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E io sto con (Omar) Massimo Fini

di Mario Bernardi Guardi - 27/04/2011




 

No, Massimo Fini è proprio indifendibile. L’apologia del Mullah Omar (roba al cui confronto l’apologia del fascismo diventa quisquiglia e pinzillacchera) viene a concludere un percorso intellettuale strafottente, sfacciato, scandaloso. Un abbietto crescendo di mostruosità. Al rogo, al rogo!

E se non possiamo farlo col corpo del Massimo degli Imperdonabili- oltretutto un Narciso autoreferenziale della peggiore razza- facciamolo almeno col suo spirito. Veleno allo stato puro, travasato di libro in libro.

Massimo Fini, l’avvelenatore. Oltretutto recidivo. Cominciò col dirci che forse la Ragione aveva Torto, che gli illuministi non erano poi così illuminati, che, nonostante tutto, si stava meglio quando si stava peggio, ai tempi dell’Ancien Régime, prima che Liberté, Egalité e Fraternità iniziassero l’allegra vendemmia di teste ghigliottinate. Proseguì riabilitando quel porco di Nerone alla faccia dello stoico santo-subito Seneca e quell’anarchico di Catilina alla faccia del Remigio alla legge ligio Cicerone.

Dopodiché mostrò tutta la sua acrimonia di anti-moderno, anti-capitalista, anti-liberista, prendendosela, a mo’ di un redivivo Pound antiusuraio, col denaro “sterco del demonio”.

Non gli bastava, perché difese (da evoliano inconsapevole o perfettamente cosciente?) la femmina tutta “eros” e magari anche un po’ “tanathos” contro la donna, diciamo, “emancipata”, poco o per nulla femmina, ma furiosamente femminista, e subito dopo scrisse una vita di Nietzsche in cui il presunto e presuntuoso Superuomo rivelava tutti i suoi limiti di Superomino, con tante- umane, troppo umane, subumane!- passioni e debolezze.

E alla fine se la prese con l’Occidente e la democrazia, demistificando immortali principi, carte costituzionali, istituzioni internazionali, progresso, guerre giuste, bombe intelligenti ecc. ecc., e contrapponendo al “migliore dei mondi possibili”  l’abominevole grido del Ribelle, un po’ fascio e un po’ compagno, un po’ libertario e un po’ talebano, in ogni caso Distruttore  di Europa, America e dintorni, soprattutto nei loro interventi umanitari, con incorporata diffusione del Verbo. E adesso il libro su Mullah Omar, Male Assoluto di tutti i Mali Assoluti, con tanto di provocatoria dedica al soldato Matteo Miotto, padano e veneto d.o.c., fatto fuori da un cecchino in Afghanistan.

Che ci facciamo lì?, si chiede l’Imperdonabile Massimo, parafrasando Chatwin.

Domande disgustose, indegne di quel lib-lab che un tempo Massimo era, dunque meritevoli del rogo. Però va data alle fiamme anche la “lettera aperta” di Matteo Miotto. Perché se Fini sta dalla parte dei Talebani, Miotto, prima di andare all’altro mondo per mano di un cecchino, ammirava negli afgani un popolo “che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa di nutre”.

Non sarà che l’Occidente- e più che mai l’Italia “sotto tiro” o, quanto meno, “sotto schiaffo”- debba fare l’esame di (in)coscienza?