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Il Buddismo, ovvero l'autocoscienza del Sè come progetto di vita

di Giancarlo Dubolino - 02/02/2009

 

  

- Sebbene il buddismo mostri spesso gli aspetti tipici di ogni religione formale, come rituali e superstizioni, differisce dalle altre in quanto si propone soprattutto come cura e terapia rigorosa volta a debellare il “duhkha”, termine sanscritto che indica il dolore, la frustrazione, la sofferenza.

- Il Buddha (l’Illuminato) non si presenta né come Dio né come il suo emissario sulla terra, bensì come colui che, dopo essere riuscito a liberarsi dei patimenti dell’uomo comune, ha condiviso con altri le proprie intuizioni, spinto dalla compassione. La sua dottrina non dà valore alla preghiera né alla fede in una divinità; non parla di creazione, peccato originale o giudizio finale.

- Egli descrive invece la sofferenza come creata dall’uomo e in quanto tale eliminabile dall’uomo stesso. A tale fine prende in considerazione gli esseri umani e le loro vite quotidiane fatte di desiderio, legami, orgoglio, gelosia, odio. Analizza i meccanismi di tali emozioni, sostenendo che hanno origine dalla bramosia e dall’attaccamento a un “io” che in realtà è privo di una vera esistenza. Egli sostiene dunque che al di là delle apparenze, non esiste alcuna sostanza permanente: una verità tanto valida per la percezione del proprio io interiore, o ego, quanto per quella del mondo esterno.

- Con la sua impostazione razionale, il buddismo sfugge ai conflitti tra religione e scienza così tipici della filosofia occidentale moderna, anche perché egli intende “solo” offrire una cura per il dolore umano senza prevedere riforme su larga scala dello Stato o della società. Pertanto, più che una figura religiosa, il Buddha fu uno psicologo ed un acuto pensatore. Infatti egli non offre ai credenti un nuovo Dio esclusivo, né una teoria della creazione con la quale sostituire la vecchia fede.

- Egli individua la vera causa della sofferenza nella errata convinzione che l’io ed il mondo fenomenico possiedano un solidità intrinseca. La consapevolezza, resa più salda dalla meditazione, può invece rendere cosciente ogni uomo della vera natura dell’io, le cui dinamiche si fondano sui suoi componenti principali, sostanzialmente negativi: il desiderio, la delusione, la paura, il rancore.

- Molti scienziati, artisti, pensatori occidentali si sono espressi in maniera lusinghiera verso il buddismo, vedendo quanto fosse distante dal materialismo eccessivo delle loro società: per esempio Schopenhauer, Wagner, Thoreau, Hermann Hesse, Rainer Maria Rilke, Einstein,  Claude Levi-Staruss, ecc. Altri invece vedevano nel suo pensiero una minaccia a certi valori tipici dell’Occidente, quali l’individualismo e la razionalità, senza però considerare se questi sono veramente dei “valori” o comunque se hanno dei limiti.

- Il buddismo si afferma in India a partire dal 5^ secolo A.C. quale forma di reazione alla cultura  religiosa precedente che, sulla base degli antichi testi, i Veda, tende a configurare una struttura sociale tendenzialmente immobile e priva di respiro. Nella loro stesura più antica essi risalgono al 1500 a.C., consistono in una raccolta di inni, sortilegi, formule liturgiche, disquisizioni teologiche, e propongono un approccio alla vita di tipo metafisico-speculativo partendo dall’assioma che la conoscenza non è frutto di una rivelazione, come nell’Islam o nel Cristianesimo, ma esiste da sempre. Tale atteggiamento, passivo nei confronti del mondo circostante, presenta comunque elaborazioni concettuali non prive di fascino, come ad esempio il seguente

“Inno della creazione”     

Chi lo sa veramente? Chi può permettersi di dirlo?

Da che cosa nacque? Da dove originò questa creazione?

Anche gli Dei vennero dopo la sua apparizione.

Chi dunque può dire da dove venne in essere?      

Da che cosa la creazione sia sorta,

se sia tenuta salda oppure no,

Colui che la contempla nell’alto dei cieli,

Egli sicuramente lo sa – o forse non lo sa?

 - Cronologicamente successivi ai Veda, gli Upanishad (serie di trattati metafisici), tentano di oltrepassare il mondo visibile segnando così l’inizio della filosofia indiana. Ecco allora il dialogo tra padre e figlio contenuto nell’antica Chandogya Upanishad:

1. “Portami un frutto di quel nayagrodha” disse il padre. “Eccolo Signore”, rispose il figlio. “Taglialo”, ordinò il padre. “Eccolo tagliato”, rispose il figlio. “Che ci vedi dentro?” chiese il padre. “Tanti piccoli grani”, rispose il figlio. “Ebbene, spezza uno di quei grani”, ordinò il padre. “Eccone uno spezzato”, o Signore, rispose il figlio. “Che ci vedi dentro?” “Nulla o Signore”.

2. Il padre allora gli disse: “Questa sottile essenza che sfugge alla tua percezione, è grazie a questa sottile essenza che questo albero, per quanto grande esso è, si innalza in cielo.

3. Credimi, mio caro. Questa sottile essenza anima tutte le cose; essa è l’unica realtà, essa è l’atman. (l’anima) Tu stesso, o Svetaketu, lo sei”.

Nelle Upanishad viene poi sviluppato il concetto di trasmigrazione delle anime, e da qui l’idea del karma (letteralmente, azione), ovvero: nell’uomo, quale è la sua volontà tale è la sua azione; quale è l’azione che egli compie, tale è la sorte cui va incontro. Ma il risultato dell’agire umano non si manifesta solo nel corso della vita presente, bensì anche in quella successiva e nelle altre che la seguiranno. La legge del karma, comportando dei precisi obblighi nell’ambito della società, rappresenta forse la prima spiegazione accettabile della sofferenza. Essa tuttavia precludeva agli esseri umani qualsiasi possibilità di fuga e li vincolava indissolubilmente al suo ciclo infinito di azioni  e conseguenze nell’ambito della società reale.

- Ecco dunque che qualcuno si ribella, rifiutando tale sorta di destino assieme al relativo ordine sociale prestabilito (dai bramini, custodi della religione). Tale posizione fu assunta in particolare dagli sramana, vagabondi alla ricerca della verità spirituale. Il Buddha fu per l’appunto il più grande degli sramana, personaggi destinati ad innescare una sorta di rivoluzione nell’India del nord, anche perchè minava alla base il potere consolidato, anche politico, che la casta religiosa conservava gelosamente per perpetuare lo status quo.

- E’ interessante notare ciò che nel 1881 scrive a tale proposito Nietzsche. “Quando finalmente anche tutti gli usi e costumi, sui quali poggia la potenza degli dei, dei sacerdoti e dei redentori, saranno distrutti, quando dunque la morale nel suo antico significato sarà morta: allora verrà…sì, cosa verrà allora?” Così egli metteva in luce come solo ora l’Europa, pur con tutta la sua lunga storia, stesse appena arrivando a percepire la tragica realtà della condizione umana, già acquisita in India ben prima del Buddha. Ovvero, gli uomini non vanno in cerca del significato ultimo delle cose, ma semplicemente si interrogano sui meccanismi di funzionamento della realtà per sfruttarla a proprio vantaggio. Ecco dunque, a suo parere, la fragile origine umana della morale cristiana, dove gli uomini stessi con il loro agire sconsiderato avevano resa superflua la presenza di Dio. Ma per Nietsche molti “nuovi Dei sono ancora possibili” (il vitello d’oro?) e vedeva nelle illusioni laiche del 19^ secolo molti miraggi pronti a sostituire gli dei spodestati e i valori religiosi esauriti nonché a sfruttare la vulnerabilità spirituale degli europei.

Incredibile poi ciò che profeticamente scrisse sul futuro del mondo: “Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli…Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con un tormento e una tensione che cresce di decennio in decennio, come se tendesse a una catastrofe….come una corrente che vuol giungere alla fine, che non riflette più.” Egli seppe prevedere con estrema lungimiranza il prezzo del successo occidentale: la distruzione delle vecchie certezze morali e religiose, la nascita della società di massa insieme a nuove forme di controllo e di dominio imposte dalla Stato e dalla tecnologia, e l’avvento di “un’epoca di enormi guerre, rivoluzioni, esplosioni”.

Definì poi la fine della religione come la più terribile delle notizie, prevedendo che piuttosto di fronteggiare l’insopportabile solitudine del proprio stato gli uomini sarebbero andati in cerca del loro dio distrutto, e per amor suo avrebbero adorato i serpenti annidati tra le rovine.

Definì l’accezione occidentale del progresso un’idea falsa, e dimostrò come la scienza, esulando dai

 rincipi etici, avrebbe potuto essere impiegata per gli scopi più devastanti. Intuizioni che oggi appaiono geniali, anche se poi le sue risposte ai problemi posti risultano alquanto opinabili.

- Il fico indiano, o pipal, è un albero maestoso e aggraziato, con le foglie a forma di cuore che fremono in continuazione anche quando non vi è un refolo di vento, producendo un sommesso mormorio carezzevole. Si dice che il Buddha abbia raggiunto l’illuminazione seduto sotto uno di questi alberi in una primaverile notte di plenilunio;: qui scoperse le “quattro nobili verità” sulla condizione umana:  la sofferenza – la sua origine – la possibilità di guarirla – il rimedio atto allo scopo. Egli non rivendicò mai una origine divina alle proprie teorie, che erano percepibili da chiunque fosse pronto a seguire il suo esempio, ovvero attraverso la meditazione, proposta come

strumento di conoscenza ed insieme di salvezza. A differenza che nell’induismo tuttavia, nel buddismo la conoscenza di sé non viene presupposta in anticipo come meta da raggiungere tramite la meditazione. E’ invece una tecnica meditativa che mira a combinare la concentrazione con la consapevolezza (o presenza mentale) e l’autocontrollo: la mente quindi determina il modo in cui interpretiamo il mondo, ovvero il modo in cui lo trasformiamo nel “nostro” mondo.

Nelle teorie del Buddha possedere il controllo della mente significa mutare in misura radicale il proprio rapporto con il mondo, poiché  si presuppone che il mondo e la realtà non possiedano caratteristiche intrinseche o una natura assoluta: o meglio non ne possiedono di percepibili al di fuori dei processi mentali umani.

“Il mondo è guidato dalla mente…La mente oscilla come una fiamma, si impenna come un’onda, brucia come un incendio nella foresta, trascina via ogni cosa come una piena immane….Ma l’uomo non cade preda del potere della mente, le impone invece il proprio controllo. E se controlla la mente, controlla tutti i fenomeni”.

- Gli psicologi tendono tutt’ora a concentrarsi sulle manifestazioni comportamentali esteriori per studiare i meccanismi della personalità. Il Buddha invece partì dall’ipotesi, oggi condivisa da molti scienziati, secondo la quale solo la mente è in grado di conoscere ed analizzare se stessa e può osservare gli andirivieni e la natura dei pensieri che la attraversano. Di conseguenza il primo requisito della contemplazione è una mente immobile, in stato di quiete. Piano piano, grazie ad una concentrazione via via più intensa, la mente si placa ed i pensieri cessano del tutto..   

- L’analisi dei processi mentali permette anche di comprendere la natura del sé. Gli esseri umani hanno la sensazione di possedere un nocciolo invariabile, il nucleo che li caratterizza come persone sino alla morte, e da tale intuizione di un “io” intrinseco hanno la percezione di un ego a sé stante e la tendenza a compiacerlo e a proteggerlo: da qui deriva in pratica ogni attività umana.

- Considerandosi autonomo, l’ego trasforma il mondo e gli altri in strumenti per la propria gratificazione, dando vita ai desideri, all’orgoglio, alle avversioni, all’ira ed agli altri sentimenti. I desideri, scontrandosi con un ambiente esterno in continuo mutamento, conducono solo a nuovi desideri e nuove insoddisfazioni per cui lo sforzo di proteggere e gratificare se stessi è perennemente vanificato e riattivato in un ciclo senza fine.

- Lo stesso processo illusorio che induce gli uomini a considerarsi dotati di un io stabile ed indipendente poteva far loro credere nella realtà e durevolezza di organismi effimeri e inconsistenti quali lo Stato e la società, persuadendoli a subordinarsi alle loro regole. 

- La meditazione rivela dunque la natura condizionata ed insoddisfacente del sé, fornendo i presupposti teorici a sostegno della convinzione che la realtà fenomenica sia costituita da processi in divenire e non da essenze fisse. Essa è soprattutto lo strumento indispensabile per raggiungere il “nirvana”, cioè la piena comprensione - all’interno del proprio essere - della qualità insostanziale dell’io, e la liberazione dai suoi impulsi emotivi fondamentali: avidità, odio, illusioni.

- Il Buddha aveva solo trentacinque anni quando iniziò il suo percorso spirituale susseguente all’Illuminazione, cui peraltro giunse dopo aver conosciuto la vita sociale, l’amore eterosessuale, il potere politico, i piaceri della vita e le mortificazioni degli eremiti; in sostanza quando ritenne di

 aver conquistato quella che riteneva la vera saggezza. Egli dunque dichiarò che avrebbe perseguito ed insegnato il Sentiero di Mezzo, intendendo che vi sono due estremi cui non bisogna indulgere. L’uno è dedicarsi solo ai piaceri sensuali, l’altro è il dedicarsi interamente alla mortificazione di se stessi, essendo entrambi ignobili e vani. Passò poi ad esporre le quattro nobili verità:

- La vita è “duhkha”, ovvero sofferenza.

- L’origine della sofferenza risale al “trishna”, la sete o brama intesi non come il giusto desiderio per un giusto fine ma bensì come avidità passionale che ci lega al mondo fenomenico impermanente in quanto ha occhi solo per il successo, il potere, la ricchezza, l’amore sessuale.

- Il duhkha può essere curato.

- Vi è un itinerario che a partire da un comportamento morale irreprensibile porta alla meditazione ed alla saggezza e culmina nella liberazione dalla sofferenza; le sue tappe sono

1. Retta visione. Azioni parole e pensieri devono scaturire dalla consapevolezza della vera natura delle cose.

2. Retta intenzione. Implica lo sforzo di liberarsi dall’egoismo, dalla schiavitù dei piaceri sensoriali per agire con compassione e benevolenza.

3 Retta parola. Comporta la rigorosa astensione dai discorsi falsi e offensivi e dalle vane chiacchiere.

4. Retta azione. Proibisce la violenza, il furto ed una condotta riprovevole in ambito sessuale.

5. Retto modo di vivere. Impone di non lavorare in nessun campo che costringa a violare le regole stabilite dai principi di retta azione e retta parola.

6. Retto sforzo. Prescrive una costante vigilanza al fine di difendersi dalle passioni malsane, quali ira, avidità e malvagità.

7. Retta presenza mentale. E’ la continua consapevolezza in merito al corpo, alle sensazioni ed ai pensieri.

8. Retta concentrazione. Riguarda la capacità di focalizzare la mente su un singolo oggetto e costituisce il primo stadio della meditazione.    

- In sostanza, la percezione, la sensazione e la coscienza fanno parte di un’unica entità dinamica, che gli individui possono chiamare “io” per comodità ma che non è costante e durevole. Per questo il duhkha (il dolore, l’impermanenza, l’infelicità) è insito nella natura stessa dell’esistenza umana. Pertanto anche la felicità, fintanto che nasce da condizioni esterne al soggetto, condizioni in perpetuo cambiamento, non può essere posseduta in maniera completa e duratura  

- Il nirvana, quale fine ultimo di una corretta meditazione, non è né la mistica unione con Dio né l’annullarsi dell’individuo, ma la fine della bramosia e dell’ignoranza da cui ha origine la sofferenza. 

- Il Buddha non si occupò delle questione che invece appare centrale nel cristianesimo, ovvero di come giustificare la sofferenza in un mondo creato e governato da un Dio fatto di amore eterno. Egli inoltre escluse la possibilità di un potente Dio creatore ma senza darne una ragione, e non si soffermò molto sui grandi quesiti riguardanti l’origine e la finalità dell’universo, preferendo esortare gli individui ad affrontare quanto li riguardava direttamente.

- La conquista del Buddha, pur con i suoi limiti ma in notevole analogia con quella di un altro grande pensatore, Socrate, consiste nell’aver affrancato la saggezza da forme di conoscenza e teorie prefissate e spesso esoteriche, per trasformarla in un progetto morale e spirituale di grande rilievo e alla portata di ciascun individuo. Anche per Socrate, essere buoni e saggi significava saper scegliere in campo morale, saper optare per il bene, e sapere come vivere; anche per questi dunque, la conoscenza non riguardava i concetti, ma la virtù.

- Occorre sottolineare inoltre che l’obiettivo di raggiungere la consapevolezza della sofferenza presente viene rivolto ad ogni uomo sì per sé stesso, ma in quanto facente parte dell’intera umanità. E dunque la saggezza che ne deriva non può essere una conquista confinata all’individuo essendo       imprescindibile da un sentimento di compassione universale o “karuna”. Diversamente dalla visionedi altri, la compassione del Buddha non era però la conseguenza di un divario di classe o di casta, ma nasceva dalla doverosa sollecitudine nei confronti della mente e del corpo di ciascun essere umano sofferente. Una volta libere dalla convinzione illusoria della propria identità, le persone cessano di lasciarsi ossessionare dai rimpianti del passato e dai progetti per il futuro. Uscendo dal limbo di ciò che dovrebbe essere, ma non è ancora, possono vivere in pieno il presente.  

- Scavando nelle pieghe del suo pensiero, si vede che la dottrina del Buddha si ripropone un chiaro scopo terapeutico, più che a smantellare o in alternativa a costruire un sistema di pensiero. In effetti egli aveva più volte esplicitato la sua sfiducia nelle speculazioni astratte, sostenendo che esistono problemi capaci di eludere qualsiasi rete concettuale e linguistica, vale a dire quesiti senza soluzione. Così, egli non rispose mai all’interrogativo se ci fosse o meno un “atman”, ovvero un anima, mentre riguardo al “sé” egli lo descrisse come un processo più che come una sostanza; l’individuo a lui appare soltanto come un meccanismo fisiopsicologico all’interno del quale si combinano energie fisiche e mentali secondo modalità continuamente mutevoli.

- Così, neppure la consapevolezza è legata a un sé o anima. La coscienza, infatti, è innanzi tutto una risposta o una reazione a uno stimolo: infatti, è per via dell’occhio e delle forme visibili che nasce la

coscienza visiva; è grazie alle orecchie e ai suoni che nasce la coscienza uditiva, e così via.

Per dirla con i versi di una poesia Zen: “Per il suo amante una donna bellissima è una delizia; per un asceta è una distrazione; per un lupo è un buon pasto.”     

Pertanto, scomposta nei suoi aggregati, secondo il Buddha la consapevolezza rivela i profondi condizionamenti ai quali è sottoposta, risultando perciò effimera e relativa, e ben lontana dall’entità sostanziale con cui crediamo di dover identificare il sé di ogni individuo.

- Gli sforzi iniziali del Buddha per gestire il dissenso e riconoscere la pluralità delle idee e della prassi all’interno del consorzio umano riuscirono a salvare il buddismo successivo dalle lotte settarie che afflissero la storia del cristianesimo e dell’Islam. E l’enfasi con cui propugnò la pratica a scapito della teoria rese la dottrina relativamente immune dai vizi del dogma e del fondamentalismo.

- Coloro che avevano scelto di percorrere la strada spirituale del Buddha potevano divenire monaci in quanto si erano liberati dai vizi che tenevano prigioniera la massa comune; per assolvere i propri obblighi nei confronti della società da cui ricevevano i mezzi di sussistenza (elemosina), si impegnavano a contrastare il male e incoraggiare il bene, ed a fornire ogni aiuto spirituale laddove fosse necessario. Il loro maggior discernimento li coinvolgeva pertanto più a fondo nella vita sociale anziché innalzarli al di sopra di essa nel ruolo di leader o di eremiti: ecco perché i monasteri buddisti sono inseriti nei centri abitati.   

- Invece nella vita inconsapevole dell’uomo comune l’Illuminato non introdusse l’obiettivo ambizioso del nirvana, ma il compito di coltivare la conoscenza di sé grazie ad una continua vigilanza spirituale, praticando altresì le doti essenziali di generosità e compassione, che per i monaci rimangono ovviamente già acquisite a priori.

- Tuttavia per entrambi, il monaco e l’uomo comune, la vita sociale costituisce un obbligo imprescindibile poiché la liberazione ultima consiste nel raggiungere uno stadio di consapevolezza “non egoistica” della natura condizionata ed interdipendente di tutte le creature.

In tale quadro il re è un essere umano non diverso dagli altri, ma per il suo importante ruolo è più gravato di doveri che investito di diritti; in particolare deve essere personalmente retto, ma deve anche condurre l’amministrazione dello Stato in accordo con il “dharma”, il principio buddista della compassione. In particolare egli deve tenere conto che qualsiasi genere di aggressione, giustificata a no, conduce comunque a nuove violenze.

- Da rilevare che la dottrina del Buddha, tra le altre cose, cambiò drasticamente la società e la cultura dei tibetani, un popolo che fino al settimo/ottavo secolo era famigerato per la politica espansionistica dei suoi spietati guerrieri.

 

- L’attualità del pensiero buddista risalta bene se pensiamo al clima morale che contraddistingue la nostra epoca, ove il moltiplicarsi dei bisogni umani viene considerato un bene (..per chi?), la felicità personale costituisce lo scopo più elevato, e l’attività fine a se stessa diventa una sorta di imperativo tanto da legittimare nel corso degli anni la conquista e la sottomissione di vari popoli stranieri in diverse zone del mondo. Come disse Paul Valery “Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi il lavoro meticoloso, l’istruzione più solida, la disciplina e l’applicazione più serie, adattate a progetti spaventosi. Tanti orrori non sarebbero stati possibili senza il supporto di tante virtù. Sicuramente è stata necessaria una grande competenza scientifica per uccidere tanti uomini, dissipare tanti beni, e annientare tante città in così poco tempo; ma sono state necessarie anche delle qualità morali. Sapere e Dovere, siete dunque sospetti?”  

- In sostanza, partiti alla conquista del globo nel tentativo di rimodellarlo in nome della civiltà, del progresso, della storia, del socialismo, del libero mercato, dei principi laici, dello sviluppo e della scienza…quali significati noi occidentali aggiunto al concetto di umanità, quale il valore aggiunto insito nel tentativo di plasmare popoli diversi a nostra immagine e somiglianza ? Quale idea spirituale dell’uomo abbiamo elaborato per giustificare il tutto: solo una storia di  invasioni e violenze nella quale vedevamo la nostra grandezza, e che presentavamo agli altri come la guida alla felicità. Da qui, ecco allora le nuove forme peculiari che può assumere la vita spirituale in America: i meccanismi per cui gli eccessi e le delusioni di una società materialista (famiglie divise, droga, un sistema di leggi insensibile, un’economia iniqua e fondata sul cinismo) tendono ad orientare molti verso pseudo-religioni di tipo apocalittico, spesso varianti fondamentaliste ed a volte esoteriche del cristianesimo.

- Come insegna (anche!) il buddismo, la lotta per i cambiamenti politici e sociali non può andare disgiunta dallo sforzo per una trasformazione interiore. Non serve a molto adoperarsi per migliorare la società se la mente dei singoli rimane ottenebrata dall’avidità, dalla rabbia e dalle illusioni.

Così scriveva Kerouac negli anni cinquanta:

 

Sii tu tuo lume

Tu tua guida

                        Così parlò Tathagata

                                    Mettendo in guardia dalle radio

                                                Che sarebbero venute un giorno

                                                            E avrebbero costretto la gente

                                                                        Ad ascoltare automatiche parole altrui.

 

- Gandhi, che non si dichiarava buddista, in realtà ne osservava appieno i principi pur conscio che pochi lo avrebbero seguito; così, spesso nelle sue peregrinazioni cantava una intensa canzone di Tagore:

 

Cammina da solo.

Se nessuno risponde alla tua chiamata, cammina da solo;

se tutti tacciono e guardano dall’altra parte

in preda alla paura, tu, o sfortunato,

apri il tuo cuore e leva la tua voce solitaria.

 

- Ma il Buddha non aveva concepito nulla di paragonabile ai drastici sovvertimenti sociali su larga scala perorati da quasi tutte le ideologie moderne, di sinistra o di destra che siano. Quale dunque l’attualità del suo pensiero se riferito ad una società così diversa da quella in cui lui era vissuto? In che modo la sua saggezza può essere di aiuto all’uomo di oggi ?

  

                                                                        6/7

- Il mondo attuale è popolato da uomini spesso così infatuati dalla proprie idee (totalitarismo, liberalismo, fondamentalismo, imperialismo, terrorismo ecc.) da non aver nemmeno la lucidità per analizzare le ipotesi su cui esse si basano. Così le varie ideologie (democrazia, libertà, virtù islamica ecc.)  danno loro la certezza morale necessaria per giustificare la violenza in funzione di un mondo migliore. Allora si accetta per scontato che qualcuno debba morire perché altri possano vivere liberi e felici, innescando così tragicamente il ritorno ai rituali cruenti delle società tribali, ripristinati crudelmente e sistematicamente su scala spaventosa.

- Ecco la risposta: la mente (normalmente dominata dal desiderio, dall’odio, e dalle illusioni) è anche il luogo o meglio è l’unico luogo dove gli uomini, se vogliono, possono assumere il pieno controllo della propria vita. Quanto a prima vista appare sotto le sembianze della necessità, perde di consistenza nella autoconsapevolezza mentale, permettendo così all’uomo di acquisire la vera libertà. Una libertà che però risiede solo nell’attimo presente: il presente concreto, il qui ed ora, di cui il Buddha sosteneva l’importanza cruciale rispetto ad un passato astratto ed a un futuro illusorio.  

Il sistema di pensiero elaborato dal Budda appare dunque fondato su solide basi razionali, difficilmente attaccabili. Le idee portanti sopra evidenziate hanno poi un evidente fascino, in particolare laddove indicano la strada affinché ogni uomo possa rendersi veramente costruttore responsabile della propria vita. Il limite, ovviamente grave per i credenti, è dove emerge la mancanza di una fede, e quindi di una speranza che la religione cattolica lega all’amore che promana dal Dio-Padre. Ma qui entriamo nell’intimo segreto dove ognuno farà le sue scelte.