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La battaglia dei Carpazi

di Francesco Lamendola - 22/08/2007

 

 

 

Alla fine del 1914, Vienna e Budapest stanno tremando: le avanguardie russe hanno raggiunto le creste dei Carpazi e si accingono a superarle, sboccando nella sottostante pianura ungherese. Ciò significherebbe, molto probabilmente, la fine per l'Austria-Ungheria, già provata da un disastroso inizio della guerra mondiale. Lo scrittore austriaco Hugo von Hoffmanstahl parla della strenua difesa del "bastione lunato dei Carpazi", che protegge, come già nei secoli passati, il cuore della Mitteleuropa dalle invasioni provenienti dalle steppe euro-asiatiche… Nasce così, negli alti comandi delle Potenze Centrali, l'idea di una grande offensiva per allontanare la mortale minaccia dall'Ungheria; ma anche il comando supremo russo, negli stessi giorni, ha progettato di lanciare la spallata definitiva. Quella che segue è la più lunga, sanguinosa ed inutile battaglia invernale dei tempi moderni combattuta su un terreno montuoso: gli eserciti contrapposti si affrontano per ben tre mesi in condizioni proibitive, sul ghiaccio e nella neve alta, con temperature notturne fino a quaranta gradi sotto zero. Le perdite saranno altissime, anche a causa dei congelamenti e delle malattie.

PARTE PRIMA

 

LE FORZE E I PIANI CONTRAPPOSTI

 

 

      1.  FATTORI FISICI DEL TEATRO DI GUERRA.

 

 

      La battaglia dei Carpazi si combatté fra Gorlice e la frontiera con la Romania lungo un fronte di quasi 400 km. L'altitudine media della catena principale, in questo tratto del sistema montuoso, è di 760-910 metri sul livello del mare e la struttura è a forme arrotondate; solo i Tatra, a sud-ovest del passo di Dukla, hanno carattere alpino. Nel tratto considerato i Carpazi hanno un andamento da nord-oves a sud-est sensibilmente arcuato e constano di una successione di catene parallele, spesso ricoperte da boschi assai fitti e talvolta impenetrabili. Nella sezione occidentale la catena principale è costituita dai Bassi Beschidi, fra il Passo di Tylicz e il Passo di Łupkόw, che sono la prosecuzione verso est degli Alti Beschidi. Non è un sistema molto elevato: negli Alti Beschidi (o Beschidi Occidentali) esso culmina nel monte Balia Gora a 1.725 m.; nei Bassi Beschidi (o Beschidi Orientali) le altezze sono assai più modeste: Watkowa 846 m., Cergowa 716, Bukowuca 777, Busov 1002 m. A est del passo di Łupkόw e fino alla Bucovina si allungano i Carpazi Selvosi, con cime più elevate: Halicz 1.335 m., G. Meneul 1.497 m., G. Apecka 1.511; a est del passo di Jablonica si raggiungono le maggiori altezze: Vf. Stogu 1.652 m., G. Goverla 2.061 Sul versante nord-orientale i Carpazi cadono bruscamente verso la pianura galiziana e diverse valli, anziché discendere verso il piano, si ripiegano ad angolo retto e sono in parte sbarrate da picchi isolati; sul versante sud-occidentale digradano dolcemente verso il Bassopiano Ungherese.

 

      La catena è incisa da numerose, ampie valli scavate dai fiumi. Quelli che scendono verso l'Ungheria sono tutti tributari del Tibisco (e del Danubio nei Carpazi occidentali): Tapoly (Top'la), Ondava, Laborcza (Laborec) nei Beschidi; Virava (Udava), Czirόka (Cirocha), Ung (Už), Letorcza (Latorica), Taracz ( Teresva) e lo stesso Tibisco Bianco, mei Carpazi Selvosi. I fiumi che scorrono verso la Galizia dai Beschidi fino al Passo di Uzsok e alla valle dell'Ung sono tributari della Vistola e appartengono quindi al bacino del Mar Baltico: Dunajec, Biała,  Wisłoka, Wisłok. E San. A est del passo di Uzsok i fiumi carpatici sono affluenti del Dniester e del Pruth (bacino del mar Nero): Stryi, Swica, Łomnica, Bystrzyca e Sołotwińska, Bystrzyca Nadworniańska, Prith. Infine i Carpazi della Bucovina centro-meridionale inviano le loro acque al Sereth (Siret): sono quindi, come quelli che confluiscono nel Pruth, tributari del Danubio: il maggiore di essi è la Suczawa (Suceava).

 

      I passi principali dei Carpazi, da ovest a est, sono quelli di Dukla (502 m.), di Łupkόw,(657 m.), di Uzsok (Uzcoker, 889 m.), di Verecke, di Beskied (Volovec) e di Wiszkόw. I più orientali sono i passi di Jablonica (Porta dei Magiari=Tataren, a 931 m.), il Passo di Prislop (1.414 m.) e il passo Rodnei (Rotundul, a 1.524 m.). Questi ultimi sono alquanto più elevati, conseguenza dell'innalzamento della catena ad est del Tibisco Nero.

 

     Le strade principali che attraversavano i Carpazi erano la Zmigrόd-Dukla-Ladomermèzö-Felsövizköz; la Jasiliśka-Czeremcka-Mezölaborcz; la Lisko-Baligród-Cisna; la Turka-Borynia-Maików-Vezerszállás, la Tuchla-Volocz-Munkács e la Delatyn-Vorochta-Körözsmezö-Mámaros-Sziget. Le ferrovie attraversanti i Carpazi erano la Miskolcz-Mezölaborcz-Zagόrz, passante per il Passo di Łupkόw; la Csap-Ungvár-Turka-Sambor, per il passo di Uzsok; la Csap-Munkács- Tuchla- Stryj, per il Passo Beskid; e infine la Máramaros Sziget-Jasiňa-Nadvόrna, che sfuttava un valico a sud-est del Passo di Jablonica.

      Il punto di più facile accesso all'Ungheria attraverso i Carpazi è sempre stato il Passo Beskid, attraversato dall'importante ferrovia Lemberg-Munkács. In questo settore lo Stryj sul versante galiziano e la Letorcza sul versante ungherese hanno le sorgenti vicinissime e i loro corsi superiori formano una grande "S" profondamente incisa attraverso le montagne e costituiscono, quindi, un notevole fattore di facilitazione per l'attraversamento.

 

     La vegetazione dei Carpazi è costituita da fitte foreste, dapprima di latifoglie, poi di conifere, fin verso i 1.500 metri; più in alto esse cedono ai mughi e, da ultimo, alle praterie.

     Nonostante l'altitudine della catena non sia elevata, d'inverno il clima è rigidissimo, con temperature notturne dell'ordine di quaranta gradi centigradi sotto zero; le bufere di neve sono assai frequenti.

     La regione più prossima alla zona sommitale era pressoché disabitata; d'inverno le strade erano continuamente interrotte dal ghiaccio e dalla neve, mentre all'inizio della primavera le piogge abbondanti - accompagnate dall'aumento di temperatura - le trasformavano in veri e propri fiumi di fango. Nel complesso, la rete delle comunicazioni era inadeguata al rifornimento prolungato di masse numerose di combattenti e la loro percorribilità appariva precaria. La Relazione Ufficiale ungherese precisa che sulle ferrovie attraversanti i Carpazi i trasporti dovevano essere in parte frazionati. Pertanto non erano possibili grandi concentramenti di truppe e materiali se non in tempi relativamente lunghi. (1)

 

      Non sarà superfluo, infine, completare il quadro d'insieme con un breve accenno alla situazione etnica nella regione dei Carpazi, fattore che tanta importanza rivestiva dal punto di vista politico all'avvicinarsi dei Russi. Benché la frontiera politica della Transleithania (la metà ungherese della Duplice Monarchia) varcasse ampiamente la cresta dei Carpazi, includendo in territorio magiaro le cime più elevate della catena, la popolazione ungherese non abitava che un lembo assai modesto di quel territorio, a sud di una linea ideale passante per Göllnitz-Kaschau-Ungvar-N. Szöllos. A est del Passo di Łupkόw e della valle della Laborcza, e fin nei pressi del Passo di Prislop, la popolazione era - su entrambi i versanti dei Carpazi - nettamente rutena (ucraina), con piccolissime minoranze ungheresi e tedesche. Anche la valle superiore del Tapoly e la regione sulla riva destra del Porád superiore erano abitate da Ruteni. I Polacchi prevalevano nel saliente di Zakopane (Alti Tatra) e nelle valli superiori del Dunajec e della Biała (Neu Sandec, Grybόw, Gorlice, Jasło); dal passo di Tylicz fino al passo di Dukla e oltre, la frontiera galiziana coincideva esattamente con quella etnica, essendo prevalentemente polacco il versante galiziano (ma con le debite eccezioni: A Dukla nel 1914 il 70% della popolazione era ebraica). Gli Slovacchi abitavano le vallate superiori dei fiumi Hernád (Hornád), Tapoly e Laborcza, con le città di Bartfeld, Eperjes e Kaschau. Infine nella Bucovina Carpatica prevalevano i Romeni, con minoranze di Ruteni e di Tedeschi.

 

      Da tutto questo si evince che nella parte di gran lunga più estesa del teatro di guerra le armate russe potevano contare sull'aperto favoreggiamento dei loro fratelli di stirpe (Ruteni) e su quello più o meno velato delle altre popolazioni (Slovacchi, Romeni). (2) Gli Ebrei, concentrati principalmente nelle città (a Czernowitz specialmente erano assai numerosi e molto attivi nel commercio) erano invece, nel complesso, favorevoli all'Austria, anche per il timore dei pogrom che quasi sempre accompagnavano l'avanzata russa (come si era visto in Galizia nel 1914). I Russi, pertanto, anche nella regione carpatica adottarono una brutale politica di trasferimenti forzati e di persecuzioni contro le comunità ebraiche, come già avevano fatto in Galizia nei mesi precedenti. (3)

 

 

NOTE

 

1)           Archivio Storico Militare Ungherese, La guerra mondiale 1914-1918, con particolare riguardo all'Ungheria e all'azione svolta dalle truppe ungheresi, trad. ital. Ministero della Guerra,, Roma, 1935, vol. 1.

2)           Per questa descrizione etnica della regione carpatica ci siamo serviti principalmente della carta delle popolazioni contenuta in Conrad von Hötzendorf, Aus Meiner Dienstzeit 1906-1918, Vienna, 1921, vol. 1. Cfr. anche la carta Le razze dell'Austria-Ungheria di Vallardi, in E. Réclus, Nouvelle Géographie Universelle, trad. ital. Milano, 1896.

3)           Cfr. gen. Max Ronge, Spionaggio, tra. ital. Napoli, 1933. Per le persecuzioni antisemite in Galizia, oltre che in Lituania e Polonia, ved. Maurice Paléologue, La Russia degli Zar durante la Grande Guerra, trad. ital. Firenze (2 voll.), 1929. Per la situazione complessiva degli Ebrei in Austria-Ungheria durante la prima guerra mondiale, ved. François Fejtö, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, Milano, 1990, spec. pp. 149-159.

 

 

2.     IL PIANO AUSTRIACO.

 

 

     Verso la fine del 1914, conclusasi la campagna di Limanowa-Lapanów e inasprendosi la lotta nei Carpazi per effetto dell'energica avanzata dell'Ottava Armata russa, il Ludendorff fece a Conrad l'offerta di tre o quattro divisioni germaniche per rinforzare il vacillante fronte dell'alleato. Poiché sul fronte della Polonia sud-occidentale gli attacchi austriaci non avevano prodotto alcun risultato positivo, mentre nei Carpazi la minaccia russa si aggravava, Conrad propose a Ludendorff di utilizzare quelle divisioni in Polonia, per sostituire la Seconda Armata del generale Böhm-Ermolli che avrebbe potuto, così, essere trasporata  nel settore carpatico. Conrad intendeva impiegare la Seconda Armata sull'ala destra sull'ala destra della Terza, al fine di sfondare verso la Galizia e travolgere l'Ottava Armata russa che premeva fortemente Boroević.  In quella occasione, però, il Capo di Stato maggiore germanico, von Falkenhayn, si era pronunciato decisamente contro il progetto di una grande offensiva nei Carpazi, e la Seconda Armata austriaca era stata lasciata sul fronte polacco. Conrad non aveva, però, abbandonato il suo progetto, e nel gennaio 1915 si risolse definitivamente ad attuarlo; le sue caratteristiche operative vennero, però, sostanzialmente modificate.

   

      Nell'intraprendere la gigantesca campagna invernale, Conrad aveva il duplice obiettivo di sbloccare la fortezza di Przemyśl, che si trovava nella morsa dell'assedio fin dal 6 novembre 1914,  e di allontanare la minaccia avversaria dalla ricca Pianura Ungherese, granaio degli Imperi Centrali e cuore nevralgico dell'Austria-Ungheria. Appare, dunque - nella concezione che ne ebbe il Capo di Stato maggiore austriaco -  che il piano era ispirato a due differenti esigenze strategiche: entrambe offensive ed entrambe con obiettivo limitato, ma finalizzate l'una alla liberazione di una piazzaforte assediata, l'altra ad un alleggerimento della pressione avversaria. Conviene, perciò, esaminarle separatamente.

 

      Innanzitutto, l'offensiva "di alleggerimento". Come si è accennato, sul cadere del 1914 l'andamento delle operazioni militari  aveva assunto un corso sfavorevole agli Austro-Ungarici, costretti a cedere, sotto la spinta del generale Brusilov, il terreno conquistato durante la prima fase della campagna di Limanowa-Lapanόw. La situazione, intorno al capodanno, non era tragica come ai primi di dicembre, quando Boroević aveva pensato addirittura di ritirarsi fino a Budapest; tuttavia i Russi avanzavano nuovamente minacciosi, specialmente nella zona del Passo di Dukla, e la Terza Armata austriaca sembrava aver perso gran parte della sua capacità combattiva. Da questo punto di vista, perciò, il progetto di una offensiva nei Carpazi sembrava giustificata dalla situazione  strategica, benché un peso notevole abbiano avuto, in effetti, più che considerazioni strettamente militari, le pressioni dell'opinione pubblica magiara, estremamente allarmata per la presenza dell'esercito russo ai valichi montani adducenti verso la Pianura Ungherese.

 

      Per quanto riguarda l'altra esigenza strategica della progettata offensiva, anch'essa a prima vista appariva fondata su consistenti ragioni di fatto. Nella fortezza assediata di Przemyśl, infatti, erano ammassati circa 130.000 uomini, dei quali 83.700 appartenevano alle truppe combattenti; la guarnigione del generale Kusmanek, pertanto, alla fine del 1914 era numericamente più forte di ciascuna delle armate di campagna austro-ungariche. Si trattava di truppe valorose, per quanto composte in maggioranza da unità di landsturm (truppe territoriali), e Contrad voleva evitarne a ogni costo la cattura; inoltre a Przemyśl vi era un complesso formidabile di artiglieria, quasi 1.000 pezzi fra mobili e fissi. I viveri, però, erano assicurati solo fino al 18 febbraio, dopo di che si sarebbe dovuti ricorrere alla macellazione dei cavalli. Anche nel caso della liberazione di Przemyśl, comunque, Conrad si riprometteva anche un obiettivo politico:  quello di influire, per mezzo di un successo militare, sulle decisioni politiche dell'Italia e della Romania, il cui atteggiamento si faceva sempre più ostile.

 

      In realtà, il piano di Conrad era viziato da un errore di origine. Come ha osservato giustamente il von Cramon, "Conrad era fautore di un'offensiva nei Carpazi non soltanto perché  era necessario ottenere un successo per esercitare un'influenza politica sull'Italia e sulla Romania, ma perché era preoccupato per la sorte di Przemyśl. Ne risultava, dunque, una situazione che era l'opposto di quella che avrebbe dovuto essere, giacché le operazioni di un'amata di campagna erano legate nel tempo e nello spazio a una piazzaforte." (4)  Una giusta visione strategica vuole che le piazzaforti costituiscano un fattore di contrasto e, anche sotto assedio, di disturbo per l'esercito nemico; non già un elemento vincolante per le operazioni dell'esercito di campagna. Solo nel caso che la piazzaforte abbia un elevato valore politco, oltre che stategico, si può giustificare un tale sovvertimento delle più elementari regole dell'arte militare: tale il caso in cui si tratti della capitale, come quando Vienna fu assediata dai Turchi nel 1529 e nel 1683, o quando Torino fu assediata dai Francesi nel 1706.

 

      Quanto al Comando Supremo germanico, il generale Ludendorff era favorevole a un'offensiva invernale sui Carpazi; Falkenhayn, che dapprima vi si era opposto, finì per cedere. In tal modo Conrad potè assicurarsi l'appoggio dell'alleato il quale, anziché rilevare la Seconda Armata di Böhm-Ermolli in Polonia per permetterne il trasferimento sui monti, inviò alcune divisioni direttamente a rinforzo degli Austriaci sui Carpazi.

     Ha scritto il generale Ludendorf: "Già dalla fine di dicembre il Comando Supremo austro-ungarico  prevedeva la caduta di Przemyśl, ma temeva anche un forte attacco russo in Ungheria; infatti il nemico iniziò il suo attacco contro l'armata del generale Boroević, guadagnando le creste dei Carpazi, e il generale Conrad progettò di contrattaccarlo tentando, nello stesso tempo, di liberare Przemyśl dall'assedio.  Mi sembrò opportuno appoggiare l'azione dell'armata austro-ungarica, tanto più che l'armata russa non poteva essere attaccata energicamente in altri punti.  Era ancora dubbio se si poteva tentare un attacco nella Prussia Orientale (…); però per l'invio di rinforzi tedeschi in Ungheria dovetti rivolgermi al generale in capo del fronte orientale [Hindenburg]. La Nona Armata in Polonia stava in una zona molto ristretta. La guerra dell'ovest mi aveva insegnato che per la difesa nella guerra di posizione l'ampiezza del fronte  doveva essere maggiore di quella finora tenuta.  Alcune divisioni della Nona Armata potevano essere mandate in altri posti.  Non accettai la proposta di continuare l'assalto frontale qui  o a sud della Pilica e mandai in Ungheria il comando del Secondo Corpo d'Armata, la Prima Divisione di fanteria, la Quarantottesima divisione di riserva e una brigata rinforzata da tre reggimenti che formò più tardi una Divisione della Guardia, e la Quinta Divisione di cavalleria. Nel frattempo furono messe a disposizione del generale in capo del fronte orientale altre divisioni. Anche con l'invio di truppe di rinforzo per l'offensiva progettata da Corad, ci trovammo provvisti di truppe più che peruna semplice difesa." (5)  Queste divisioni cosituirono una Kaiserliche Deutsche Südarmee (Divisione imperiale germanica del Sud), che venne schierata sull'ala destra della terza Armata austro-ungarica.

 

      Nei piani austriaci il compito principale dell'offensiva era affidato alla Terza Armata, che doveva avanzare direttamente su Przemyśl appoggiata dall'Armata tedesca del Sud, che si sarebbe mossa verso Tuchla e Wyszkόw; la guarnigione di Przemyśl, secondo gli sviluppi della situazione, avrebbe tentato di aprirsi la via per congiungersi con gli eserciti di campagna. La distanza tra il fronte austro-russo nei Carpazi e Przemyśl  era di di soli 70 km., e Conrad - inizialmente - non pensava ad una campagna prolungata nella zona montuosa. Secondo le sue ottimistiche direttive, il suo esercito avrebbe dovuto irrompere direttamente dai Carpazi e sboccare in pianura per la via più breve. Ciò può spiegare in parte, anche se non giustificare, l’incredibile leggerezza che alcuni aspetti nella preparazione della campagna  tradiscono. Ludendorff, per esempio,  ha riferito come, nella conferenza tenutasi a Breslavia l'11 gennaio fra lui stesso, Falkenhayn e Conrad, quest'ultltimo espresse l'opinione che non fosse necessario un equipaggiamento da montagna per le truppe.  "Ma quando mi recai personalmente sulle posizioni ove doveva aver luogo l'avanzata - ha scritto il generale tedesco - capii che esso era di somma importanza e vi provvidi in fretta." (6)

 

     Se la situazione si fosse delineata favorevolmente, poi,  Conrad pensava di proseguire l'avanzata anche oltre Przemyśl, con l'intento ambizioso di avvolgere da sud l'ala sinistra dello schieramento avversario. Tale azione avvolgente non incombeva all'Armata tedesca del Sud, che non disponeva per quel compito di forze adeguate, ma al Distaccamento d'Armata Pflanzer-Baltin, schierato ancora più ad est. Neppure esso, però, era abbastanza forte per l'avvolgimento del fianco russo, e la limitata capacità delle ferrovie in quella regione poneva gravi problemi per il concentramento delle truppe e dei materiali.

      Ancora una volta, dunque (come già nelle battaglie di Lemberg e nella campagna di Limanowa-Lapanόw) apparivano sproporzionati rispetto alla reale disponibilità di mezzi e alla situazione complessiva dell'esercito austro-ungarico. Quest'ultimo, infatti, era uscito assai provato dalle lotte precedenti: il fiore delle truppe e specialmente del corpo degli ufficiali era caduto nella campagna estiva in Galizia, e il contegno di varie unità slave e rumene - dopo quella disfatta - appariva poco combattivo.  La depressione degli animi era aggravata dai disagi e dalle privazioni della stagione invernale, dovuti anche alla difficoltà di vettovagliare adeguatamente l'esercito, sui Carpazi, dopo oltre cinque mesi di guerra. Il Comando Supremo austriaco, come del resto quelli delle altre potenze coinvolte nel conflitto, aveva creduto che la guerra sarebbe stata breve e che si sarebbe risolta prima dell'inverno; le scorte di materiale bellico, nel luglio del 1914, erano assai limitate (appena 500 proiettili per pezzo nel caso dell'artiglieria): nessuno aveva previsto l'enorme consumo di armi e munizioni richiesti da una guerra di posizione, sostanzialmente dominata dal binomio filo spinato-mitragliatrice. Nel caso delle Potenze Centrali, poi, cominciavano a farsi sentire gli effetti del blocco navale britannico, che aveva tagliato i rifornimenti di grano e carne e quelli di minerali necessari all'industria bellica: e, rispetto alla forte industria pesante e alle risorse minerarie della Germania, la situazione dell'Austria-Ungheria, Paese prevalentemente agricolo e povero di carbone, appariva già allora assai incerta.

      Se a tutte queste considerazioni si aggiunge il fatto che lo sforzo principale dell'offensiva veniva affidato proprio a quella Terza Armata che più di tutte appariva provata, e che avrebbe dovuto modificare il suo schieramento da difensivo a offensivo (per non parlare dello stato d'animo delle truppe, alquanto depresso dalle perdite subite e dalle continue sconfitte e ritirate - nonché da una sorta di complesso d'inferiorità nei confronti dell'esercito russo - appare chiaro che la campagna d'inverno nei Carpazi fu un vero e proprio azzardo. Evidentemente, Conrad non aveva saputo far tesoro della lezione ricevuta nella bruciante sconfitta di Lemberg dell'agosto-settembre 1914. Egli era uno stratega audace e risoluto, ma poco realistico nella valutazione delle proprie forze e incline a una dispersione che contrastava con il  fondamentale principio della concentrazione degli sforzi. Lo si sarebbe visto anche tre anni e mezzo dopo, nella decisiva battaglia del Solstizio, sul Piave, nel giugno 1918, vera e proprio preambolo del crollo finale dell'Austria-Ungheria.

      Scrive un eminente storico inglese di cose militari: "In generale, i contemporanei tedeschi di Conrad parlarono bene di lui. (…)  I giudizi austriaci sulle capacità di Conrad sono stati più critici di quelli tedeschi.  Si pensa che Francesco Giuseppe considerasse Conrad "una specie di militare idealista che mancava di sufficiente senso dell'economia militare e di abilità nello sfruttare al meglio gli uomini e le risorse a sua disposizione' (Redlich). Man mano che la guerra si prolungava, l'imperatore cominciò a perdere fiducia  nel suo capo di Stato Maggiore. La morte di Francesco Giuseppe nel 1916 evitò che i dissapori  fra i due uomini diventassero insanabili.  La critica più grossa a Conrad era di non essere capace di proporzionare  i fini ai mezzi a sua disposizione. Le lamentele a questo proposito di Francesco Giuseppe  vennero riprese dal generale Alfred Krauss, uno dei più brillanti comandanti austro-ungarici, il quale disse che in guerra 'Conrad sfortunatamente mancava di conoscenza sulle necessità operative'." (7)  L'episodio della mancata dotazione di equipaggiamento da montagna per le truppe austriache destinate all'offensiva sui Carpazi, più sopra riferito e cui pose rimedio l'intervento in extremis dei Tedeschi, la dice lunga su quest'ultimo aspetto, che sottolinea l'astrattezza e il velleitarismo del Comando supremo austriaco.

 

NOTE

 

4)            Gen. A. von Cramon, Quatre ans au G. Q. G. Austro-Hongrois pendant la guerre mondiale comme reprèsentant  du G. Q. G. Allemand, Parigi, 1921. La traduzione è nostra (ma l'opera è stata tradotta in italiano: Palermo, 1924).

5)           Erich Ludendorff, I miei ricordi di guerra 1914-1918, trad. ital. Milano, 1920 (2 voll.). vol. 1.

6)           E. Ludendorff, op. cit.

7)           Ronald W. Hanks, Il tramonto di un'istituzione. L'armata austro-ungarica in Italia (1918), Milano, 1994, p. 13.

 

 

3.     IL PIANO RUSSO.

 

     Nel Comando Supremo russo (Stawka) si palesò una sostanziale differenza di vedute  fra il generale Danilov, quartiermastro generale, e il generale Ivanov, comandante del fronte sud-occidentale. Il primo, sostenuto dal generale Russkij (divenuto comandante del fronte nord-occidentale)  riteneva che si dovesse sferrare un'offensiva in forze contro l'avversario più pericoloso, cioè la Germania; il secondo, invece, voleva infliggere un colpo decisivo all'Austria-Ungheria. Il granduca Nicola, comandante supremo dell'esercito, non tenne un contegno molto fermo verso i comandanti sottoposti; privo di conoscenze approfondite nel campo della strategia, non poteva influenzare egli stesso le grandi decisioni operative della Stawka. In pratica, dopo varie oscillazioni, finì per accettare il progetto di Ivanov, ossia l'attacco sul fronte austro-ungarico. Da chi veramente partì l'idea di un'offensiva invernale nei Carpazi, non è peraltro del tutto chiaro neppure oggi.

      Ha scritto il generale Danilov: "Più tardi (…). Durante l'inverno 1916-1917 il generale Ivanov mi dichiarò che l'operazione nei Carpazi, che aveva per obiettivo di annientare l'esercito austriaco,  gli era stata presentata - cito la sua tstuale espressione - come un arrosto cotto a puntino, e che non rimaneva più, che servirglielo. Egli aggiunse che tutto questo periodo della guerra si trova fedelmente riportato in una serie di documenti che si trovavano in suo possesso." (8)

 

      Sembra dunque che, se il difetto d'origine del piano austriaco consistette in un errore di sopravvalutazione dell'importanza di Przemyśl, quello del piano russo fu un errore di sottovalutazione ella capacità di resistenza dell'avversario. In Russia molti pensavano che l'esercito austriaco, dopo le battaglie di Lemberg, fosse ridotto allo stremo, sia a causa delle gravi perdite subite in uomini e materiali, sia per il disgregamento delle sue varie componenti nazionali, in realtà ancora alquanto limitato.

      In tale errore fu indotto anche il generale Ivanov che, come il granduca Nicola, non era uno stratega. Invece il suo capo di Stato maggiore, generale Alexeiev, era sfavorevole all'offensiva nei Carpazi, poiché avrebbe preferito concentrare gli sforzi in un attacco sul fronte polacco. Tuttavia l'opinione di Alexeiev - pur proveniente da quello che era forse il migliore stratega dell'esercito russo - venne alfine respinta dalla Stawka, e il desiderio del generale Ivanov e del granduca Nicola di farla finita con l'Austria ebbe il sopravvento.

 

      Verrebbe da chiedersi, comunque, perché i due comandanti, quando la lotta cominciò a prolungarsi oltre ogni aspettativa e con perdite gravissime, vollero ostinarsi a pèerseverare in una operazione che alcuni dei loro più illustri colleghi avevano, invece, sconsigliato. La risposta, probabilmente, risiede più nel loro carattere che nella saldezza delle loro convinzioni strategiche.  Del granduca Nicola si può affermare che aveva una natura energica ma impulsiva, che era accecato dalla sua avversione per i Tedeschi e gli Austriaci e che questo lo portò a cadere con facilità in gravi errori di giudizio, sottovalutando l'avversario e sopravvalutando le risorse del proprio esercito, di cui pure non poteva ignorare le gravissime lacune organizzative.

     Quanto al generale Ivanov, riportiamo un ritratto illuminante tracciato dal generale Danilov: "Il generale Ivanov non abbandonava facilmente una decisione una volta presa. Di carattere chiuso, avaro di parole, egli metteva del tempo a ruminare una concezione strategica, ma aveva il talento di superare con la stessa lentezza e con la stessa pazienza tutti gli ostacoli che poteva incontrare sul suo cammino." (9)  L'interminabile battaglia dei Carpazi, condotta con estrema ostinazione ma con poca abilità, sembra offrire una conferma esemplare di questo giudizio.

 

      Bisogna però osservare che l'offensiva attraverso i Carpazi doveva costituire il necessario preliminare per un attacco a fondo contro la Germania, assicurando la protezione del fianco sinistro. La Stawka ritenne che essa, al tempo stesso, potesse offrire l'occasione d'irrompere su Budapest Vienna e travolgere l'Austria:  i due obiettivi erano in qualche modo correlati, essendo l'uno la premessa dell'altro.

      In quanto operazione subordinata a quella principale contro la Germania, l'offensiva nei Carpazi rispondeva a una coerente visione strategica d'insieme e appariva perciò giustificata; in quanto espressione della tendenza strategica mirante all'annientamento dell'Austria-Ungheria, essa usciva dai limiti di un'operazione secondaria e tendeva a stemperare lo sforzo russo in una costante indeterminatezza di obiettivi, che superava di gran lunga i mezzi a disposizione. A questo proposito è opportuno sottolineare il fatto che il generale Ivanov aveva presentato inizialmente al granduca Nicola l'operazione nei Carpazi come un'offensiva a obiettivo limitato, tendente a superare i monti ove le truppe russe non disponevano di equipaggiamento adeguato, e raggiungere una miglior sistemazione in pianura. La minaccia verso Budapest, in tal modo, veniva a prendere l'aspetto di corollario d'una operazione voluta per ragioni prevalentemente logistiche: così che la strategia veniva subordinata alla logistica, con un evidente stravolgimento della corretta dottrina militare. Come gli Austriaci per la liberazione di Przemyśl, pare che i Russi abbiano commesso l'errore di subordinare l'obiettivo strategico di raggiungere il Tibisco ed, eventualmente, il Danubio, minacciando le due capitali della monarchia austro-ungarica, all'obiettivo logistico di portare l'esercito, non equipaggiato per la guerra in montagna, nella vicina Pianura Ungherese. Si giungeva così all'assurdo che, per evitare di sostenere una campagna invernale sui monti, si dava battaglia proprio su quei monti, e nel cuore dell'inverno!

 

      Questa contraddizone fra obiettivo "minimo" e "massimo"  dell'operazione nei Carpazi, fra progetto di offensiva tattica e marcia su Vienna (distante 400 km.), è esemplarmente illustrata anche dalla storiografia russa contemporanea. Ha scritto infatti il generale Andolenko, evidentemente senza rendersi conto ella contraddizione: " Costi quel che costi, occorre che i Russi si muovano. Non è più il caso di grandi offensive, ben inteso, ma di una robusta azione attraverso i Carpazi, verso l'Ungheria, e di là forse su Vienna. Non offrirebbe essa ai Russi l'occasione di travolgere l'Austria? Non deciderebbe forse, al tempo stesso,  l'entrata in guerra dell'Italia al fianco degli Alleati? È questa la decisione che finirà per prendere la Stawka, nonostante le numerose reticenze che si manifestano nel comando.[i corsivi sono nostri]." (10)

      Queste reticenze erano originate soprattutto dall'incertezza in cui la Stawka si trovava circa le intenzioni dell'avversario. Ha osservato giustamente il Danilov che "se il colpo proveniente dai Carpazi poteva tutt'al più farci perdere la Galizia, il colpo che ci fosse portato dalla Prussia Orientale poteva avere per noi delle conseguenze assai più funeste." (11)  Il che si dimostrò falso nel maggio 1915, quando l'offensiva austro-tedesca di Tarnόw-Gorlice, partendo proprio dalla radice dei Carpazi, provocherà il crollo dell'intero fronte russo e la perdita non solo della Galizia, ma anche della Polonia e della Lituania.

      Invece il vero rischio implicito nel piano russo non era tanto legato al fatto che, per il momento, l'esercito russo avrebbe dovuto tenersi sulla difensiva sul fronte germanico, in Polonia e al confine della Prussia Orientale, quanto all'ambiguità della sua concezione strategica di fondo. Delle due, l'una. O si voleva tentar di travolgere l'Austria, e allora bisognava preparare un'offensiva in grande stile; oppure si voleva solamente raggiungere una migliore posizione strategica, avanzando dai Carpazi fino al Tibisco, ma questo non avrebbe portato che a vantaggi limitati e, anzi, avrebbe dato ai Tedeschi la possibilità di effettuare un energico contrattacco in pianura, sfruttando le migliori vie di comunicazione, mediante una manovra "per linee interne", tipo Tannenberg.

 

      La parte preminente dell'operazione doveva toccare all'Ottava Armata di Brusilov la quale, esercitando il maggiore sforzo per il Passo di Dukla, avrebbe dovuto scendere nelle valli della Laborcza e dell'Ondava, in Slovacchia orientale, e di lì sboccare a Eperjes, Kaschau e Csap. L'aperta Pianura Ungherese sarebbe stata un campo di manovra ideale per un'armata d'invasione dotata di grandi masse di cavalleria. La Stawka si illudeva che colà l'esercito russo avrebbe potuto dare la mano ai Serbi e magari anche agli Italiani e ai Romeni, qualora un grande successo contro l'Austria  avesse indotto quei Paesi a rompere la neutralità e unirsi allo schieramento dell'Intesa.

      Non teneva conto, il generale Ivanov - e con lui il granduca Nicola - dello stato di grave esaurimento delle proprie truppe, delle terribili perdite subite nel 1914, del consumo imprevisto di munizioni e materiali in gran parte non sostituibili. Inoltre l'esercito russo, per ammissione stessa dei suoi capi, non era addestrato né equipaggiato per la guerra di montagna: il Russo è un abitante delle grandi pianure, e la maggior parte dei soldati impegnati sui Carpazi non avevano neppure mai visto delle montagne, prima d'allora. 

      Neanche l'esercito tedesco possedeva una tale specifica preparazione, ad eccezione di alcune piccole unità di truppe alpine, e proprio tale constatazione aveva sul principio indotto il generale Falkenhayn  ad opporsi all'impiego di forze germaniche sui Carpazi.  Egli si era convinto solo quando, alla conferenza di Breslavia, da parte austro-ungarica gli era stato promesso l'invio all'Armata tedesca del Sud di carriaggi locali, salmerie e altro materiale adatto. Ma, per i Russi, non vi era alcuna possibilità di aiuto.

     Ha scritto il generale inglese Archibald Wavell (comandante dell'esercito britannico iu Egitto nel 1940-41 ed esperto di storia militare): "Il granduca [Nicola] faceva affidamento sulla rande resistenza dei suoi uomini nelle condizioni invernali per dare loro un vantaggio sui nemici, abituati a climi meno rigidi. Egli dimenticava che il Russo è un abitante delle pianure (plainsman) e che la guerra di montagna richiede speciali attitudini e addestramento." (12)

 

 

NOTE

 

 

8)           Youri  Danilov, La Russie dans la Guerre Mondiale (1914-1917), Parigi, 1927. La traduzione, come le seguenti,è nostra.

9)           Y. Danilov, Op. cit.

10)       S. Andolenko,  Histoire de l'Armée russe, Parigi, Flammarion; trad. ital. Storia dell'esercito russo, tr. it. Firenze, 1969, p. 357.

11)       Y. Danilov, Op. cit.

12)       A. P. Wavell, Battles of the Carpathians, in Encyclopedia Britannica, ediz. 1961, vol. 4, pp. 908-09.

 

 

 

     4.  I PREPARATVI PER L'OFFENSIVA.

 

 

      Da parte austro-ungarica la prima necessità, per intraprendere l'offensiva con prospettive di successo,  era quella di rinforzare sia la Terza Armata (alla quale toccava lo sforzo principale, e che al momento era appena in gradi di mantenere le proprie posizioni difensive), sia il Distaccamento d'Armata Pflanzer-Baltin, al quale spettava l'importantissimo compito di condurre l'avvolgimento dell'ala sinistra russa. Le truppe a ciò necessarie non potevano essere tratte alla Polonia; occorreva dunque prelevarle dalla frontiera serba, dove nel dicembre gli Austriaci avevano subito una sconfitta disastrosa. Ma l'esercito serbo, dopo aver realizzato sul fiume Kolubara il proprio "miracolo ella Marna", liberando Belgrado e ricacciando il nemico oltre confine, non era stato in grado di sfruttare a fondo il successo, sia per mancanza di mezzi adeguati a una vasta operazione offensiva, sia per le gravi perdite subite. Perciò, per il momento, una minaccia d'invasione dell'Ungheria meridionale da parte dei Serbi era da escludersi; occorreva, nondimeno, "velare" per quanto possibile tale trasferimento di forze ai Balcani al fronte russo. Perciò, su suggerimento del capo dell'Evidenzbureau dello Stato maggiore austriaco, generale Ronge, un battaglione tedesco venne inviato nel Banato a scopo dimostrativo, mentre lo spionaggio austriaco spargeva abilmente la voce di un prossimo arrivo sul confine servo di tre corpi d'armata tedeschi. Questa manovra ebbe successo, e i Serbi rimasero con le armi al piede sul Danubio e sulla Drina, senza tentare alcuna penetrazione in territorio austriaco. (13) Pur senza esagerare l'importanza dello stratagemma ideato dal Ronge, bisogna tuttavia riconoscere che esso contribuì realmente a distogliere il voivoda (comandante in capo) Putnik da nuove operazioni, in un momento che sarebbe stato per lui così favorevole, e permise a Conrad di sguarnire il fronte serbo oltre i normali limiti della prudenza. (14)

      Due Corpi d'Armata, il XIX e il XIII, nella seconda metà di gennaio lasciarono i Balcani e vennero così trasportati nei Carpazi, ove il primo andò a rinforzare l'ala destra della Terza Armata, il secondo passò al Distaccamento d'Armata Pflanzer-Baltin. In tal modo, cinque nuove divisioni furono disponibili per l'offensiva sui monti. Dopo aver lungamente commesso un errore di dispersione delle forze tra il fronte serbo e quello russo, ciò che era stato causa di gravi insuccessi, il Comando Supremo austriaco seppe trarre il massimo vantaggio dall'inattività dell'esercito serbo, lasciando schierato contro di esso un semplice velo di forze, che poco dopo sarebbe stato ulteriormente ridotto.