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Il Futurismo e la filosofia

di Francesco Boco - 16/02/2009

Il un volantino bilingue del 1912 comparve l’articolo Il Futurismo e la filosofia, a firma Auguste Joly. Sembra che si tratti di uno dei pochi testi, se non l’unico, che si curi di dare una rilevanza filosofica al discorso letterario, artistico e politico futurista. È quanto meno curioso, infatti, che il Futurismo, pur essendo fenomeno di trasformazione totale ed eclettico, non si sia impegnato a svecchiare la filosofia attraverso un Manifesto o altri artifici.

L’autore dell’articolo (raccolto oggi nel fondamentale volume a cura di Luciano De Maria, Filippo Tommaso Marinetti e il Futurismo, Mondatori, 2000) cerca di calare le idee di Marinetti e dei futuristi all’interno del pensiero filosofico contemporaneo. Nella sua brama di azione inesausta, nella sua sete d’intensità bruciante e nello scorrere turbinoso della forza energetica, il Futurismo appare al Joly in stretto legame con la filosofia vitalistica e dinamica del filosofo Henri Bergson (1859-1941), autore nel 1907 dell’opera L’Evoluzione creatrice. In questo suo grande scritto, il pensatore francese illustra la natura della vita come una corrente di coscienza, che chiama slancio vitale, che si compenetra nella materia, asservendola e al contempo venendone condizionata. Rispetto allo spiritualismo che lo aveva preceduto, Bergson ritiene che l’esistenza spirituale sia un mutamento incessante, un continuo formarsi di stati di coscienza fluidi e dinamici: la vita della coscienza è movimento e durata. Alla vita spirituale, che non può essere fissata in categorie astratte, si affianca la vita attiva della corporeità. Essa agisce sulle immagini stesse nella percezione.

Il corpo deve quindi limitare la libertà, per così dire, immaginativa della coscienza, al fine di rendere possibile l’azione nella realtà materiale. La complessità dualistica che sembra separare vita spirituale da vita corporea trova una sintesi nello slancio vitale. La vita si realizza via via sulla spinta di uno slancio fondamentale che si basa sui possibili tra i quali, sin dalla nascita, si può scegliere. La vita dello spirito trova dunque realizzazione e viene incanalata nella limitatezza corporea che comprende anche ciò che avremmo potuto essere, ma non siamo diventati.

Ecco quindi che nel primato assegnato alla vita e all’intuizione estetica bergsoniani, il critico belga individua dei solidi punti di contatto con la visione futurista dell’arte e del mondo. Egli arriva ad affermare che «il futurismo è una forma nuova dell’antico misticismo», per via della sua capacità di trattenere il senso diretto delle cose. L’immediatezza emozionale, creatrice e vitalistica del Futurismo, la sua capacità di trattenere una parte di infinito, si traduce nella potenza artistica che simbolizza e mette in immagini - evoca un’energia più che un discorso razionale. E Bergson, in modo simile, dice che la vita del corpo è un trattenere una parte, un simbolico spirituale, per dargli una collocazione vitale e materiale. «Bergson concepisce il mondo, la vita, l’essere, come una proiezione ininterrotta che delle vite coordinano in organismi [...] Il futurista trova le stesse qualità di assoluto, di finito, nel suo modo di coordinare non già un aspetto, ma un motivo dell’infinito universale, per una coordinazione simbolica».

Un altro grande del pensiero filosofico e politico di inizi novecento è Georges Sorel, pensatore esplosivo e di grande efficacia rivoluzionaria. Il suo discorso è influenzato alle radici dall’opera di Henri Bergson. Senza di lui non sarebbe arrivato ad affermare che i miti rivoluzionari trovano il loro posto nella regione della coscienza profonda.

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Nel suo scritto più importante, Riflessioni sulla violenza (1908), egli si fa araldo di un volontarismo spinto alle estreme conseguenze. La vita, come in Bergson, è divenire incessante, movimento e azione; nel suo essere libera si realizza appieno solo nel contrasto radicale, violento e totale con la realtà storica. Sorel parla di un mito sociale, del tutto contrapposto alla debolezza “riformistica” dell’utopia, in grado di prefigurare una realtà altra rispetto a quella storica presente, e in grado in seconda battuta di mobilitare energie vigorose rivoluzionarie pronte alla violenza distruttrice del vecchio ed edificatrice del nuovo. Sorel parla esplicitamente di un mito, inteso come un qualcosa che agisce nel profondo e che non è scomponibile sul piano di una descrizione storica, ma si realizza nel divenire nell’azione di un gruppo. Il mito che Sorel ritiene possa sollevare le masse è lo sciopero generale.

La violenza svolge un ruolo decisivo, perché ad essa i socialisti e i sindacalisti rivoluzionari sono chiamati senza moralismi né tentennamenti, affinché l’ordine borghese venga infine rovesciato. «L’idea dello sciopero generale, dice Sorel, prodotta dalla pratica degli scioperi violenti, comporta la concezione di uno sconvolgimento che non accetta riforme».

Sin qui i punti cardine di un prisma filosofico futurista possono essere indicati nel vitalismo, nell’intuizione e nella violenza. Sono d’altra parte tematiche che tornano senza alcun dubbio in tutta la letteratura, pittura, scultura, musica ecc. futuriste. Il richiamo alla gioventù e l’odio per le accademie, il primato dell’istintiva certezza rapida e decisiva del genio, la guerra come igiene del mondo; sono solo alcuni semplici riferimenti in tal senso.

In un testo significativamente intitolato Contro i professori, Marinetti intende fare chiarezza degli accostamenti che in più circostanze erano stati fatti tra il Futurismo e la filosofia di Friedrich Nietzsche. La critica, dice il fondatore del Futurismo, si è ingannata nell’accostare il suo movimento al pensatore tedesco; egli infatti si lancia sì verso l’avvenire, ma continua a guardare alla bellezza e alla forza tipicamente greche, con fare passatista e accademico. Il Superuomo nietzscheano è un prodotto dell’immaginazione ellenica, l’ultimo prolungamento di una mitologia marcescente che accosta Apollo e Dioniso. «Noi opponiamo a questo Superuomo greco, nato nella polvere delle biblioteche, l’Uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro, amico dell’esperienza personale, allievo della Macchina, coltivatore accanito della propria volontà, lucido nel lampo della sua ispirazione, munito di fiuto felino di fulminei calcoli, d’istinto selvaggio , d’intuizione, di astuzia e temerità». Nella sua chiamata a raccolta contro la polvere delle università Marinetti dimentica che proprio il professor Nietzsche venne ostracizzato e messo in disparte dal mondo accademico, al quale pure era appartenuto. Poco importa del tono polemico del carismatico fondatore dell’avanguardia italiana, le poche righe dell’articolo sono da inserirsi, con tutta probabilità, tra le numerose liti di famiglia che hanno visti contrapposti non pochi pensatori del composito mondo culturale sovrumanista. Altrove Marinetti aveva contrapposto l’ottimismo futurista al pessimismo shopenaueriano, ma la questione anti-nietzscheana appare davvero limitata rispetto alla evidente onnipresenza di tematiche puramente nietzscheane e sovrumaniste in tutta l’opera marinettiana e dei futuristi in generale.

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Piaccia o meno, il celebre romanzo del 1909 Mafarka il futurista è chiaramente un inno alla volontà creatrice, al vitalismo e alla potenza solare che non conosce tregua, sosta, sonno. Il critico Luciano De Maria conferma un’impressione difficile da contraddire: «la derivazione da Nietzsche è evidente: Marinetti intreccia nella sua favola africana tra leitmotive nietzscheani desunti, certamente, dallo Zarathustra: i motivi della volontà, del superuomo e del volo. Gazurmah è il bel frutto della volontà di Mafarka, ed è nel contempo il superuomo, capace di staccarsi a volo dalla terra immonda». In un altro grandioso affresco simbolista del 1922, Gli Indomabili, Marinetti mette in scena un racconto futurista impregnato di esaltazione della forza e della violenza, della fantasia più sfrenata e del sensualismo più spinto. Si tratta di un racconto dai risvolti chiaramente politici e che nasconde un substrato più profondo quasi esoterico, con la sua insistenza su tematiche spirituali. Torna il tema della violenza rivoluzionaria nel finale, la risposta, a chi chiede di attendere nel nome di un riformismo più “ragionevole”, è chiara: «il grande Domani è qui nelle nostre mani!». Lo slancio vitale è senza freno e coloratissimo.

Il tema nietzscheano del superuomo, dell’uomo futuro potenziato, ritorna nel decisivo articolo L’Uomo moltiplicato e il Regno della Macchina. Così scrive Marinetti: «il tipo non umano e meccanico, costruito per una velocità onnipresente, sarà naturalmente crudele, onnisciente e combattivo». Un’affermazione politicamente scorretta che richiama alla mente, ad esempio, quanto Nietzsche scrive nel paragrafo 258 di Al di là del bene e del male: «la vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole , oppressione, durezza, imposizione di forme proprie».

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La visione marinettiana e futurista di un vitalismo potente, volontarista e aggressivo, affonda le sue radici nella filosofia della forza nietzscheana e nell’individualismo nichilista stirneriano. Gazurmah può a tutti gli effetti essere visto come la massima realizzazione della filosofia marinettiana a partire da un solido fondamento nietzscheano - Gazurmah come una sorta di Dioniso meccanico: il Superuomo partorito dalla sola volontà artistica di Mafarka. Icaro metallico che lancia la sua sfida non solo alle stelle, ma anche al Sole!

«Il futuro e il lontano sia per te la causa dell’oggi: nel tuo amico devi amare il superuomo come la tua causa», questa la raccomandazione che Nietzsche mette per iscritto nel paragrafo intitolato Dell’amore del prossimo nello Zarathustra. Marinetti non poteva sapere che il sovrumanismo del XXI secolo si sarebbe fortemente richiamato a Nietzsche per farne il prefiguratore di un uomo potenziato dalla moderna bioingegneria. La compenetrazione tra tecnica e carne di cui si fanno portavoce i Transumanisti italiani ha nel filosofo tedesco e nel letterato italiano due riferimenti cardine.

Ripercorsi rapidamente alcuni riferimenti filosofici del Futurismo sarebbe allora possibile avviare una ulteriore riflessione volta a una maggiore schematizzazione degli argomenti cardine della cultura futurista. Ancora più interessante sarebbe cogliere le suggestioni e le intuizioni filosofiche che in un modo o nell’altro sono state mutuate dalle provocazioni artistiche futuriste. Il decostruzionismo di Derrida, il Da-daismo di Heidegger, il sovrumanismo di Sloterdjik e altri, forse hanno preso qualcosa dall’accelerazione di coscienza futurista e dalla sua capacità di giocare col linguaggio.

 

 

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