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L’esperienza della Scandinavia nell’introduzione delle quote rosa

di Valeria Cazzaniga – valeryc@virgilio.it - 27/01/2006

“Without guaranties of Fundamental rights, there is no future for Europe”  è il titolo del manifesto femminista europeo contro il progetto della costituzione europea che sancisce l’ordine patriarcale e la costruzione europea di stampo neo-liberale. Il manifesto promuove l’emancipazione delle donne rispetto a una condizione di povertà, disoccupazione, lavoro part-time obbligato, precarietà, pensione minimale o inesistente, diseguaglianze professionali, assenza di un’assicurazione sanitaria, disparità rispetto al lavoro di cura. Di questo si è parlato a novembre in un seminario dal titolo: “Le esperienze nordeuropee”  che si è tenuto presso la sede della Libera Università delle donne a Milano. L’incontro fa parte del ciclo “Una rete di donne nello spazio pubblico fra mimetismo e differenza”, organizzato da Paola Melchiori, Maria Grazia Campari e Maria Nadotti. Questi incontri nascono dall’evidente inefficienza della rappresentanza politica italiana, in mano a gruppi oligarchici e a professionisti della politica partitica, che può essere superata solo attraverso movimenti di donne al di fuori di questi stretti giochi politici, con strategie precise, in grado di creare massa critica e forza femminile. Sono intervenute anche due parlamentari europee: l’austera Gudrun Schyman, presidente del Partito della sinistra socialista svedese e la simpatica e vivace “signora in rosso” norvegese Berit As,  esponente della sinistra nazionale in Norvegia.

 

Storia di due femministe politicamente attive

Gudrun Schyman è una donna di umili origini che da sempre si batte contro il sessismo, la discriminazione lavorativa e la violenza sulle donne; convinta sostenitrice che l’ottica predominante, sulle disuguaglianze sociali ed etniche, non sia il sistema capitalistico, ma il Patriarcato. Queste le ragioni che spingono Gudrun a continuare la lotta a favore delle donne nel movimento femminista come anche Berit As. Quest’ultima si è rivelata una donna da un forte carisma, fermezza, umanità e una stratega non comune: è stata, infatti, l’inventrice delle quote in politica, strumento che consente la partecipazione alle minoranze, garantendo ad esse una soglia minima. Berit As è riuscita a introdurre il sistema delle quote in Norvegia negli anni Ottanta. Mi sembra interessante spiegarvi come lo ha fatto. La parlamentare nasce 77 anni e fin da piccola emerge come leader tra i banchi di scuola, promuovendo uno sciopero di 600 bambini e bambine nei confronti della severa decisione del direttore che impediva a tutti di muoversi liberamente durante l’intervallo. La cosa mi ha fatto davvero sorridere e fatto capire che stavo di fronte a un essere non comune. Vive l’occupazione nazista, attivista nel movimento per la pace, sostiene l’indipendenza dello stato rispetto ad unioni o ad altri stati. Nel 1973 viene espulsa dal Partito Laburista perché contraria all’entrata del paese nella UE, per poi diventare la prima donna leader di partito in Norvegia, nel Democratic Party, divenuto poi Partito della Sinistra Socialista. Riesce ad imporre che il 40% delle cariche politiche siano destinate alle donne, incominciando a introdurre il sistema delle quote. Ma in seguito a una contro-reazione alle vittorie raggiunte, cambia strategia e crea la Social’s Alliance, ossia una rete segreta trasversale di donne. L’alleanza chiede la formalizzazione della politica delle quote nella Costituzione. Gli ostacoli sono tanti, ma la Berit non si arrende utilizzando tv e radio scandinave, per dare notizia all’opinione pubblica di ciò che sta succedendo. Il Parlamento norvegese è costretto a capitolare e le quote entrano nella Costituzione, anno 1981.

 

Quote rosa come difesa e pratica di rottura

Dopo il convegno, ci avviciniamo per chiacchierare. Chiedo alla Berit cosa voglia dire per lei essere femminista e mi risponde con convinzione: «avere la chiara coscienza dei numeri della discriminazione e delle violenze di ogni genere perpetrate sulle donne». Lascio la Berit parlare con altre donne presenti e chiedo a Paola Melchiori, fondatrice della libera Università delle Donne di Milano, se le quota rosa possono essere considerate una vittoria o un’ulteriore discriminazione. Per Paola Melchiorri «se non c’è un gruppo che fa un discorso con una proposta decente le quote rosa sono inutili. In passato non ero favorevole, adesso le approvo come pratica difensiva per smascherare il patriarcato imperante, soprattutto in politica. Potrebbero contribuire  a una  rottura della situazione politica italiana, che andrebbe assolutamente ribaltata. Dunque quote si, ma solo come difesa e pratica di rottura». A questo punto le chiedo cosa bisogna fare concretamente e mi risponde della «necessità di una politica come spazio di pensiero e di riorganizzazione del sociale. Ho creduto e lavorato nel movimento, tuttavia ho subito di persona il forte muro di sordità della sinistra in generale, nazionale e internazionale, rispetto alla questione femminista in relazione alle tematiche, alle visioni su di esse, al modo di prendere le decisioni, alle forme organizzative». La storia di queste donne insegna, che le minoranze spesso possono avere peso, visibilità e tutela, grazie al coraggio e alla perseveranza di individui, che sanno dire di no e in grado di rompere uno schema.

(Articolo tratto dall’ultimo numero della rivista ilCONSAPEVOLE di gennaio-febbario 2006)