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La cosmologia sacra nella tradizione cristiana

di Vincent Rossi - 09/11/2007

 

 

“Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è il sapere che abbiamo perduto nell’informazione?”. Queste tre acute domande, vergate da T. S. Eliot più di mezzo secolo fa, ci indicano direttamente il problema della visione cristiana della Creazione mentre affrontiamo il nuovo millennio. La coscienza cristiana ha perduto la sua antica saggezza e ha bisogno di riscoprirla, quale parte essenziale e indispensabile della sua vita.

 

 

Il recupero della cosmologia cristiana

 

Molti oggi domandano che la religione moderna, e particolarmente il cristianesimo, torni a inserirsi nel cosmo, affinché la religione possa diventare una autentica forza capace di procurare l’energia etica e spirituale necessaria per l’arduo compito di invertire l’attuale tendenza alla degradazione della Terra. Un’analisi delle radici della tradizione cristiana profonda mostra che la sensazione di essere “inseriti” nella Creazione era una parte molto concreta dell’esperienza complessiva della religione. La Chiesa primitiva, specialmente nella sua parte greca o orientale-ortodossa, ma anche in Occidente, ha trasmesso una fede completamente “cosmica”.

I grandi santi e sapienti della Chiesa primitiva, nei loro scritti, riconoscono implicitamente una fondamentale verità, che troviamo espressa anche in G. K. Chesterton: “La religione non consiste nell’andare in chiesa, ma nel sentirsi parte del cosmo”. Chesterton ha anche argutamente osservato che “L’ideale cristiano non è stato messo alla prova e trovato carente; è stato trovato difficile e si è preferito non sperimentarlo”[1]. Il senso di questa osservazione riguarda tanto il ruolo del cristianesimo nel ricollegare il cristiano alla Creazione, quanto le più individualistiche preoccupazioni relative alla salvezza dell’anima. Infatti, assunta nel suo significato più pieno, la dimensione cosmica, così caratteristica del cristianesimo orientale, implica che la salvezza dell’anima del cristiano è direttamente collegata al modo in cui lui o lei obbedisce alla Creazione. Lungi dall’essere “antropocentrica”, la tradizione cristiano-ortodossa, in tutti i suoi duemila anni di storia, presenta una visione del mondo “teoantropocosmica”[2].

 

 

Il divorzio della religione dal cosmo

 

Se questa visione del mondo incentrata su Dio, l’Uomo e il Cosmo è stata così centrale nella Chiesa primitiva, come mai l’abbiamo persa di vista? Anche se lo scopo di quest’articolo non è quello di raccontare come la religione occidentale ha divorziato dal cosmo, non possiamo evitare di parlarne, sia pure brevemente.

Secondo Philip Sherrard, la radice della crisi ecologica è, in definitiva, teologica. Più specificamente, è una interpretazione teologica del rapporto tra Dio e la Creazione che separa l’ordine creato dalla realtà divina in modo tale da rimuovere dalla Creazione ogni valore spirituale e lasciare solo processi materiali e “risorse” da sfruttare.

La via verso il recupero dell’integrità della Creazione è stata tracciata in un certo numero di significative dichiarazioni dal Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, di cui un buon esempio è la seguente: “Dobbiamo riconoscere il fallimento di tutte le ideologie antropocentriche, che hanno creato negli uomini e nelle donne di questo secolo un vuoto spirituale e una insicurezza esistenziale, e hanno indotto molti a cercare la salvezza in nuovi movimenti religiosi e parareligiosi, sette, o attaccamenti quasi idolatrici ai valori materiali di questo mondo. I pericoli per la sopravvivenza dell’ambiente naturale sono simili. L’uso negligente e auto-indulgente della creazione materiale da parte dell’uomo, con l’ausilio del progresso scientifico e tecnologico, ha già iniziato a causare una irreparabile distruzione dell’ambiente naturale. La Chiesa Ortodossa, non potendo restare passiva di fronte a una tale distruzione, invita, attraverso di noi, tutti gli ortodossi a dedicare il primo settembre di ogni anno, giorno dell’inizio dell’anno ecclesiastico, all’offerta di preghiere e suppliche per la preservazione della creazione di Dio e l’adozione di un atteggiamento verso la natura che sia coerente con l’Eucaristia e la tradizione ascetica della Chiesa”[3].

Quello che voglio suggerire in questo articolo è un modo di recuperare la perduta dimensione cosmica della religione, mostrando come essa potrebbe essere ritrovata nella tradizione cristiana. Quella che deve soprattutto essere recuperata è non soltanto l’intuizione che la religione ha bisogno di essere inserita nel cosmo, ma anche che il mondo è inserito in Dio. Poiché è questa perdita che ha inevitabilmente condotto alla separazione della religione dall’ordine naturale. Come dice Philip Sherrard: “C’è una relazione di interdipendenza, interpenetrazione e reciprocità fra Dio, l’Uomo e la Creazione; ed è la perdita da parte della coscienza cristiana della consapevolezza del pieno significato di questa relazione a costituire la causa fondamentale dell’odierna crisi ecologica. Corrispondentemente, se la Chiesa cristiana deve offrire una risposta positiva alla sfida di questa crisi, può essere soltanto attraverso la riaffermazione del pieno significato di questa relazione”[4].

 

 

Il divorzio dell’uomo dalla natura

 

Se la radice di questa alienazione della natura umana dall’ordine naturale è teologica, il suo tragico frutto è profondamente penetrato in tutti gli aspetti della società moderna – politico, economico, sociale, culturale e individuale. Ma è estremamente difficile non considerare anche attività positive in termini che restano separati, alienati e astratti. Con il termine “ambiente” intendiamo normalmente “il mondo naturale” o, per usare il linguaggio religioso, la “Creazione”. Ma se guardiamo criticamente alla parola “ambiente”, percepiremo in essa una certa qualità astratta. Essa separa la natura umana dalla natura non-umana, e trasforma la natura non-umana in un’astrazione – qualcosa che crediamo di poter manipolare e controllare per i nostri scopi.

Anche con le migliori intenzioni, abbiamo creato e sosteniamo una divisione tra il mondo naturale e noi stessi – una divisione che è l’autentica radice di tutti i problemi ambientali. Come scrive il poeta, saggista e agricoltore Wendell Berry: “L’astrazione, naturalmente, è sbagliata. Il male dell’economia industriale (capitalista o comunista) è l’astrattezza inerente alle sue procedure – la sua incapacità di distinguere un posto, una persona o una creatura da un’altra. La giusta scala nel lavoro rafforza l’affezione. Quando il lavoro si spinge oltre il limite dell’amore che si ha per il luogo in cui si lavora e per le creature con e tra le quali si lavora, allora ne deriva inevitabilmente la distruzione. Una adeguata cultura locale, tra le altre cose, mantiene il lavoro entro il limite dell’amore.

Il problema che abbiamo davanti è dunque estremamente difficile: come cominciare a ricostruire […] Cosa preserverà la nostra parte di mondo mentre lo usiamo? Non parliamo solo di un genere di conoscenza che implica l’affezione, ma anche di un genere di conoscenza che viene dalla o con l’affezione – conoscenza […] che non è disponibile per nessuno sotto forma di ‘informazione’”.

 

 

L’originaria visione del mondo cristiana

 

Uno studio delle vite e degli scritti dei grandi maestri spirituali del primo millennio della Chiesa cristiana – orientale e occidentale – mostrerà che una cosmologia sacra fu parte integrante della visione del mondo della Chiesa. La salvezza, o deificazione, come l’antica Chiesa e la Chiesa ortodossa di oggi chiamano il processo di riconciliazione con Dio, era in prospettiva tanto cosmica quanto personale. Essa includeva non soltanto gli esseri umani, ma anche ogni altra cosa nell’universo, attraverso la reciproca relazione del microcosmo umano con il macrocosmo dell’ordine creato.

L’auto-comprensione della Chiesa antica – la comune fede cristiana dei primi mille anni – mostra una complessa e sottile relazione tra la Chiesa e il cosmo. Poiché la cosmologia sacra della Chiesa primitiva – le cui tracce o vestigia possono ancora oggi essere trovate nella Chiesa ortodossa – mostrava non soltanto che la Chiesa era inserita nel cosmo, ma che il cosmo era inserito nella Chiesa.

San Massimo il Confessore descrive l’insegnamento del suo maestro spirituale (al quale si riferisce chiamandolo “il grande anziano”) sulla Chiesa: “A un secondo livello di contemplazione, egli [il grande anziano] parlava della Santa Chiesa di Dio come figura e immagine [ikon] dell’intero cosmo, composto di essenze visibili e invisibili, perché, come esso, contiene unità e diversità […] in questo modo, l’intero mondo degli esseri prodotto da Dio nella creazione è diviso in un mondo spirituale ricolmo di essenze intelligibili e incorporee e questo mondo sensibile e corporeo, dove si intrecciano ingegnosamente insieme molte forme e nature”.

Nel nuovo ordine inaugurato dall’Incarnazione di Cristo, la Chiesa è il nuovo cosmo. La Chiesa è il Corpo di Cristo, che è la nuova creazione. In quanto tale, la Chiesa è il destino del cosmo. La Chiesa è il cosmo che diventa se stesso, la sua vera essenza, il suo fine, così come Dio l’ha voluto. La missione della Chiesa è la missione di Cristo, che è riconciliazione, unificazione e glorificazione, non soltanto degli esseri umani, ma di ogni cosa nell’universo.

Ma come può questa conoscenza diventare una effettiva forza per la protezione della Creazione di Dio? Questa sfida è un modo di chiedere in che maniera la conoscenza di un’antica tradizione cosmicamente illuminata dà realmente ai credenti la forza di trasformare il nostro mondo. In breve, in che modo nella tradizione cristiana l’informazione diventa conoscenza, saggezza, vita trasfigurata? La risposta a questa sfida risiede nella natura e nel metodo della pratica spirituale cristiana. L’arte della cura cristiana della creazione è un aspetto della via spirituale cristiana.

 

 

Logos e creazione

 

La fondamentale intuizione cosmica della via spirituale cristiana è che la creazione è la manifestazione di un ordine che allo stesso tempo la trascende, la sostiene dall’interno e si manifesta attraverso di essa. Quest’ordine intrinseco, trascendente, immanente, è il Logos – il Figlio eterno di Dio. Nella teologia cristiana, il termine “Logos” sposa, tramite la rivelazione del Vangelo di San Giovanni e le Epistole di Paolo, il suo significato filosofico greco di un ordine razionale onnicomprensivo, che unisce natura, società, esseri umani e divinità in un “grande cosmo”[5] con il significato teologico cristiano di Cristo, Parola (Logos) di Dio nel quale, attraverso il quale e con il quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17, 28). È, di conseguenza, il supremo principio di regolazione che unisce tutti i livelli dell’essere, dalla sublimità del Divino alla più profonda densità del regno minerale.

Secondo i tre grandi maestri cristiani della visione cosmologica, Sant’Efrem il Siro (306-373), Dionigi l’Areopagita (500 circa) e Massimo il Confessore (580-662), la reciproca compenetrazione del cosmo e della Chiesa è fondata sulla primordiale compenetrazione di tutta la creazione in Dio.

 

 

Sant’Efrem il Siro

 

Sant’Efrem il Siro era un grande teologo e uno dei più grandi scrittori in siriaco, come dimostra la seguente citazione tratta da uno dei suoi inni:

 

 

“Come l’acqua circonda il pesce ed egli l’avverte,

Così tutta la natura percepisce Dio.

Egli è diffuso nell’aria,

E con il tuo respiro penetra in te.

Si mischia con la luce,

E penetra nel tuo sguardo quando vedi.

Si mischia con il tuo spirito

E ti esamina dall’interno così come sei.

Nella tua anima dimora […]”.

 

Efrem rappresenta qui Dio come l’acqua e tutte le creature come creature marine. Proprio come il mare, Dio contiene e trascende le sue creature. Egli non è soltanto al di sopra di tutte le cose, ma anche in e intorno a tutte le cose e le contiene. La separazione implicita nella trascendenza divina non cancella mai l’unità implicita nella immanenza divina.

 

 

San Dionigi l’Areopagita    

 

San Dionigi l’Areopagita visse nel tardo quinto secolo o all’inizio del sesto. Fu un grande filosofo neoplatonico cristiano, genio ascetico e speculativo. Dionigi completa il quadro o immagine del mondo della tradizionale cosmologia cristiana[6].

Il suo più importante contributo è indubbiamente il suo concetto di gerarchia nel cosmo. Dionigi è, per quanto ne sappiamo, il primo ad aver usato in letteratura la parola “gerarchia”. Sembra che abbia coniato il termine. Questo concetto profondamente cristiano-ortodosso è vitale per una concezione del cosmo che includa non soltanto gli esseri e le attività del mondo visibile, ma anche il mondo “invisibile”; esseri e attività dei mondi sottili, celestiali o angelici, non suscettibili di misurazione scientifica, ancora parte dell’ordine della natura creata.

“Una gerarchia è un ordine sacro, un grado di comprensione e un’attività che si accosta il più possibile al divino”[7]. Cosa intende Dionigi con l’espressione “accostarsi il più possibile al divino”? La spiegazione è nella sua frase successiva: “È un elevarsi all’imitazione di Dio in proporzione alla luce divinamente concessaci”.

Secondo Dionigi, dunque, l’ordine, la comprensione e l’attività del cosmo gerarchicamente ordinato è la santificante bellezza della divina immagine, rivelata contemporaneamente nell’essere, nel conoscere della e nell’attività della gerarchia. Una gerarchia, dunque, contrariamente alla convenzionale nozione di Chiesa, non è una “catena di comando”, o un diagramma organizzativo rappresentante un sistema d’autorità imposto dall’alto su una massa di individui che non fanno parte della struttura dell’autorità. Per Dionigi, il sacro concetto di gerarchia riguardava non soltanto il mondo degli angeli, ma il mondo della natura visibile. Per citare il suo trattato sulla Chiesa, il sacerdozio e i sacramenti, La gerarchia ecclesiastica: “Abbiamo una venerabile tradizione sacra la quale afferma che ogni gerarchia è l’espressione completa dei sacri elementi compresi in essa. È la somma perfetta di tutti i suoi sacri costituenti. La nostra gerarchia abbraccia dunque ognuna delle sue sacre componenti. Parlare di “gerarca” (prelato) significa riferirsi a una persona santa e ispirata, uno che comprende la conoscenza sacra, nel quale un’intera gerarchia è completamente perfezionata e conosciuta”[8].

In altri termini, lo stesso ordine creato – l’universo – nella concezione di Dionigi, è un mezzo dato da Dio di soddisfazione, salvezza e trasfigurazione per tutte le sue parti costituenti o membri. Questo per dire che gli esseri umani non possono essere “salvati” senza “salvare” la Creazione. In termini cristiano-ortodossi, senza la trasfigurazione del cosmo, non c’è “deificazione” degli esseri umani. Al riguardo, è fondamentale la cruciale intuizione che lo scopo dell’ordine creato è “di permettere alle creature di essere il più possibile simili a Dio e di andare d’accordo con Lui”. Nella comprensione della Chiesa antica, l’universo, lungi dall’essere un’illusione o una enorme, irrazionale forza materiale, è una rivelazione divina e un sacro mezzo di salvezza, edificazione e “concordia”.

 

 

San Massimo il Confessore

 

Millequattrocento anni fa, San Massimo il Confessore (580-662) portò il paradigma del “Logos” a nuove altezze, creando una insuperata sintesi che mostra che ogni cosa è rappresentativa di un semplice e supremo principio, il Principio del Logos, che è alla radice della struttura profonda del cosmo.

Per Massimo, la perenne integrità del paradigma del cosmo era lampante. Era la Chiesa come “vivente simbolo” cosmico; la dimora di tutti gli orizzonti e di tutte le prospettive. Il Logos è l’eterno che comprende, spiega e avvolge ogni cosa. Come dice San Paolo: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17, 28).

L’essenza di questa nozione, definita da Massimo diakosmesis, è questa: tutto ciò che sappiamo sull’umanità e sull’universo è reciproco. Questo significa che il modo in cui vediamo il mondo dipende dal modo in cui vediamo noi stessi; e, allo stesso modo, il modo in cui vediamo noi stessi  dipende dal modo in cui vediamo il mondo. Il modello che abbiamo dell’universo dipende dal modo in cui concepiamo noi stessi. Questo significa che viviamo in un universo partecipativo di luce incorporea e corporea dove l’osservatore e l’osservato sono intrecciati e interattivi.

Questo principio è racchiuso nel primo capitolo della Genesi, dove ci viene detto che Dio ha fatto l’umanità a Sua immagine e somiglianza, come microcosmo e mediatore. L’immagine è la perfezione di tutta la natura, e la nostra natura secondo il progetto di Dio; la somiglianza è la condizione attuale della nostra natura; la distanza tra l’immagine della natura – il modo in cui Dio l’ha fatta – e la somiglianza della natura – quello che noi ne abbiamo fatto – è la fonte di ogni disordine e disarmonia nel mondo.

Se c’è dissonanza in questa liturgia, essa deriva da un paradigma di pensiero o azione che conserva l’innaturale disordine e la distanza tra il modo in cui le cose realmente sono secondo la divina volontà creatrice; il fine cui sono destinate (teleologia) e ciò che abbiamo fatto di esse e il fine cui effettivamente le indirizziamo (economia/ecologia). Nel principio della diakosmesis non c’è niente che sia sostituito da uno sviluppo tecnologico del presente, compresi i computers e la “rivoluzione informatica” che richiederebbero un accanito sforzo per trovare o proclamare un nuovo paradigma.

 

 

San Massimo. La liturgizzazione del mondo

 

Passiamo ora a considerare le funzioni cosmologiche ed ecologiche della liturgia: l’atto di liturgizzazione del mondo. La parola liturgia proviene dal greco leit-ourgos, che significa letteralmente “opera del popolo”. La Chiesa bizantina del tempo di San Massimo riconosceva la liturgia come il topos, o luogo, del legame diretto tra il sapere umano e l’azione etica, con il benessere del cosmo e la trasparenza metafisica delle cose. L’intuizione che il cosmo è una grande liturgia è una rivelazione della dimensione cosmologica nella liturgia della Chiesa.

Questa theoria (contemplazione), frutto di naturale contemplazione (o phusiki nella terminologia di Massimiano[9]) porta San Massimo il Confessore a interpretare la Divina Liturgia della Chiesa bizantina come cosmologia sacra in azione. Possiamo chiaramente vedere questa concezione pienamente espressa nel commento di San Massimo sulla Divina Liturgia, la Mistagogia. Esso inizia con una sezione in cui egli presenta la sua immagine dell’universo come simbolo vivente in cui Dio, la Chiesa, il cosmo, la Sacra Scrittura e l’umanità sono presentati come icone – o simboli reciproci – l’uno dell’altro. Egli interpreta dunque le azioni del rito della sinassi (o santa comunione) nei termini non soltanto della vita di Cristo, ma più specificamente in relazione allo scopo della Creazione, e soprattutto, conformemente alla trasformazione etica, ascetica, contemplativa e mistica dell’anima umana.

La terza sezione è una contemplazione che unisce l’immagine umana, l’immagine del cosmo e l’immagine divina in e attraverso il Sacrificio Primordiale del Logos. Poiché l’immagine umana e l’immagine cosmica sono reciproche nel pensiero del maestro spirituale bizantino, l’interiore costituzione e condizione dell’anima umana o microcosmo avrà un effetto diretto sulla condizione esteriore e sull’ordine dell’universo o macrocosmo.

Chiaramente, per San Massimo la liturgia è la realizzazione dell’autentico essere nella conoscenza e nella virtù; essa conduce alla “conoscenza”, ovvero all’identità di conoscitore e conosciuto nell’esperienza della verità. Questo, in cambio, conduce all’“amore”, ovvero all’armonia nell’Uomo tra l’essere, il conoscere e il fare e alla pace (esichia), ovvero al compimento del destino dell’Uomo, nel quale la sua deificazione o salvezza e la trasfigurazione della natura sono la stessa esperienza.

Per San Massimo il Confessore, l’autentica liturgia è cosmologia sacra in azione. Il campo d’azione è la persona umana come microcosmo, reciprocamente unito al macrocosmo, all’universo nel suo insieme.

Anche il cosmo nel suo insieme non è visto come l’universo spiritualmente vuoto degli astrofisici e degli evoluzionisti, ma l’universo è compreso liturgicamente e reciprocamente come Uomo Cosmico. “Il mondo intero, fatto di cose visibili e invisibili, è Uomo, e viceversa […] l’Uomo, fatto di corpo e anima, è un mondo”.

L’azione della liturgia è duplice: prima di tutto, la ricostituzione dello spazio e del tempo ordinario nello spazio e nel tempo liturgico, in cui sono manifeste le valenze dell’eternità, come “l’infinito in un granello di sabbia e l’eternità in un’ora” di Blake. In secondo luogo, la trasfigurazione della natura umana con l’unione di mente, cuore, volontà, anima e corpo nella totalità che risulta in una persona le cui facoltà sono stimolate e orientate verso la verità, la bontà e la bellezza nell’io, nel prossimo e nella Terra. Ma questo può provenire solo da una persona capace di sentire genuinamente l’oltraggio della distruzione dell’ambiente in corso.

Illuminata e autorizzata dalla liturgia, dall’autentica opera dell’umanità nel mondo, una tale persona è di conseguenza capace anche di rispondere con efficacia etica e pratica per favorire il necessario sacrificio che porterà guarigione e armonia nella persona e nel cosmo.

La liturgia, nel suo significato autenticamente ortodosso, è la trasfigurazione della natura (non solo della natura umana, ma di tutta la natura) attraverso il vivente simbolismo dell’atto sacramentale, che unisce uomo e donna, questo mondo presente e il paradiso, terra e cielo, le dimensioni sensibili e intelligibili della creazione nella sua totalità e, in definitiva, la Creazione e l’Increato.

Nella concezione di San Massimo, che è la visione dell’antico cristianesimo tradizionale, la liturgia è l’opera divinamente ordinata del popolo in cui l’essenza della religione e della scienza è pienamente inserita nel cosmo perché il cosmo è pienamente inserito in Dio. Attraverso tale liturgia, l’universo come macrocosmo e il singolo essere umano come microcosmo sono trasformati, trasfigurati e deificati. Questa trasfigurazione e deificazione è il destino finale sia del cosmo che dell’uomo. La liturgia, come cosmologia sacra in azione, è capace di fare questo a causa della sua essenza: la comunicazione di e la comunione con il Sacrificio Archetipico, l’autentica fondazione dell’universo.

Il cuore della liturgia è il sacrificio, e lo scopo del sacrificio è quello di rendere santi. La liturgia era concepita come l’opera primaria del popolo e il campo di questa attività non era semplicemente l’orizzonte dell’anima individuale, ma il mondo intero. La Chiesa era inserita nel cosmo, il cosmo nella Chiesa. La missione della Chiesa, attraverso lo Spirito Santo, consisteva nel determinare la reciproca trasfigurazione del cosmo e di se stessa quale Nuova Creazione. La responsabilità del popolo sulla Terra era ed è di liturgizzare il mondo, e in questo modo di sanare le divisioni in un’ecologia di luce trasfigurante.

Chiaramente, la restaurazione della cosmologia sacra nel cuore dell’insegnamento cristiano è l’unico e più forte passo in un efficace sforzo cristiano per rovesciare la profanazione del cosmo nel prossimo millennio.

NOTE

 

 

[1] G. K. Chesterton, What’s Wrong With The World, cap. 5, 1910.

 

[2] Termine coniato da Philip Sherrard. Cfr. Human Image (Ipswich, Golgonooza Press 1992), cap. 7.

 

[3] Citazione tratta dal Messaggio del Primate della Chiesa Ortodossa circa la posizione della Chiesa sulla protezione dell’ambiente naturale, Phanar, 15 marzo 1992.

 

[4] Ibid., p. 243.

 

[5] Roy A. Rappaport, Ritual and Religion in the Making of Humanity, Cambridge University Press, Cambridge 1999, p. 349.

 

[6] Lo stesso Tommaso d’Aquino cita Dionigi circa 1700 volte nelle sue opere.

 

[7] Cel. Hier. 3, 1 (PG 3-164D).

 

[8] Eccles. Hier. 1, 3 (PG 3-373C).

 

[9] Phusiki, o “contemplazione naturale” è un termine tecnico nella tradizione ascetica greca ed indica più una rigorosa penetrazione noetica nei “simboli viventi” che sono tutte le forme naturali che il godimento delle bellezze della natura.