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Pesticidi, il veleno invisibile

di Patrizia Gentilini* - 12/07/2010



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I fitofarmaci sono presenti in quasi la metà della frutta e verdura che consumiamo a tavola. Spesso contaminate anche le falde acquifere. Decine di studi confermano: gravi effetti sulla salute, specie dei bambini.

Il pesticida è una sostanza che interferisce, ostacola o distrugge organismi viventi (microrganismi, animali, vegetali). In quest’analisi ci riferiremo in particolare ai pesticidi usati in agricoltura, meglio indicati come “fitofarmaci”, ovvero a tutte quelle sostanze che caratterizzano l’agricoltura su base industriale, quindi diserbanti, fungicidi, agenti chimici usati per difendere le colture da insetti, acari, batteri, virus, funghi  e per controllare lo sviluppo di piante infestanti.
 
Non va dimenticato, inoltre, che i principi attivi dei pesticidi sono presenti anche nei prodotti per piante ornamentali e negli insetticidi, spesso usati senza alcuna precauzione nelle nostre case. Il capostipite di tali sostanze è un erbicida tristemente famoso usato massicciamente durante la guerra del Vietnam per irrorare le boscaglie e conosciuto come “agente orange” dal colore delle strisce presenti sui fusti usati per il suo trasporto e prodotto da una multinazionale, la Monsanto, ampiamente discussa e con grandi interessi tutt’oggi nel campo dei pesticidi e degli Ogm. I suoi effetti sono purtroppo ancora presenti sulle popolazioni, sui reduci di guerra e sui loro discendenti a distanza di oltre 40 anni dal suo spargimento.
 
I fitofarmaci sono per la massima parte costituiti da sostanze tossiche, persistenti, bioaccumulabili, spesso estremamente nocive ed è ormai largamente confermato che il loro impiego ha un impatto sulle proprietà fisiche e chimiche dei suoli e comporta effetti indesiderati per tantissimi organismi viventi, spesso  utili all’uomo: basti pensare alla recente moria delle api attribuita a pesticidi neonicotinoidi.
 
Di fatto pesticidi si ritrovano in circa la metà della frutta e verdura che ogni giorno arriva nei nostri piatti e, cosa forse ancora più grave, essi contaminano diffusamente le matrici ambientali, comprese le acque, arrivando fino alle falde: una recente indagine dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)  ha dimostrato che il 36.6% dei campioni di acqua analizzati nel nostro paese è contaminato da pesticidi in quantità superiore ai limiti di legge. Complessivamente sono stati identificati nelle acque esaminate ben 131 di queste sostanze, compresi inquinanti vietati da molto tempo come l’atrazina.
 
Particolare preoccupazione desta poi la scoperta che la clorazione dell’acqua (metodica usuale per la sua disinfezione e potabilizzazione) può comportare la trasformazione delle molecole inquinanti presenti in agenti dotati di effetti cancerogeni certi, in particolare i trialometani. D’altra parte, al di là delle buone intenzioni del legislatore per una riduzione delle sostanze chimiche in agricoltura, il loro utilizzo è sempre più massiccio e nel nostro paese sono circa 300 quelle di uso abituale. I dati ufficiali e più recenti al riguardo sono riportati nella tabella qui a destra in basso. 
 

 
Gli effetti sulla salute
Gli effetti esercitati sugli organismi superiori e quindi anche sull’uomo da queste sostanze sono molto complessi, difficili da valutare singolarmente, presenti anche a dosi infinitesimali (per l’atrazina sono descritti effetti a dosi 30.000 volte inferiori ai limiti di legge). Tali effetti si manifestano spesso tardivamente (anche dopo decenni) e variano anche a seconda del momento in cui avviene l’esposizione: gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà sono momenti cruciali in cui il contatto con tali agenti può comportare effetti particolarmente gravi. Ad esempio, si è di recente dimostrato che l’esposizione a Ddt (un agente in uso come insetticida negli anni ‘50 che - anche se bandito da anni - ancor oggi è presente nelle matrici ambientali) è correlato ad un aumentato rischio di cancro mammario se l’esposizione è avvenuta in età pre-pubere.
 
Molte di queste sostanze rientrano fra gli “endocrin disruptor”, ovvero “inferenti” o “disturbatori endocrini”: si tratta cioè molecole in grado di interferire, anche a dosi bassissime,  con funzioni delicatissime quali quelle ormonali, immunitarie, metaboliche, riproduttive: la diminuzione della fertilità maschile con diminuzione sia nel numero che nella motilità degli spermatozoi, disturbi alla pubertà, endometriosi, malformazioni (in particolare a carico dell’apparato genitale), patologie neurodegenerative come il Parkinson, disfunzioni tiroidee sono solo alcuni degli effetti segnalati. Tutto ciò dà ragione della crescente attenzione e preoccupazione circa gli effetti di queste molecole da parte delle più importanti istituzioni a livello nazionale ed internazionale. Prima di esporre i principali rischi per la salute umana correlati a pesticidi ed emersi dagli studi epidemiologici è bene tuttavia ricordare i limiti che caratterizzano questo tipo di indagini.
 
Questi limiti sono di particolare rilievo in patologie croniche, multifattoriali, che insorgono a decenni dall’esposizione ed in cui assume sempre più importanza l’esposizione intrauterina e nelle prime fasi della vita, come avviene per il cancro. Inoltre la diffusione ormai ubiquitaria degli agenti inquinanti rende molto difficile identificare una popolazione di controllo realmente non esposta: pertanto non va mai dimenticato che la mancata evidenza del rischio non corrisponde affatto ad una reale assenza del rischio! Bisogna inoltre essere consapevoli che anche l’epidemiologia non è immune dalla crescente influenza che la grande industria esercita anche su questa disciplina, offuscandone talvolta obiettività e scientificità.
 
Tali problematiche sono state affrontate da numerosi autori, in modo particolare da Lorenzo Tomatis e a più riprese è stato segnalato come condizionamenti economici e conflitti di interesse influiscono sulle conclusioni degli autori e sulla valutazione che si dà dei risultati ottenuti. Quanto agli effetti dei pesticidi sulla salute umana è ormai assodato che molti di questi agenti hanno anche una azione mutagena e cancerogena e numerosissimi sono i tipi di cancro messi in relazione col loro uso per esposizioni professionali,  in particolare: tumori cerebrali, tumori alla mammella, al pancreas, ai testicoli, al polmone, sarcomi ed ovviamente leucemie, linfomi non Hodgkin (LNH) e mielomi che sono quelli che più ci interessano. Una recente revisione che ha preso in esame 104 studi selezionandone 83 ha mostrato i rischi di cancro riportati nella tabella seguente.
 
Gli effetti sulle malattie del sangue
La tabella  1 documenta un aumentato rischio di leucemie per esposizione a pesticidi in 14 su 16 degli studi esaminati ed un aumentato rischio di linfomi non Hodgkin in 23 dei 27 studi esaminati. Un recentissimo studio condotto in Francia ha evidenziato un rischio elevato anche per il linfoma di Hodgkin, prima raramente emerso: in particolare per esposizione a triazolo (fungicida) e per esposizione ad erbicidi a base di urea il rischio aumenta in modo statisticamente significativo (cioè non attribuibile al caso) rispettivamente di oltre il 700% ed oltre il 900%. Ulteriori informazioni provengono da studi molto ampi condotti sulla salute degli agricoltori in U.S.A. Tali indagini hanno confermato quanto già emerso da precedenti studi ed in particolare è emerso un aumentato rischio di: leucemie: (incremento tra il 120% e il 135%); linfomi Non Hodgkin: (incremento tra il 25 e il 160%); mieloma multiplo: (incremento tra il 34% e il 160%).
 
L’azione dei pesticidi sulla salute ed in particolare l’azione sulle malattie del sangue è stata messa in relazione al fatto che alcuni di tali agenti, a cominciare dall’ agente “orange” sono spesso contaminati da diossine e proprio la diossina (Tcdd) è una delle sostanze su cui più si è accentrata l’attenzione dei ricercatori. La correlazione fra esposizione a Tcdd e patologie emolinfopoietiche (linfomi, leucemie) è infatti ben documentata dai dati recentemente pubblicati sulla mortalità a 25 anni dall’incidente di Seveso: il Rischio Relativo (RR) di morte per emolinfopatie è infatti, a distanza di più di 20 anni dall’incidente e nell’area più inquinata, pari a 5.38, quindi un aumento del rischio del 438%, risultato statisticamente significativo, ovvero non attribuibile al caso. Proprio da studi sulla popolazione esposta all’incidente di Seveso sono anche giunte importanti osservazioni circa il meccanismo di azione esercitato dalla diossina sui linfociti. In pratica si è visto che negli individui in cui era più alta la presenza di Tcdd nel sangue, aumentava proporzionalmente nei linfociti circolanti la presenza della traslocazione  tanto che nel gruppo con maggior dosaggio di Tcdd nel sangue la frequenza di linfociti “traslocati” era quasi 10 volte più alta rispetto alla popolazione meno esposta.
 
La traslocazione, un’alterazione cromosomica, è stata ritrovata anche nei linfociti circolanti di individui in buona salute e non può ritenersi  indicatore certo di malattia. Tuttavia essa rappresenta sicuramente un primo gradino nel processo di trasformazione tumorale ed il netto incremento di linfociti portatori della traslocazione in seguito a massiccia esposizione a diossina suggerisce che la diossina comporti una sorta di “facilitazione” all’espansione del clone traslocato. Del tutto recentemente un meccanismo analogo è stato dimostrato in agricoltori esposti a pesticidi in Francia: anche in questo caso un gruppo di agricoltori esposti a pesticidi e seguito per 9 anni ha mostrato una drammatica espansione di cloni di linfociti con la traslocazione, primo passaggio per la successiva evoluzione linfomatosa. Questo studio è di fondamentale importanza perché per la prima volta viene fatta luce sui meccanismi molecolari che mettono in relazione l’esposizione ai pesticidi con  le malattie del sangue.
 
Per concludere
Possiamo con ragionevole certezza affermare che la relazione fra pesticidi/fitofarmaci e tumori umani, in  particolare linfomi, mielomi e leucemie, ma anche diversi tumori solidi, è stata ormai dimostrata in modo inequivocabile per gli agricoltori o per i lavoratori esposti. La dimostrazione che l’esposizione a dosi “ambientali” sia parimenti pericolosa è certamente più ardua (anche perché è ormai difficile trovare popolazioni di controllo veramente non esposte), tuttavia è difficile pensare di poter “assolvere” queste molecole, ormai entrate nel nostro habitat, anche se assunte a dosi inferiori rispetto alle esposizioni lavorative. 
 
L’Italia detiene, in Europa, il triste primato della più alta incidenza di cancro nell’infanzia (in media 30 casi in più ogni anno per milione di bambini) e si registra nel nostro paese un incremento annuo quasi doppio rispetto alla media europea: 2% annuo contro l’1.1%. Per linfomi e leucemie nell’infanzia l’incremento annuo in Italia è rispettivamente del 4.6% e dell’1.6% nei confronti di un incremento in Europa rispettivamente dello 0.9%, e dello 0.6%. Tutto ciò deve farci seriamente riflettere: certamente tanti altri agenti sono coinvolti, basti pensare al benzene, alle radiazioni – ionizzanti o non ionizzanti – e su tutti questi bisogna agire per una loro drastica riduzione, ma ciò non toglie che sia del tutto legittimo pretendere di sapere anche cosa c’è nel nostro piatto, nel cibo che mangiamo, nell’acqua che beviamo e soprattutto cosa arriva sulla tavola dei nostri bambini. Su temi tanto importanti, quali quelli che riguardano la salute, i cittadini hanno il diritto di ricevere informazioni serie, puntuali, chiare: la protezione di momenti “cruciali” della vita quali la gravidanza, l’allattamento, l’infanzia deve inoltre diventare un imperativo per tutti.
 
L’attenzione verso queste problematiche in tanta parte del mondo scientifico è crescente ed in un recente e documentatissimo libro della grande epidemiologa americana Devra Davis è scritto: «Quando scopriamo che quel che ieri era “il trionfo della chimica moderna” è invece una minaccia mortale all’ambiente mondiale, è legittimo chiedersi cosa altro non sappiamo». Di fatto la probabilità di ricevere una diagnosi di cancro nell’arco della vita in Italia è ormai del 50% sia per i maschi che per le femmine, ovvero ad un uomo su due ed a una donna su due verrà fatta una diagnosi di cancro nel corso della vita. Sempre più emerge nella letteratura internazionale che i fattori comunemente ritenuti responsabili del cancro (invecchiamento, stile di vita, tabagismo ecc.) possono spiegare non più del 40% dei casi ed altri fattori, in primis quelli ambientali, devono essere invocati. D’altra parte non possiamo sperare certo di risolvere il problema del cancro con farmaci costosissimi che il più delle volte possono prolungare un po’ la vita, ma che non comportano una guarigione definitiva.   
 
Di fronte a queste considerazioni appare sempre più urgente imboccare l’unica strada che fino ad ora non è stata percorsa nella guerra contro il cancro, ovvero la strada della prevenzione primaria, cioè una drastica riduzione della esposizione a tutti quegli agenti chimici e fisici già ampiamente noti per la loro tossicità e cancerogenicità. La dimostrazione di quanto sia vincente la strada della prevenzione primaria viene proprio, nel campo dei pesticidi, da quanto è stato fatto in Svezia dove, grazie alle ricerche di un coraggioso medico Lennart Hardell, negli anni ’70 furono messi al bando alcuni pesticidi. Ora, a distanza di trenta anni, in quel paese si sta registrando una diminuzione nell’incidenza dei linfomi. 
 
E’ nell’interesse di tutti e soprattutto di chi verrà dopo di noi passare dalle parole ai fatti, adottare precise norme a tutela della salute pubblica e pretendere l’applicazione delle leggi già esistenti, perchè come ha detto Sandra Steinberg: «Dal diritto di conoscere e dal dovere di indagare discende l’obbligo di agire». 
 


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*  (Medico Oncologo ed Ematologo Isde Italia, Associazione medici per l’ambiente)