“L’Occidente tramonta davvero” scrive Sergio Romano sul Corriere della Sera elencando una serie di elementi.
Ma non riconosce che tutti hanno un’origine comune, la visione filosofica adottata nell’Ottocento.

L’articolo sul Corriere è del 15 aprile e inizia con queste considerazioni:

La causa maggiore di questo stato di cose è il declino dell’Americasulla scena internazionale. 

Ma anche quasi tutti i membri dell’Unione Europea stanno attraversando crisi esistenziali

Declino e crisi esistenziali non sono cose che nascono dal nulla, si tratta sempre di società che hanno ritenuto di fare a meno delle caratteristiche che ne avevano originato la nascita e l’ascesa.

Gli elementi che Sergio Romano elenca sono diversi, inizia con le primavere arabe e le loro mancate promesse con la conseguente ascesa di gruppi fondamentalisti, il rischio di confronti nucleari e l’inutilità dell’ONU, il tutto viene addebitato al declino degli USA che sono impegnati in una serie di conflitti senza limiti, da quelli militari in Medio Oriente a quelli geopolitici con Russia e Cina, per non parlare delle mai interrotte ingerenze in Sud America a cui si aggiungono gli attriti perfino con i tradizionali alleati europei.
Il Giappone, ormai occidentalizzato (il fatto che possa essere elencato tra i paesi occidentali significa che l’Occidente è ciò che non ha più tradizione), viene infine indicato come afflitto da una letale crisi demografica, come se il resto dell’Occidente fosse esente da tale problema.

Quello che a Romano e a molti altri sfugge, è che tutte queste situazioni hanno una comune origine nella scelta filosofica che l’Occidente ha compiuto nell’Ottocento e perpetuato per tutto il secolo successivo, quella di abbandonare le grandi prospettive di senso per abbracciare la visione del materialismo storico che ha trovato nella competizione e nella selezione le uniche forze riconosciute alla base delle società e della storia.

Le citate primavere arabe poi sono in realtà state alimentate proprio da determinati paesi occidentali nell’intento di favorire le proprie posizioni all’interno di una logica di competizione e questo uno come Romano dovrebbe saperlo, e non sorprende che quindi abbiano preso direzioni diverse da quelle che aveva sperato l’opinione pubblica.
L’ONU è stato la creazione delle potenze vincitrici per assicurarsi che il loro stato privilegiato fosse mantenuto, e anche questa è una visione competitiva ben espressa dal documento istitutivo dell’UNESCO redatto da J. Huxley, anche in questo caso non sorprende che tale istituzione non abbia assolto alle dichiarate funzioni ma sia diventata garante di un ordine internazionale che era ed è rimasto di conflitto.
La crisi demografica è infine la logica conseguenza dell’approccio malthusiano nato all’alba dell’Ottocento e mai tramontato, semmai mascherato sotto le apparenze di sovrappopolazione e cambiamenti climatici.

Secondo la visione del materialismo storico tutto è economia e tutto è conflitto, perché mai dovremmo adesso vedere risultati diversi da quelli denunciati da Romano?

L’Occidente ha iniziato a tramontare nell’Ottocento quando ha rigettato le proprie radici denunciandole come passato oscuro, quando ha fatto di Comte con la sua teoria degli stadi dell’umanità il proprio riferimento, quando ha stabilito che la realtà della storia fosse contenuta nel conflitto di classe tra il capitalismo e il socialismo, le due uniche alternative riconosciute, innescando una dialettica hegeliana che guardava solo a queste tesi e antitesi conducendo all’inevitabile sintesi di un ossimorico neoliberismo di sinistra che abbiamo adesso davanti agli occhi.

L’Occidente è tramontato in quel ’68 che proprio in questi giorni torna a far parlare di sé, da allora è iniziata la notte dell’Occidente.
La buona notizia è che alla notte succede il giorno, un giorno che non è mai stato e non potrà essere la riedizione di quello precedente ma un suo sviluppo.
Ed è a quello che è giunto il momento di lavorare partendo da una nuova visione post comtiana e da una nuova antropologia.