le choc” dopo la vittoria del FN al primo turno delle regionali. Era davvero un risultato inatteso?
Era tutt’altro che imprevedibile: il FN aveva già conquistato il primo posto alle europee del 2014 e ulteriori elezioni – senatoriali e cantonali – ne avevano evidenziato la dinamica positiva. Inoltre, i sondaggi già da alcuni mesi lo davano attorno al 26-27%. L’effetto-attentati, quindi, è stato poco sensibile, anche se a molti fa comodo crederlo. Le cause del successo vanno trovate prima di tutto nel discredito accumulato dalla classe politica francese al potere, di destra e di sinistra, che ha raggiunto quote record di impopolarità e ha sollevato un desiderio di cambiamento.
Con le riviste che dirige, Diorama e Trasgressioni, e il saggio “L’Italia populista”, ha affrontato scientificamente la classificazione dei movimenti che rifuggono lo schema destra/sinistra. Le accezioni di “estrema destra” e “populismo” sono calzanti per il FN?
La prima descrive quello che il FN è stato nei primi dodici anni della sua vita. Già all’epoca del primo grande successo (11 eurodeputati eletti nel 1984) il partito aveva iniziato una mutazione inglobando alcuni temi tipici del populismo e mettendone in sordina altri legati alle sue origini. Ne “L’Italia populista” ho cercato di mostrare come, su molti temi – anche se non su tutti –, estrema destra e populismo abbiano visioni molto diverse.
La svolta è nel passaggio dalla guida di Jean-Marie a quella di Marine?
La figlia ha innovato molto rispetto al padre, e non solo sul piano dell’immagine, come sostengono i suoi detrattori di sinistra. I numerosi detrattori di destra, quasi tutti fuoriusciti dal partito – la cui vecchia guardia è ormai quasi integralmente su posizioni fortemente critiche – le rimproverano di aver abbandonato i valori fondanti del primo FN e di averlo aperto a proposte “progressiste” sul tema dei diritti civili e nel campo delle proposte economiche.
Perché la sinistra francese, che governava la quasi totalità delle regioni, è così ai minimi termini?
Perché ha dato pessima prova di sé, venendo implicata a livello sia locale che nazionale in vari episodi di corruzione e non riuscendo a dare risposte adeguate alle ansie di vasti strati sociali che tradizionalmente le erano legati; perché ha sbiadito fin quasi a renderli irriconoscibili i suoi connotati ideologici, arrivando ad elevare un banchiere liberista come Macron al rango di ministro dell’economia; perché ha pagato il crollo di credibilità di Hollande, che sia in pubblico – non mantenendo gran parte delle promesse elettorali – sia in privato – con le sue grottesche disavventure sentimentali – si è squalificato agli occhi di molti.
Cosa cambia adesso in chiave presidenziali per Marine Le Pen?
Per adesso non molto, perché il FN non ha oltrepassato la barriera psicologica del 30%, che ne avrebbe ulteriormente accreditato il ruolo di sfidante dei due blocchi di sinistra e di destra in vista del ballottaggio che deciderà l’elezione presidenziale. Le cose potrebbero cambiare se, alla guida di due o tre regioni, il partito riuscisse a smentire i pregiudizi che lo circondano a proposito della sua effettiva capacità di gestire in modo corretto ed efficace posizioni di potere e sistemi amministrativi. Credo però che il 2017 sia troppo vicino per poter consentire a Marine Le Pen, a meno di eventi imprevedibili, di giungere alla presidenza.
Le tesi del FN, secondo alcuni commentatori, si sono innestate su una opinione pubblica sedotta dall’influenza di intellettuali trasversalmente sovranisti, da Debray a Onfray, da de Benoist a Zemmour fino a Houellebecq.
Il grosso dell’elettorato, piaccia o dispiaccia, è ben poco sensibile alle opinioni degli intellettuali, e l’elettorato che coltiva una mentalità populista lo è ancor meno degli altri. Tuttavia, le prese di posizione non conformiste dei pensatori che cita, e il forte successo di vendite dei libri di Zemmour, segnalano un altro fenomeno interessante: l’incrinatura dell’egemonia che la vulgata ideologica progressista esercitava da decenni nel campo intellettuale, condizionando l’atteggiamento dei media ed esponenti della classe politica che pure non si collocavano a sinistra. Insomma, per un Bernard-Henri Lévy che continua ad esercitare il ruolo di censore dei “malpensanti” che non condividono il suo credo cosmopolita e bourgeois-bohémien, oggi ci sono non pochi spiriti liberi che si sottraggono al coro del conformismo.
Le destre italiane esultano per la vittoria della Le Pen. Il FN può diventare un modello per Lega e Fdi?
Ne dubito, perché provengono da storie diverse e non hanno, sinora, elaborato un analogo processo di evoluzione. Gli scimmiottamenti sono cosa diversa dall’assunzione consapevole di un modello. (da Il Tempo)