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Giulio Tremonti. Tanta paura, ma poca speranza

di Debora Billi - 28/04/2008

Fonte: crisis.blogosfere

 
Terzo in classifica assoluta, primo in classifica per la saggistica, il libro "La paura e la speranza" di Giulio Tremonti è un bello scossone.

L'ho appena finito, e ho appieno la sensazione di averne letti due, di libri. Il primo, che corrisponde alla prima parte, è una lucida analisi della catastrofe a cui stiamo andando incontro a testa bassa. Sembra impossibile leggere Tremonti che scrive cose tipo:

Come se l'universo fosse un supermercato, stiamo consumando il futuro dei nostri figli, con il rischio di farlo tanto in fretta da vedere noi stessi il risultato delle nostre azioni.

Parla di fine delle risorse, parla di disastri ambientali, parla di crolli finanziari imminenti. Parla di banche rapaci, di consumismo dissennato, di politica compiacente. Responsabile la globalizzazione, e quello che Tremonti chiama "mercatismo", lapalissiano sinonimo di liberismo che lo stesso autore sa di non potere mettere apertamente in discussione pena la gogna pubblica. Il dogma, se si discute, si deve far finta di discutere altro. Insomma, viene voglia di abbracciarlo piangendo e sussurrargli, "Grazie, grazie!": finalmente un politico italiano che osa l'indicibile.

Poi comincia la seconda parte. Dove Tremonti fa se stesso: l'uomo di genio che crede di poter discettare su ogni cosa sotto il sole anche se non è in grado. E Tremonti, se pur economista di pensiero laterale, il filosofo non lo sa fare. Dopo aver precipitato il lettore ignaro nell'incubo angosciante che noi qui conosciamo bene, glissa graziosamente sul fornire risposte da economista. O meglio: offre risposte talmente assurde da sospettare il ghost writer. Un fumoso "recupero di valori" (che quando mancherà il riscaldamento poco ci difenderà dal freddo), le radici giudaico-cristiane (idem con e senza patate), l'Europa baluardo di civiltà contro il pericolo cinese (o non c'era una catastrofe incombente? i cinesi ne saranno miracolosamente immuni?), la solita "famiglia" che non c'entra niente ma non guasta mai.

Volendo discettare di Dio e radici culturali come risposta alla crisi, avrebbe fatto meglio a leggersi cosa diceva il compianto Bakhtiari.(*)

Insomma l'impressione, volendo esser buoni, è che Tremonti abbia lanciato il sasso e poi opportunamente nascosto la mano. Volendo esser cattivi, è che la prima parte del libro se la sia fatta scrivere da Naomi Klein e la seconda da Giuliano Ferrara.



(*) http://www.aspoitalia.net/index.php?option=com_content&task=view&id=193&Itemid=38