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L’Islamofobia serve a demonizzare le popolazioni arabo-musulmane

di Enrico Galoppini - 20/07/2010

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Qual è stato obiettivo principale di questo libro, “Islamofobia”?

L'obiettivo principale è stato quello di chiarire che quello che sinteticamente è stato definito col termine “islamofobia” non è una delle varianti del “pregiudizio” contro questo o quell'altro, ma un’esigenza organica per le strategie espansioniste occidentali, le quali prendono corpo principalmente negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna (con al carro alcuni settori europei legati all’Ue). Quest'azione strategica è mirata da tempo - sin dall'11/9/2001 in maniera evidente - alla conquista di porzioni sempre più vaste del pianeta. Una conquista che si configura in un “dominio”, concetto che è cosa ben diversa dal “potere”: la conquista, cioè, delle menti e dei cuori.
Quindi si tratta dell’espansione di un modello che va a configurare un “tipo umano”. Con l’espansione dell’Occidente si crea infatti un tipo umano che fondamentalmente è agito da forze economiche e puramente vitali, cioè un essere umano completamente avulso dalla dimensione della spiritualità, per il quale l’unico orizzonte di vita diventa unicamente quello animale (“animale” nel senso veramente deteriore del termine).
Torniamo all’inizio del discorso: l’islamofobia serve dunque a demonizzare in primo luogo “l’esterno”, cioè quella parte del pianeta in cui vivono popolazioni a maggioranza arabo-musulmana (una volta l’Iraq, un’altra la Palestina, un’altra ancora il Libano o, addirittura, l’Iran), per la conquista con la forza e l’asservimento di questi territori; in secondo luogo con l’islamofobia viene demonizzato “l’interno”, agitando il pericolo degli immigrati arabo-musulmani che agirebbero sempre di concerto con questa cosiddetta “al-Qa’ida” che di volta in volta viene detta come insediata di qua o di là.

Lei vede un legame tra l'islamofobia e le strategie geopolitiche atlantiche?

Certo, il legame è necessario. Ma si tratta di uno strumento, che ad un primo livello serve come elemento propagandistico per favorire una strategia geopolitica. Una manovra che è evidente tra l'altro se si centra un atlante sull'America e non sull'Europa, poiché se si centra un atlante sull'America ci si accorge che dalla sua fondazione, c'è stata una progressiva espansione delle conquiste, sia verso est che verso ovest, quindi di un “dominio”, ovvero di un determinato modello. Infatti, da una parte, l'azione delle prime colonie ha comportato quella che viene chiamata la “conquista del West”, che in effetti  era un’espansione verso la Cina… così è stato conquistato tutto il Pacifico, poiché l'obiettivo era quello di espandersi sul continente eurasiatico a partire dal lato propriamente asiatico. Mentre dall'altra parte, verso est (sempre dal punto di vista degli Usa), c'è stata un’analoga progressiva espansione sul continente eurasiatico con la tappa fondamentale della Seconda guerra mondiale, ma dall'altro lato rispetto a quello del Pacifico: è stata la conquista dell'Europa occidentale (le “liberazioni”…) e, con la fine dell’Urss e la nascita dell’Ue, la successiva espansione del succitato modello occidentalista in quei Paesi dell'Europa che prima venivano indicati come “Europa orientale”, i quali gravitavano nell'orbita sovietica.
Quindi è evidente, nel lungo periodo, la mossa a tenaglia dell’America sull’Eurasia (cioè sul mondo intero).
L'altro aspetto, più profondo, della questione è invece quello che attiene alla diffusione di un modello, quindi di un tipo umano fondamentalmente inconsistente, cioè un uomo (maschio e femmina!) che vive solamente nella prospettiva di “migliorare la propria condizione materiale”. Il che, detto così, sembrerebbe quasi incomprensibile da criticare, nel senso che tutti quanti aspirano a questo, senonché, se questa diventa l'unica prospettiva di vita interviene nella vita dell’uomo certamente un problema. Non sono infatti casuali tutti i disagi psicologici e gli squilibri ai quali possiamo assistere nel cosiddetto Occidente.

Secondo Lei c'è la necessità per gli Stati Uniti di creare un'islamofobia funzionale, puntando di volta in volta all'obiettivo che s'intende perseguire.

Il motivo è sempre lo stesso, ma gli argomenti sono indefiniti, come dire che possono essere migliaia, e infatti ne esce uno al giorno, per cui individuarli tutti diventa un esercizio quasi ozioso: si passa dalla polemica sulla moschea o il centro islamico che deve essere costruito ad “aperitivi” a base di carne di maiale proprio per esasperare sempre di più gli immigrati di cultura arabo-musulmana, sperando che un giorno tra l'altro uno di questi compia qualche “colpo di testa”, per poi dare la scusa ai media per demonizzare quanto accaduto: “visto che avevamo ragione a dire che sono degli estremisti?”.
Va anche detto che se parliamo di queste manipolazioni, di questo veleno inoculato nelle menti e nei cuori degli europei, dobbiamo indicare negli Stati Uniti e la Gran Bretagna i principali manipolatori; inoltre basta scorrere anche solo i nomi dei personaggi principalmente coinvolti nelle campagne islamofobe per rendersi conto che si tratta di sionisti infilati dappertutto, i quali oggi non solo hanno a disposizione la loro base politico- territoriale nell'Entità Sionista, ma hanno anche a disposizione i loro agenti in ogni Paese, i quali agiscono di concerto con gli interessi anglo-americani.


Intervista a Enrico Galoppini, studioso del mondo arabo-islamico, redattore della rivista di studi geopolitici “Eurasia” e d autore del libro “Islamofobia”.

Fonte: http://italian.irib