Il post che segue è il primo di una serie che si prefigge semplicemente di condividere riflessioni sulla Decrescita Felice fatte da persone di ogni estrazione e credo religioso facenti parte del Movimento. La scelta di iniziare con il punto di vista Buddista è il nostro modo di attestare la massima vicinanza a chi è perseguitato per motivi religiosi nella sua terra ed ha visto calpestati i propri diritti ed ignorate le proprie istanze addirittura in occasione degli ultimi giochi olimpici. Leggete sottovoce il post perchè la comunità internazionale, compresi i nostri ministri ed i nostri parlamentari avevano detto che avrebbero parlato di diritti umani in Cina subito dopo i giochi, quindi è bene che i marinai della politica ed i giullari dell’informazione non vengano disturbati.
Francesco Maria Ermani

 

Già dalla fine degli anni ‘60, alcuni fisici, filosofi, biologi, economisti iniziarono a riflettere sugli effetti prodotti dagli enormi squilibri ambientali e sociali causati da una produzione industriale e da un consumo incontrollati.
Nel 1972 venne pubblicato per il Club di Roma il rapporto “I limiti dello sviluppo”, da parte del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Questo rapporto oltre a mettere in evidenza le problematiche legate all’inquinamento ambientale, prende atto del depauperamento delle risorse del pianeta, e soprattutto dà rilevanza internazionale alla questione dei limiti della crescita economica e degli effetti “indesiderati” che essa produce. Ebbe inizio in quegli anni una riflessione sui rapporti fra etica e ambiente. Molte delle teorie che nacquero dalla percezione dei segnali che venivano dal nostro pianeta e dalla sofferenza delle specie viventi, prendono spunto dalla filosofia buddista, i cui insegnamenti potevano essere utili per porre un rimedio al fosco scenario previsto.
Due principi cardine della visione del mondo del buddismo, l’origine dipendente o interrelazione tra tutte le cose e l’impermanenza o continua trasformazione, e lo scopo della pratica buddista: manifestare la saggezza del Buddha, che consente di percepire la realtà più profonda di ciò che si sta vivendo, e quindi agire di conseguenza, possono fornire una chiave di lettura e anche fornire gli strumenti per un agire diverso da quello che sembra irreversibilmente in crisi.
Il buddismo insegna a trasformare le crisi in opportunità di cambiamento, il veleno in medicina.
Come possiamo allora leggere in chiave buddista i nostri modi di vivere e quali suggerimenti possiamo recepire per provare a invertire la rotta?
Il buddismo parla di “retti mezzi di sussistenza”, si pone quindi il problema dell’origine, dell’uso e del fine del bene. Nello stesso tempo, si pone l’obiettivo della felicità degli esseri viventi «Che tutti gli esseri, quelli visibili e quelli che non possono ancora essere visti, quelli che sono nati e quelli che desiderano ancora nascere, possano tutti godere della felicità!».
Il buddismo ha una visione sistemica della vita, una visione per cui tra gli organismi si generano reti di relazioni intrinseche. “Una relazione intrinseca tra due oggetti A e B è tale per cui la relazione stessa rientra nella definizione o nella stessa costituzione fondamentale dell’uno e dell’altro, cosicché senza tale relazione A e B non sono più la stessa cosa (A. Naess, Ecosofia, red edizioni, 1994). Ogni cosa è causa e effetto, la realtà viene intesa come complessa, cioè come un tutto indecomponibile.
Una visione come quella attuale che prevede, auspica e promuove una crescita illimitata come una curva costantemente tesa verso l’alto, non rientra nell’ottica buddista, è solo un’assurda pretesa dell’homo economicus. L’uomo che ha come solo e unico scopo quello della produzione e scambio di merci.
Il valutare il benessere di una popolazione dai soli indicatori della crescita economica, usare il Pil come unica misura dello sviluppo di una nazione (come comunemente viene fatto da media, politici, ecc.), è estraneo al buddismo. Il benessere è disporre della giusta quantità di mezzi di sussistenza, ma è anche altro. Non è quindi un caso che l’unica nazione al mondo che ufficialmente ha introdotto la felicità, come elemento per valutare il suo sviluppo, sia la monarchia buddista del Buhtan. In questo piccolo stato viene misurato il FIL (Felicità Interna Lorda), un indicatore che pone la felicità della persona al centro dello sviluppo, una persona che quindi non è identificata esclusivamente col consumatore o produttore di merci, ma persona umana che lega il proprio benessere a valori spirituali, ambientali, culturali, affettivi, ecc.
Il benessere inoltre non deve essere patrimonio di alcuni a scapito di altri e non solo per perseguire un ideale di giustizia, ma perché la felicità individuale è legata a quella dell’altro e a quella dell’ambiente circostante. Questo perché tra i cardini del buddismo c’è il principio di interdipendenza tra tutti gli esseri e tutti i fenomeni, che è sostanzialmente sinonimo di coesistenza creativa. Tutta la vita è quindi interconnessa, si sostiene mutuamente, in una relazione definita di “origine dipendente”.
Il buddismo ricorda che non siamo nati per accumulare beni illimitatamente, né per fare guerre, inquinare, ridurre le possibilità per le generazioni future e danneggiare gravemente la nostra vita. Il desiderio di felicità è al centro della nostra interconnessione. Siamo su questa terra per agire in modo illuminato, attraverso lo stato mentale di saggia consapevolezza potenzialmente presente in tutti gli esseri, che ha bisogno di essere “risvegliato”.
Gli insegnamenti buddisti danno grande importanza al “qui e ora”, e all’azione dei singoli individui.
La decrescita felice sembra avere tutti i presupposti per un’azione creativa in ottica buddista, e per buddista si può anche solamente intendere saggezza insita nel profondo di ogni essere umano, che aspetta solo di essere scoperta e messa in azione.
A questo proposito si può concludere con l’appello di Ernst Friedrich Schumacher, influente filosofo ed economista “In tutto il mondo la gente si domanda: <<Che cosa posso veramente fare?”. La risposta è tanto semplice quanto sconcertante: noi possiamo, ognuno di noi può, lavorare per mettere ordine nella nostra casa più interna. La guida di cui abbiamo bisogno per questo lavoro non può essere reperita nella scienza o nella tecnologia, il cui valore dipende in gran parte dai fini che servono; ma può essere ancora trovata nella saggezza tradizionale dell’umanità>>.

F. Capra, La scienza della vita, Rizzoli, 2002
D.H. Meadows et al., I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972
E. F. Schumacher Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa, Oscar Mondadori, 1973
A. Vallega, Esistenza, società, ecosistema, Mursia, 1990
http://www.ecceterra.org/
http://www.wikipedia.org
Buddismo e società, Num. 94, anno 2002, Esperia