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Crolla il ponte Morandi a Genova. L’austerità e i profitti fanno una strage

di Ernesto Ferrante - 16/08/2018

Crolla il ponte Morandi a Genova. L’austerità e i profitti fanno una strage

Fonte: Opinione pubblica

Genova è sprofondata in un inferno di polvere e morti. Un boato terribile, poi uno scenario apocalittico mentre sulla città imperversava un forte temporale. Duecento metri del ponte Morandi, sull’autostrada A10, si sono sbriciolati, portandosi dietro 26 vittime e 15 feriti (dato purtroppo ancora provvisorio) oltre 30 auto e 3 mezzi pesanti. 440 gli sfollati, 11 i palazzi evacuati. Una tragedia annunciata da più parti in questi anni. La Procura di Genova ha aperto un’inchiesta per omicidio plurimo e disastro colposi.

Si contano i morti e i danni e si sprecano le parole di circostanza, come sempre accade in questi casi. Poi trascorsa qualche settimana, ricomincerà il solito andazzo. Ed è allora che il governo gialloverde dovrà dimostrare un cambio di paradigma politico, operativo ed economico rispetto ai governi precedenti. Di Fiscal Compact, pareggio di bilancio e Spending review si muore. Il processo di svendita e privatizzazione di settori strategici ed infrastrutture primarie portato avanti con il mantra liberista della migliore efficienza del privato rispetto al pubblico, ha stabilizzato solo i conti dei burocrati di Buxelles e i profitti dei signori delle autostrade, rendendo instabili e traballanti porti, ponti, autostrade e linee ferroviarie.

Gran parte delle autostrade italiane sono state progressivamente privatizzate e l’attuale gestore, Autostrade per l’Italia, è una società controllata al 100% da Atlantia, che a sua volta ha come principale azionista Sintonia SA, società finanziaria lussemburghese controllata dalla holding Edizione della Famiglia Benetton.

Vi sono due date estremamente simboliche nel disastro che ha causato anche la tragedia odierna: il 1999, quando il governo di Massimo D’Alema chiese all’Iri di privatizzare le autostrade, e il Natale 2017, con l’approvazione di un emendamento alla legge di Bilancio che permette ai concessionari di moltiplicare i già enormi guadagni derivanti dai caselli, facendosi “in house”, con le proprie aziende, una bella quota dei lavori di manutenzione (40%) senza dover ricorrere alle gare. Un vero e proprio “regalo” del governo di Paolo Gentiloni e del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio ai Benetton, ai Toto, ai Gavio e alle loro aziende di costruzione: Abc, Itinera, Sicogen, Interstrade, Sea, Sina (famiglia Gavio), Pavimental e Spea di Autostrade per l’Italia (gruppo Benetton).

Il ponte sul Polcevera, progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi e costruito tra il 1963 ed il 1967 con una struttura mista (cemento armato precompresso per l’impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile), come ha ricordato qualche anno fa Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in C.A. e C.A.P. dell’Università di Genova, ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici. Oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati, risalta un’erronea valutazione degli effetti differiti (viscosità) del calcestruzzo che ha prodotto un piano viario non orizzontale. Una struttura del genere dovrebbe avere almeno 100 anni di vita utile ma, fin dai primi decenni, il ponte è stato oggetto di manutenzioni profonde (fessurazione e degrado del calcestruzzo, nonché creep dell’impalcato) con costi notevoli. Basti pensare che alla fine degli anni Novanta si era già speso in lavori l’80 per cento di quanto speso per la sua realizzazione. Quella del ponte crollato stamattina, è una storia di liberismo sfrenato ma anche di ritardi, silenzi ed omissioni. Il 28 aprile 2016, il senatore Maurizio Rossi presentava un’interrogazione a risposta scritta al ministro Del Rio. “Recentemente, si legge, il ponte è stato oggetto di un preoccupante cedimento dei giunti che hanno reso necessaria un’opera straordinaria di manutenzione senza la quale è concreto il rischio di una sua chiusura”. Era necessaria una manutenzione straordinaria ma Del Rio, evidentemente, impegnato com’era nel perorare altre cause (ius soli in primis), non aveva tempo di occuparsene.

 

Addirittura al 4 dicembre 2012, risalgono le parole di Giovanni Calvini, allora presidente di Confindustria locale, di cui è rimasta traccia nei verbali delle sedute del Consiglio comunale di Genova. Calvini, furioso con chi, fra politici e amministratori, si opponeva alla realizzazione della Gronda di Ponente, necessaria per agevolare il traffico nella zona nella quale oggi si è verificata la tragedia, si lasciò sfuggire questo nefasto avvertimento: “Quando tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà, e tutti dovremo stare in coda nel traffico per delle ore, ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto no”.

Una triste profezia che non è servita a salvare decine di vite, inghiottite dal cemento e da un sistema antisociale figlio di un’ideologia che contempla unicamente i numeri, elevandoli a metro e perimetro di tutto. Di liberismo si muore.