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Conflitto interno alla confindustria,sul posto fisso

di Uriel - 23/10/2009

Fonte: Wolfstep

L’uscita della Marcegaglia, sotto richiesta del fido cane da guardia Epifani, ha finalmente reso pubblici i meccanismi che chiamiamo “concertazione”. Tremonti fa una dichiarazione, Epifani risponde “fatelo commentare a confindustria, sono loro che mi pagano”, o roba del genere, e puntualmente arriva la nota di Confindustria.

 

Non sappiamo cosa ne pensi Epifani, ma il fatto che abbia lasciato alla Marcegaglia il compito di commentare fa intuire che alla fine la pensino allo stesso modo. Ovviamente Epifani non puo’ uscirsene con delle trovate simili, visto che almeno una parvenza di essere un sindacato deve darla, e quindi semplicemente passa la palla.

Il concetto e’ chiaro: le opinioni di Epifani le fa Confindustria. Si chiama, credo, concertazione. Del resto, la Maregaglia si guarda bene dall’offendere i propri servi, e specifica che gli andrebbe bene un precariato in stile “Treu”, come se il problema fosse stato causato dal lavoro interinale e non dai co.co.co, poi co.co.pro, infine co.pro. Insomma, sembra un matrimonio ben assortito, e ormai Epifani puo’ contare su un tale infarlocchimento della base (troppo impegnata a cambiare calzini) da farla sotto i loro occhi.

E’ buffo vedere confindustria e sindacati arroccati su una posizione cosi’ antistorica, per alcune ragioni essenziali.

Quando dico che il precariato “non piace alle banche” non mi riferisco a posizioni ideologiche. Finche’ si poteva cartolarizzare il rischio, le aziende specializzate in junk-bonds ci sguazzavano, e tutto andava bene. Quando Clinton invento’ il modello economico ad alta mobilita’, che ha prodotto il credit crunch costringendo le banche a vivere in un mercato di precari perche’ tutti diventavano precari, la risposta alle perplessita’ delle banche era “beh, cartolarizzate: c’e’ questa bella formuletta che ha vinto lo pseudonobel per l’economia, usatela”.

Il risultato lo conosciamo e si chiama credit crunch , e oggi il concetto ne esce inficiato. La crisi non e’ ancora davvero finita, ma di certo il concetto di cartolarizzazione ne esce abbastanza ridimensionato.

Cosi’, dobbiamo parlare di business.

La Marcegaglia e’ libera di dire che ci voglia ancora piu’ precariato. Deve pero’ spiegare alle banche in che modo, quando si licenziano 10.000 lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, la banca puo’ rivalutare i crediti concessi loro, che hanno perso qualita’.

Se io-banca faccio un mutuo casa , compro soldi sul mercato, emetto titoli in cambio considerando un rapporto rischio/resa, vorrei capire in che modo tu mi cambi il rischio dopo la stipula del contratto, quando io non posso cambiare la resa dei titoli che ho emesso per cartolarizzare.

Qui non parliamo di ideologie, parliamo di business: quei 300.000 disoccupati in piu’ sono tutte persone che oggi per le banche sono insolventi o a pericolo di insolvenza. E se qualcuno aveva mutui, o semplicemente finanziamenti al consumo, sono cazzi acidi per le banche.

Certo, il precariato colpisce piu’ i giovani. Ma guarda caso, i giovani sono quelli piu’ cicciosi per le banche: se ogni anno vanno in pensione N dipendenti e i corrispondenti N giovani non sono buoni clienti per le banche perche’ rimangono precari, il mercato diventa sempre peggiore. E questo e’ business, non sono ideologie.

La Marcegaglia deve spiegare alle banche italiane in che modo pretende di produrre ancora precari, senza inficiare la qualita’ globale del credito. E sara’ meglio che le sue risposte siano credibili, perche’ anche gli industriali hanno bisogno delle banche.

E lo stesso dicasi di Brunetta: quei tre milioni e seicentomila dipendenti pubblici sono, per le banche, i clienti migliori. I mutui casa concessi agli statali sono una manna, per le banche: a meno che il cliente non muoia, possono stare tranquille che il cliente non perdera’ il reddito. Se Brunetta vuole trasformarli in clienti che possono perdere il reddito, dovra’ spiegare alle banche chi paga.

La banca i soldi li compra. E li paga in titoli. Titoli per i quali deve rendere qualche guadagno se vuole che il rischio sia accettato da chi accetta i titoli stessi. Se il mercato del credito diventa piu’ rischioso perche’ i clienti sono a rischio reddito, le banche ci rimettono dei soldi. Non stiamo parlando di idee, stiamo parlando di soldi. Business. Non c’e’ ideologia che tenga: ogni volta che una grossa azienda chiude, i direttori di banca della zona si mettono le mani nei capelli, perche’ i loro clienti diventano piu’ rischiosi. E la Marcegaglia dovra’ spiegare perche’ tutti i prestiti per automobili, consumi vari, case, improvvisamente siano diventati cosi’ rischiosi che le banche non rientrano dei costo dei titoli con quello che chiedono al cliente.

Credo che Tremonti abbia intuito una contrapposizione, ovvero che abbia intuito l’ostilita’ delle banche italiane (che sono ancora banche di sportello molto forti) a certe politiche del lavoro. Non e’ un caso se Draghi stia facendo job posting alla BCE , tra i due il piu’ inviso alle banche e’ lui.

Semplicemente, Tremonti ha intuito che il mondo bancario iniziera’ presto a scalciare ed a schierarsi con qualche altro partito se si continua per una certa strada. Ha intuito il disagio delle banche verso il crollo di qualita’ del credito ai privati. E sta cercando di lanciare segnaili di pace.

Quelli che non hanno capito niente, invece, continuano sulla vecchia strada.

Ecco, forse un’opposizione decente potrebbe iniziare a scalzare Berlusconi puntando su questo. Se qualche straccio di capo del PD di degnasse di dire “anche noi crediamo nel posto sicuro” , probabilmente lancerebbe alle banche un messaggio e si procurerebbe un alleato forte (che oggi come oggi manca al PD).

Sempre che non siano troppo occupati a cambiare il colore dei calzini, si intende.

Colpire le banche nel business non e’ saggio, in nessun paese. Nemmeno Confindustria o il governo ne possono uscire illesi. Ecco, questo di Brunetta e di Confindustria potrebbe essere un primo errore , il primo vero grande errore , commesso dal governo di Berlusconi e da Confindustria.

Se solo ci fosse un partito dei lavoratori a sfruttare tale errore, intendo.

Per il resto,

sapete come la penso.

 

Uriel

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Come avevo scritto, Tremonti parla in un certo modo per via del mal di pancia delle banche, solo pochi giorni dopo arriva sui giornali il mal di pancia stesso: eccolo qui, nero su bianco. Faccio notare che alle banche questa “moratoria” costera’ una bella cifra in revenues, per cui non deve stupirci l’uscita di Tremonti. Quello che rimane poliedrico, semmai, e’ il comportamento di confindustria e dei sindacati. Ma per capire questo occorre fare qualche passo indietro e dividere il problema in pezzettini.

 

Che il peggioramento della qualita’ del credito stia producendo disastri alle banche, e’ assodato. La moratoria di cui sopra significa che le banche si fanno carico, dal proprio forziere, dei rischi di insolvenza delle famiglie. Da un lato cercano di salvare il salvabile per evitare un crollo dell’immobiliare(1), dall’altro subiscono comunque un bel danno.

Chi, dunque, abbia ispirato l’uscita di Tremonti , a tre giorni di distanza e’ chiaro.

Andiamo alle posizioni di Confindustria.

Poiche’ il termine “industria” e’ un termine abbastanza polimorfo, e indica generi industriali diversi, anche confindustria sara’ divisa in posizioni “di maggioranza” e posizioni “di minoranza”, a seconda del peso commerciale che i diversi settori hanno.

Se prendiamo per esempio un’azienda come quella della Marcegaglia, possiamo vedere rapidamente che cosa produca. Essa produce laminati, trafilati e acciai di vario genere, cioe’ beni non proprio “voluttuari”, e per fare questo ha bisogno di una manodopera specializzata ma non troppo. Il suo cliente tipo e’ sparso nel mondo, e quindi non si cura molto di quanto avviene in Italia, intendo dire che non si cura molto di quanto accade alle famiglie, perche’ i suoi clienti sono altri industriali.

Lo stesso dicasi per le produzioni piu’ “sofisticate”, che se anche necessitano di manodopera piu’ sofisticata possono venire delocalizzate facilmente, essendo la clientela sparsa nel mondo.

Cosi’, la Marcegaglia e’ una classica “padrona del vapore”, nel senso che la sua preferenza va ad una maestranza pagata meno possibile, istruita il minimo necessario, intercambiabile ogni volta che si puo’. Ovviamente questo incontra i favori di uno dei sindacati piu’ conservatori e primitivi del paese, abituato per ragioni storiche a rivolgersi a queste persone.

Non c’e’ quindi da stupirsi se la Marcegaglia sia contro ogni genere di consolidamento del mercato del lavoro: vade retro, satana. Non vuole certo un ceto medio che mandi i figli a scuola fino all’universita’, per lei la tuta blu e’ perfetta. Idem per il sindacato: la percentuale di iscritti ai sindacati decresce con la scolarizzazione.

Ma questa non e’ tutta confindustria. Sarebbe interessante vedere cosa ne possa pensare un’azienda che produce, che so io, dei beni voluttuari come automobili di fascia media ed alta, per dire. Sarebbe interessante capire cosa ne pensi l’industria delle ceramiche pregiate a Sassuolo , Faenza e dintorni, per dire. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensino le grandi firme nel campo delle motociclette, per dire. Sia chiaro: non sto ancora parlando di “lusso”, sto parlando di quegli sfizi che la fascia sociale chiamata “ceto medio” poteva permettersi: non sono ancora “lusso”, ma sono una fetta bella grossa di industria.

Lo sono perche’ il ceto medio e’ numericamente importante, e contemporaneamente offre delle buone redditivita’.

Ovviamente tutto poggia sugli equilibri di potere: e’ chiaro che se una FIAT per ora trova agio a produrre macchinette per la working class, e questo le permette di guadagnare quote di mercato sulla concorrenza che produce auto piu’ costose, tutto puo’ ancora andare avanti cosi’. Poiche’ FIAT e’ potentissima dentro Confindustria, la cosa potrebbe reggere.

Il problema viene quando FIAT stessa per sopravvivere non puo’ arroccarsi su quel mercato, e vuole evolversi. Per prima cosa chiederanno, come hanno fatto senza successo, degli incentivi. Se gli incentivi sono negati, prima o poi dovranno chiedere una diversa politica dei redditi. Altrimenti caleranno sul mercato italiano per primo, cioe’ il mercato ove fanno piu’ cassa. Ma prima o poi FIAT dovra’ uscire con altri modelli, e per farlo dovra’ chiedere piu’ clienti. Le banche di finanziare acquisti di auto ai precari non ne vogliono sapere. Dunque?

Lo stesso dicasi per tutti gli altri beni voluttuari: finche’ , in tempi di crisi, essere un prodotto di fascia commerciale medio-bassa puo’ pagare (facendo sconti) nel tempo l’obsolescenza pesera’.

Anche un diverso stile di vita diventa pesante per le industrie. Negli ultimi anni c’e’ stata un’esplosione del catering, che ha prodotto delle imprese niente male. Bisogna capire in che modo un ridimensionamento delle abitudini degli italiani pesi su questa industria. E per quanto tempo aziende come CIR Food, che servono (direttamente o meno) quasi 9 milioni di pasti l’anno ciascuna, potranno permettersi un italiano che preferisce mangiare a casa perche’ non ha soldi.

Ricapitolando, quindi, c’e’ una parte di Confindustria che e’ fatta da aziende che vorrebbero indietro il ceto medio, che vorrebbero di nuovo un’ “italia da bere”, e che sarebbero disposte a pagare con un minimo di contratti di lavoro il prezzo. Sono quelle che tradizionalmente guadagnano in loco , quindi producendo generi indirizzati al mercato italiano, e generalmente voluttuari. Generi legati ad abitudini specifiche.

Ovviamente esiste una parte di confindustria che lavora diversamente. Queste industrie hanno una clientela diffusa nel mondo, specialmente nei mercati emergenti, quindi si curano poco della clientela italiana. Esse non producono beni voluttuari, quindi essenzialmente non sono interessate (se non indirettamente) nemmeno nel ritorno del ceto medio.

In questo momento l’equilibrio di Confindustria sembra pendere, evidentemente, per le seconde. Anche per un motivo principale: la stragrande maggioranza delle aziende che rivorrebbero indietro il ceto medio, che producono beni voluttuari e/o beni con un mercato nazionale prominente, sono ancora classificate come PMI, e non sono pienamente rappresentate da Confindustria.

In questo senso, Epifani ha tenuto la palla in casa dicendo “fate commentare confindustria”. Sarebbe stato diverso, probabilmente, chiedere di far commentare a qualche associazione di PMI. Le quali, oggi come oggi, sarebbero liete di avere qualche cliente pagante in piu’, e proprio in Italia.

Direte voi: ma le PMI sono proprio quelle che maggiormente abusano dei lavori precari. Il che e’ vero. Ma sono anche quelle che soffrono maggiormente la crisi, e che rischiano di chiudere. Il che significa, in soldoni, che potrebbero essere disposte ad assumere (tanto, comunque hanno spesso meno di 18 dipendenti) se per contro le vendite crescessero: il loro bisogno di movimenti di cassa e’ estremo.

A questo punto, tutto ritorna in mano alle banche. Con una moratoria verso le PMI hanno fatto gia’ molto, e molto hanno fatto con la moratoria verso le famiglie. faccio presente che in qualsiasi altro paese del mondo, le famiglie sofferenti le case se le vedono espropriare senza pieta’.

Adesso manca solo una cosa, per piegare i padroni del vapore di Confindustria, che e’ una bella stretta alle partecipazioni azionarie.

Come si suol dire, “starving the beast”. ABI indebolisca un pochino questi padroni del vapore, e saranno molto piu’ disponibili a trattare.

Se arriveranno a tanto, lo vedremo secondo me , gia’ nelle prossime settimane.

Per ora ci sono chiari i motivi dell’uscita di Tremonti (chissa’ se le famiglie in difficolta’ sono quelle dei lavoratori precari, eh?) e quelli delle posizioni della Marcegaglia.

Per il resto, ABI ha molte piu’ frecce all’arco di Confindustria.

Nel frattempo, il PD pensa ai calzini azzurri e ai suoi raccomandati nella scuola.

Come al solito, fuori tempo.

 

 

(1) Se partissero con gli espropri mettendo sul mercato le case oggi, il mercato dell’immobiliare andrebbe all’indietro, col risultato di scoprire le garanzie per gli immobili i cui mutuatari pagano regolarmente. Ne otterrebbero un catastrofico effetto domino come quello americano. Fortunatamente, ABI fa “sistema” meglio di quanto non facciano le banche americane, e preferisce un cazzotto nei denti a un coccodrillo nelle mutande.(non saprei in che altro modo descrivere la cosa)