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Ritornando all'Iran

di Francesco Petrone - 30/06/2025

Ritornando all'Iran

Fonte: Francesco Petrone

Un determinato martellamento mediatico ha il solo scopo di convincere un’opinione pubblica occidentale ancora distratta e con forti pregiudizi, che la Repubblica Islamica, nata da una rivoluzione popolare che depose la monarchia, sia uno Stato di tipo reazionario e oscurantista, al contrario del regime dello Scià che ci viene invece fatto passare per un regime modernizzatore e illuminato. La storia ci ha insegnato che è vero esattamente il contrario. Il regime imposto dai servizi segreti britannici e dalla CIA, per loro stessa ammissione, dopo un colpo di Stato a Teheran che depose il governo regolarmente eletto di Mossadeq, era un regime dispotico e poliziesco. La modernità era solo apparente e determinanti costumi che volevano imitare esteriormente l’Occidente, rendevano la società maggiormente simile a quella del Vietnam del sud al tempo in cui Saigon si era trasformata nel bordello del sud-est asiatico. Nell’iran dello Scià esisteva un tasso di analfabetismo quasi assoluto, specialmente nelle campagne, esisteva anche una miseria diffusa, una grave crisi economica, lo sfruttamento delle risorse del Paese era ad esclusivo appannaggio del consorzio delle compagnie petrolifere inglesi e statunitensi che gestivano le estrazioni petrolifere. Le spese dello Stato erano rivolte prevalentemente agli armamenti, utili a mantenere l’egemonia militare di una importante pedina degli USA nello scacchiere del Medio Oriente. Era il classico Stato di polizia che aveva lo scopo di mantenere un ordine formale e soprattutto utile a reprimere il dissenso anche con arresti immotivati. Con la rivoluzione invece è accaduto un fenomeno del tutto originale. Essendo stata la rivoluzione a base popolare, chi l’ha condotta ha intercettato un sentimento profondo delle masse iraniane in cui la religiosità si è trasformata in idea forza che ha reagito ad una occidentalizzazione dal sapore neocoloniale. Non solo, ma essendo, all’epoca, il clero una delle classi più colte, se non la più colta e organizzata, è stato facile per lei prendere il controllo del cambiamento in modo del tutto analogo al ruolo assunto dalla borghesia al tempo della rivoluzione francese. Possiamo ben dire che ha assunto il ruolo della élite rivoluzionaria, se vogliamo usare termini di Vilfredo Pareto e dello stesso leninismo. Addirittura, nella prima fase rivoluzionaria, possiamo affermare che la classe sacerdotale si era trovata insieme alla borghesia della capitale rappresentata dal mondo dei commercianti dei bazar. Dal rivolgimento è nato un regime paradossalmente di tipo quasi giacobino se il paragone ci è consentito. Innanzitutto è stata nazionalizzata la produzione petrolifera come dal programma che era stato di Mossadeq. Nazionalizzazioni delle risorse strategiche analogamente a molti i regimi che si sono affacciati alla ribalta nel secondo dopoguerra, le cosiddette terze vie, come nell’Argentina peronista, nel Cile di Allende, nell’Egitto di Nasser, nella Libia di Gheddafi, nella Siria e dell'Iraq, ambedue del partito socialista Ba’th, nel Venezuela di Chavez, nell’attuale Vietnam, a partire dalla riforma 1986, nella Repubblica popolare Cinese a partire dalla grande riforma di Deng Xiaoping. Anche in Europa troviamo economie miste, come è il caso della Russia di Putin, o anche nella prima repubblica italiana, con l’IRI ereditato dalle riforme effettuate in Italia in seguito alla crisi del 29. Le teorie economiche di Keynes hanno favorito l’economia mista anche in molti Stati europei, come anche nella Svezia di Olaf Palme. Possiamo affermare inoltre che gli USA sono potuti uscire dalla profonda crisi del ‘29, proprio grazie all’introduzione di elementi di economia mista introdotti dal presidente democratico  Franklin Delano Roosevelt con un insieme di programmi e riforme sociali, anche se tardive, denominato new deal, effettuate fra il 1933 e il 1939 per uscire dalla grande depressione e rilanciare l’economia con un forte intervento dello Stato nell’economia. Anche al tempo della Rivoluzione, in Francia, ci fu un periodo in cui i giacobini si avvicinarono ai montagnardi e avvenne una spinta per un maggiore intervento dello Stato in economia e un maggior controllo di questo nell’economia. Ritornando all’Iran, il  fattore religioso non deve indurre in inganno e far credere che la rivoluzione islamica consista in un regime con analogie ad un sistema reazionario di tipo legittimista come abbiamo conosciuto in Europa in altre epoche storiche. È stato, invece, l’esatto contrario. Anche Robespierre, per fare un esempio, in un certo momento storico, aveva istituito la festa dell’Essere Supremo, celebrata l’8 giugno 1794 al Campo di Marte. Quello di Robespierre era un culto religioso di derivazione deista che predicava l’immortalità dell’anima. Avrebbe dovuto rafforzare, nelle sue intenzioni, l’unità nazionale e le virtù civiche. Robespierre assunse il ruolo di sacerdote del nuovo culto, una specie della carica di pontefice massimo, come quella di Ottaviano Augusto o di Guida Suprema. Robespierre era certo che la religione rafforzasse il civismo e la morale dei cittadini e la compattezza della nazione. La sua fu una lite col potere religioso di Roma ma non fu una guerra alla religione o al senso religioso. Il suo tentativo non ebbe successo perché non aveva la caratura di Martin Lutero e non erano più quei tempi. Tutto questo per dire che la Rivoluzione islamica, pur avendo impostato la propria rivoluzione sul fattore religioso, non difende privilegi di regimi che vedeva come corrotti e corruttori. Riguardo i rapporti con le donne, queste, dopo la rivoluzione sono uscite paradossalmente dalle loro case, sono andate a scuola in massa, hanno riempito le facoltà universitarie maggiormente degli uomini, sono inserite nelle professioni in percentuale maggiore che da noi. Si può dire che stanno contribuendo notevolmente allo sviluppo del Paese. Non sono solo nel mondo delle professioni ma guidano oltre le auto, anche i pullman di linea e pilotano aerei della compagnia nazionale. Non scambiamo la rivoluzione iraniana per il tribalismo dei Talebani di Kabul. Se vogliamo parlare del velo divenuto una vera ossessione per gli occidentali, possiamo dire che è maggiormnte un fattore identitario che altro, ha assunto lo stesso sapore della kefiah palestinese che non è mai stato un copricapo tradizionale della Palestina ma era un copricapo utile per coprirsi dal sole, utilizzato da alcuni agricoltori. Arafat ebbe l’idea di farne un capo identitario, rivoluzionario come fu il cappello frigio. Indossarlo divenne una sfida durante l’intifada. Anche il velo iraniano è un affronto alla cultura egemone occidentale e vediamo che con varie altre fogge, il velo si sta diffonderlo in tutto l’islam per lo stesso risentimento, un fenomeno che coinvolge anche coloro che vivono in Europa, sunniti o sciiti che siano. Non abbiamo compreso che nelle nuove leve, il velo, non vuole essere un affronto alla donne ma una dissociazione dal mondo occidentale.