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Asserragliati nel fortino dei privilegi

di Massimo Gramellini - 09/09/2011


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Quando Berlusconi annunciò l’imminente dimezzamento dei parlamentari, due cose furono subito chiare a tutti gli italiani. Che moriva dalla voglia di farlo, se non altro per dimezzare le spese, visto che li mantiene quasi tutti lui. E che non ci sarebbe riuscito, perché nessuno ha mai visto la forfora votare a favore dello shampoo.
Ricordate? Per addolcire il bicarbonato della Manovra, a fine agosto il governo pensò bene di regalarci una caramella al miele. La promessa di un disegno di legge costituzionale che avrebbe dimezzato i parlamentari e cancellato le province. La Casta più obesa del mondo si sarebbe messa in cura dimagrante. Un segnale per i contribuenti: mentre voi stringete la cinghia, noi ci rimettiamo almeno la camicia dentro i pantaloni.
Qualche giorno dopo il segretario del partito del premier scartò la caramella al miele e la distribuì sull’autorevole palco della Berghemfest (sembra uno stopper del Bayern, ma immagino voglia dire Festa di Bergamo): ai primi di settembre, garantì, presenteremo un disegno di legge costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari e abolire le province.
Il disegno di legge costituzionale è stato presentato ieri e prevede soltanto l’abolizione delle province. Il dimezzamento dei parlamentari è stato inghiottito da un buco nero. Chi lo avrebbe mai detto? Stupiti quanto voi, ci siamo messi sulle tracce dello scomparso, interpellandone il padre putativo: Calderoli. L’illustre giurista ci ha tranquillizzati: il dimezzamento non è nel disegno di legge perché era già stato varato dal consiglio dei ministri del 22 luglio scorso. E allora come mai Berlusconi e Alfano, oltre un mese dopo, lo promettevano ai cittadini? Uno promette quel che deve ancora fare, non quel che ha appena fatto. L’ipotesi che il consiglio del 22 luglio avesse approvato il dimezzamento dei parlamentari all’insaputa del premier è stata presa seriamente in considerazione, ma non ha retto alla prova dei fatti. Che sono questi. Il dimezzamento è stato votato dal governo «salvo intese», una formula furbetta che consente di spacciare la riforma come già avvenuta, mentre nella realtà deve ancora passare per le forche caudine di una trattativa con i singoli ministri.
Per farla breve: la proposta di dimezzare gli onorevoli e i senatori non è stata inserita nel disegno di legge di ieri perché si trova già altrove, ma quell’altrove è un provvedimento che giace sepolto in un cassetto di Palazzo Chigi e non è mai stato trasmesso ai due rami del Parlamento. Per farla brevissima: ci hanno preso in giro un’altra volta. La seconda in due giorni, dopo la farsa dello sconto sui tagli alle indennità degli onorevoli muniti di doppio lavoro (e doppia pensione) festosamente promessi dal governo non più tardi di due settimane fa.
Neanche a dire che non si rendano conto di essere detestati. Lo sanno benissimo, tanto che ormai si vergognano di dichiarare in pubblico il mestiere che fanno. Semplicemente se ne infischiano delle reazioni. Asserragliati nel fortino dei loro privilegi, mentre intorno tutto crolla. Senza nemmeno salvare le apparenze e prendere qualche precauzione, come quella di placare la furia dei cittadini compiendo un sacrificio personale. Adesso pensano di cavarsela con la sola abolizione delle province, facendo pagare a un grado più basso della Casta il prezzo della loro eterna intangibilità.
Una classe dirigente si può disfare in tanti modi. Persino con uno scatto finale di orgoglio. La nostra invece - fra ruberie sistematiche, intercettazioni grottesche, barzellette sulle suore stuprate e raccolte di firme bipartisan per la conservazione delle feste dei santi Ambrogio e Gennaro ha compiuto la scelta più consona alla propria mediocrità, decidendo di dissolversi in una bolla infinita di squallore.