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Pur di assolvere Amanda, la Fanciulla del West, ora ci diranno che Meredith morì di raffreddore

di Francesco Lamendola - 04/10/2011







E bravi i giudici della corte d’appello al processo per il delitto di Perugia, in cui una povera ragazza inglese, Meredith Kercher, venne sgozzata nel suo appartamento, nel corso dio un “gioco” erotico che avrebbe dovuto culminare nel suo stupro e finì invece con il suo brutale assassinio.
In primo grado avevano condannato rispettivamente a ventisei e venticinque anni di carcere l’americana Amanda Knox e l’italiano Raffaele Sollecito, che l’avrebbero uccisa insieme, l’una infliggendole la coltellata mortale, l’altro tenendola ferma; con loro avrebbe agito anche l’ivoriano Rudi Guedé, già condannato a sedici anni con sentenza definitiva.
Ora la sentenza d’appello ha mandato assolti i due giovani, mentre l’ivoriano resta in carcere per lo stesso delitto che avrebbero compiuto tutti e tre insieme; e ci sono ben poche probabilità che la bella fanciulla di Seattle, dagli occhi verdi e freddi come il ghiaccio, se ne rimanga in Italia ad attendere l’esito del processo davanti alla corte di cassazione: se ne tornerà dritta negli States a festeggiare, accolta trionfalmente dai suoi connazionali che, da quattro anni, hanno sempre fatto il tifo per lei, con Hillary Clinton che non ha esitato a compiere pesanti pressioni diplomatiche affinché si arrivasse alla sua assoluzione.
E così è stato.
Fino all’ultimo avevamo sperato, pur non credendoci sul piano razionale, che l’Italia mostrasse un soprassalto di orgoglio; che, per una volta, dicesse “no” al borioso padrone americano; che drizzasse la spina dorsale come non aveva mai saputo fare (tranne che a Sigonella nel 1985), memore, almeno, della vergognosa vicenda del Cermis, che vide due criminali piloti americani tranciare il cavo di una funivia e provocare una ventina di morti per uno stupido gioco aereo: scommettevano qualche cassa di birra con altri colleghi per vedere chi fosse capace di volare più basso, passando sotto il cavo della funivia.
Gli Americani, si sa, sono un popolo giocoso; sono gente allegra, cui piace la risata: se la risata non viene spontanea, allora la registrano e la mandano in onda in quei loro pietosi telefilm per cerebrolesi che vorrebbero essere tanto divertenti ma che loro soltanto, chi lo sa il perché, trovano così simpatici e avvincenti; in compenso le nostre televisioni pubbliche e private li comprano e ce li scodellano a tutte le ore, come fosse merce di prima qualità.
Tutto è andato come doveva andare, dunque: la pura Fanciulla del West è stata riconosciuta innocente e un immenso sospiro di sollievo è stato tirato non solo oltre Atlantico, ma anche qui da noi, dove i dollari generosamente distribuiti per favorire le tesi innocentiste hanno fatto miracoli; al punto che un tifo da stadio ha accolta la sentenza vergognosa della corte d’appello, quasi che un torto gravissimo fosse stato riparato e due sfortunati ragazzi, ingiustamente detenuti per ben quattro anni, avessero fatto un bagno purificatore d’innocenza.
Tra poco ci verranno a dire che la povera Meredith è morta di raffreddore: qualunque cosa, qualunque bassezza, qualunque enormità, pur di compiacere lo Zio Sam e fare sfoggio di buonismo, di garantismo a senso unico, di generosità all’ingrosso sulla pelle degli altri: dei genitori della vittima, per esempio, dei quali non sembra ricordarsi neanche un cane.
Un’altra bella figura per l’Italia, un’altra prova di mancanza di credibilità: condannato l’ivoriano, assolta la statunitense e il suo amico figlio di papà; cosa strana, non capita mai il contrario: che si assolva un poveraccio ivoriano mentre si condanni, per lo stesso delitto, un cittadino statunitense o un cittadino italiano delle classi abbienti.
È la stessa mancanza di credibilità che sta mandando a picco le nostre finanze, bruciando ogni giorno milioni di euro dei nostri risparmi: le banche e gli investitori stranieri non hanno fiducia in noi e i cosiddetti attacchi della speculazione altro non solo che la conseguenza di tale sfiducia. Perché gli speculatori non attaccano la Gran Bretagna, che ha, essa pure, un debito estero colossale e un’economia che non marcia proprio al massimo?
Ed è la stessa mancanza di credibilità che porterà il nuovo governo libico a rivedere i contratti con le nostre aziende in Libia, non appena scadranno, e che farà perdere al nostro Paese la posizione di partner commerciale numero uno: come si fa a stare con Gheddafi ancora il lunedì e contro Gheddafi a partire dal martedì; e poi far finta che non sia successo nulla e che la posizione dell’Italia sempre stata limpida e coerente?
Non siamo credibili nel resto del mondo: così si spiega, anche, lo schiaffo che il Brasile ci ha dato, negando l’estradizione per Cesare Battisti e, anzi, rimettendolo in libertà e concedendogli la cittadinanza brasiliana, cosa che lo metterà definitivamente al riparo da ogni futura richiesta della nostra magistratura o del nostro governo: con un presidente del consiglio come Berlusconi, che descrive i nostri giudici come una banda di sovversivi, non ci si poteva aspettare altro.
Questa mancanza di credibilità, che è il logico risultato della nostra mancanza di serietà, è una pessima tradizione che ci portiamo dietro da quando esiste l’Italia come stato unitario, e probabilmente anche da prima. Non fu una bella cosa dichiarare guerra all’Austria nel 1915 e alla Germania nel 1916, nostre alleate nella Triplice da più di trent’anni; e non fu certo una bella pagina quella dell’8 settembre 1943, quando voltammo le spalle all’alleato tedesco per firmare una pace sottobanco con gli Alleati, nostri nemici e invasori, che era, a tutti gli effetti, una resa incondizionata.
La sentenza d’appello che dichiara innocenti Amanda Knox e Raffaele Sollecito si inscrive in questo quadro di scarsissima serietà e di nessuna credibilità internazionale.
Gli Stati Uniti non aspettavano questa conclusione: la pretendevano. Essi non ammettono che un loro concittadino sia giudicato dal tribunale di una semicolonia, quale l’Italia si è ridotta ad essere, anche dopo la fine della Guerra fredda, quando tutti gli altri Paesi N.A.T.O. si sono ripresi ampi margini di autonomia.
Peraltro, non si tratta solo di una ennesima figuraccia internazionale; è anche una ennesima figuraccia della nostra giustizia. Quando si condanna la gente per omicidio volontario in primo grado e la si assolve in secondo grado, cosa già vista troppe altre volte, qualche dubbio sul buon funzionamento della nostra macchina giudiziaria non può non formarsi anche nei cittadini più docili e fiduciosi.
Chi mai vorrebbe mettersi nelle mani di un medico che oggi ti dà per spacciato e domani ti dichiara guarito completamente, e viceversa? Queste famose prove esistevano o non esistevano? È possibile che i risultati di queste costosissime indagini, durate non settimane o mesi, ma anni e anni, svaniscano così tutt’a un tratto, come delle bolle di sapone?
La legge non può dare di sé questa immagine schizofrenica, come se i processi fossero una continua altalena o, peggio, un terno al lotto: se si condanna, si condanna e basta; se si assolve, si assolve: non si può ribaltare la sentenza ad ogni nuovo grado, magari perché gli imputati si possono permettere avvocati molto cari o perché riescono a influenzare la stampa, creando un vero e proprio partito innocentista.
La sentenza del processo d’appello era già stata emessa dai giornali e dalle televisioni: quella uscita dall’aula giudiziaria non ne è stata che la passiva ratifica.
È evidente che qualcosa non funziona, non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nei laboratori della polizia scientifica. Troppi errori, troppe approssimazioni, troppe inconcepibili contaminazioni dei reperti esaminati nel corso delle indagini. Qualcuno si ricorda ancora del caso di Unabomber? Anche lì, incredibili errori e perfino una adulterazione deliberata dei reperti utilizzati dall’accusa; anche lì, una verità che non è mai emersa, una giustizia che non è mai arrivata, delle vittime che non hanno mai potuto guardare in faccia il criminale e saperlo condannato e relegato dietro le sbarre di una solida cella, dove non farà più del male.
Adesso i nostri logorroici opinionisti potranno sbizzarrirsi a dire di tutto e di più; il circo mediatico, ieri assetato di un mostro da sbattere in prima pagina, ora festeggia con impudente trionfalismo l’atteso riscatto di Knox e Sollecito, i due “perseguitati”.
Solo i genitori di Meredith Kercher non hanno proprio nulla da festeggiare.
La loro figlia era una ragazza di soli ventidue anni, approdata in Italia con il programma “Erasmus”: allegra, simpatica, gentile e altruista; tutti quelli che l’hanno conosciuta l’apprezzavano e le volevano bene.
Amanda, dallo sguardo cattivo, dura, fredda, rosa dall’invidia, non la sopportava: lei era venuta in Italia con tutt’altro spirito, sesso e droga erano i suoi passatempi preferiti; più che a studiare, badava a divertirsi: però voleva anche piacere, essere la prima, occupare la scena. Non sopportava che qualcuno le rubasse la mettesse in ombra, con quella cattiveria e con quel narcisismo paranoide che sono così diffusi fra gli studenti delle scuole americane: quelli che vanno in aula armati fino ai denti e che accoltellano un compagno per un’occhiata storta.
Amanda pare che avesse rubato dei soldi a Meredith, qualcosa come duecentocinquanta euro, e che l’inglese se ne fosse lamentata, avesse accusato apertamente di furto la coinquilina. Un motivo in più per attizzare l’odio dell’americana, il cui viso d’angelo ha sedotto milioni di telespettatori e divoratori di settimanali attualità. Una volta si è presentata in aula con una maglietta che recava una frase d’una canzone dei Beatles; un’altra volta, con una maglietta talmente aderente, da mostrare generosamente le sue grazie, come se fosse stata inzuppata d’acqua, i capezzoli ben esposti agli sguardi della giuria.
È il modo di fare di una persona consapevole del ruolo che interpreta, quello di condannata in primo grado per omicidio? Un omicidio selvaggio, assolutamente gratuito, quale può maturare solo in un animo malvagio, che calcola meno di nulla il valore della vita altrui e che pone il proprio piacere al di sopra di tutto e di tutti.
Amanda Knox è una brutta persona. La mattina dopo il delitto, ha visto il sangue sul pavimento davanti alla camera di Meredith, ma non ha fatto una piega e, come dice lei stessa, se n’è andata tranquillamente in bagno a farsi una bella doccia. Poi, quando le indagini hanno puntato su di lei e Sollecito, ha accusato dell’omicidio Patrick Lumumba, il proprietario del pub dove lavorava. Lavorava per modo di dire: non appena il padrone si girava, lei si metteva a flirtare con tutti i clienti; di servire non aveva alcuna voglia. Lumumba si è fatto diversi giorni di carcere per le sue calunnie e lei, fra parentesi, deve ancora rispondere del reato di calunnia nei suoi confronti. Una persona capace di tutto.
La ricostruzione di come lei e Sollecito hanno trascorso le ore precedenti il delitto getta una luce significativa sulla amoralità, sulla immaturità, sull’edonismo brutale dei due ragazzi: neppure hanno saputo dire quante volte hanno fatto all’amore, tanto erano imbottiti di alcool e droga. Intanto la colta studentessa di Seattle leggeva il libro di Harry Potter, a base di stregoneria da minorenni: si era a ridosso della festa di Halloween, quando una volta, in Italia, si ricordavano i nostri cari defunti, mentre ora i bambini si vestono da mostri e da vampiri e se ne vanno in giro ululando nella notte come anime dannate.
Fra parentesi, sarebbe ora che qualcuno desse un’occhiata a certi ambienti universitari cosmopoliti e a come certi studenti, italiani e stranieri, utilizzano i programmi di studi internazionali per darsi alla bella vita con i superalcolici e la droga: forse si scoprirebbe che non è tutto oro quello che luccica, anzi, che il coperchio della pentola copre parecchie porcherie che avvengono sotto il nostro naso, con i soldi dei contribuenti e con il paravento di una cultura che non è tale, ma solo la comoda facciata dietro la quale i figli di papà possono spassarsela meglio di Pinocchio nel Paese dei Balocchi.
Ora Hillary Clinton sarà soddisfatta: le sue pressioni non sono rimaste senza effetto, la sua concittadina è fuori pericolo; missione compiuta.
E anche da noi, pare che tutti siano al settimo cielo: si sa, quando qualcuno viene assolto, ci si sente tutti un po’ più buoni. Figuriamoci in Italia, dove tutti fanno sempre il tifo per l’imputato e mai per la giustizia che lo vorrebbe condannare.
Italiani brava gente; ce lo siamo detto da soli e siamo convinti che lo pensino anche gli altri, nel resto del mondo.
Abbiamo creato questa leggenda e abbiano finito per crederci noi stessi, prendendola sul serio come se fosse la pura verità.
Che vergogna.
Non è solo una pagina nera della nostra giustizia, ma anche della nostra dignità nazionale.
No, non c’è proprio niente da festeggiare.
Quando impareremo a tenere un po’ la schiena dritta, davanti a noi stessi e davanti agli altri?