Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Come gli Alleati, per stupidità e cinismo, “regalarono” l’Italia a Hitler

Come gli Alleati, per stupidità e cinismo, “regalarono” l’Italia a Hitler

di Francesco Lamendola - 13/05/2012


 

 

La storia del Novecento, e specialmente la storia d’Italia, così come viene raccontata nelle scuole e tramandata dai professori universitari, sarebbe tutta da rifare.

Una delle menzogne più tenaci e più difficili da estirpare è quella che vorrebbe fascismo e nazismo stretti l’uno all’altro in un abbraccio tragico, ma inevitabile: tanto che è stato creato un neologismo più che discutibile dal punto di vista storiografico, il “nazifascismo”, una specie di mostro bifronte che unisce in un solo corpo le due dittature.

Tale vulgata nasce da una versione doppiamente addomesticata dei fatti.

In primo luogo perché, sul piano interno, si vorrebbe dare a intendere l’inevitabilità dell’intervento in guerra di Mussolini a fianco di Hitler, il che rende non solo necessaria, ma altamente meritoria l’opera di quanti si adoperarono in ogni modo per la sconfitta dell’Italia, dal 10 giugno del 1940 al 25 luglio del 1943 (tanto è vero che una apposita clausola del trattato di pace proibiva al governo repubblicano di perseguire quelli che, in qualunque altro Paese al mondo, sarebbero stati considerati dei traditori, ma che ricevettero alte onoranze da parte degli Alleati).

In secondo luogo perché, sul piano internazionale, quella pretesa inevitabilità consente di porre il fronte alleato, una volta per tutte, dalla parte della ragione, cioè della legittima difesa; eppure si sa benissimo, e un tipico esempio è quello di Napoleone III e Bismarck nel 1870, che non sempre lo stato che dichiara guerra ad un altro è veramente l’aggressore, e che non sempre quello che subisce la dichiarazione di guerra è veramente l’aggredito.

La verità, per quanto riguarda il 10 giugno del 1940, è completamente diversa da come viene generalmente raccontata: ma, si sa, mentre la sconfitta è sempre figlia di uno solo (e, se possibile, di nessuno addirittura), la vittoria ha innumerevoli padri: perfino la “misera “vittoria” di quanti, benché sconfitti, sono saltati all’ultimo momento sul carro dei vincitori, riuscendo a prendersi così, se non altro, la rivincita sui propri nemici interni.

La verità è che, fino al 1935-36, niente era ancora deciso, quanto alle alleanze internazionali, per ciò che riguarda l’Italia; e che ancora l’11-14 aprile 1935, con la conferenza di Stresa, vi fu la concreta possibilità che essa si unisse alla Francia e alla Gran Bretagna per contrastare l’espansionismo hitleriano e, in particolar modo, per fermare il progettato “Anschluss; cosa, quest’ultima, che Mussolini aveva già avuto il coraggio di fare, e da solo, nel 1934, all’indomani dell’assassinio di Dollfuss da parte dei nazisti austriaci e del loro tentato colpo di Stato.

A mandare all’aria questa possibilità furono da un lato l’accordo navale anglo-tedesco, sottoscritto dalla Gran Bretagna il 18 giugno 1935, all’insaputa di Francia e Italia; dall’altra l’irrigidimento francese e inglese sulla questione abissina, che tuttora viene presentato come un limpido esempio di politica trasparente e disinteressata in favore di uno stato debole, ingiustamente aggredito da uno stato più forte: cosa che fa semplicemente sorridere, se si pensa alla sfrenata cupidigia con cui Francia e Gran Bretagna si erano spartite il continente africano solo pochi decenni prima, e come, non ancora sazie, si fossero poi spartite anche le ex colonie tedesche, nel 1919, dietro l’ipocrita finzione dei “mandati” della Società delle Nazioni.

Dunque: se Mussolini, ancora nel 1934, aveva il coraggio di sfidare Hitler e di rischiare una guerra contro la Germania, senza nemmeno essersi coperto le spalle con Londra e Parigi, come si può sostenere che l’alleanza italo-tedesca nella seconda guerra mondiale fu inevitabile? E tuttavia, questa tesi fa comodo a quasi tutti, perché consente di accomunare fascismo e nazismo, anzi, di confonderli in uno stesso amalgama: solo che è falsa, irrimediabilmente falsa.

Una volta che il fascismo è stato dichiarato il male assoluto (perfino da certi suoi ex nostalgici), non resta che dipingerlo nella maniera più cupa, anche sotto questo riguardo; non resta che descrivere Mussolini come impaziente di entrare in guerra contro Francia e Gran Bretagna: del resto, non era notoriamente un voltagabbana? Non aveva già tradito i suoi compagni socialisti nel 1915, passando dal neutralismo all’interventismo, con un cinismo sconcertante?

Si omette di ricordare, però, il piccolo particolare che, nel 1915, numerosi altri esponenti dell’estrema sinistra, non solo socialisti, ma anche sindacalisti rivoluzionari e perfino anarchici, fecero esattamente la stessa scelta di Mussolini (senza, però, venir bollati dagli storici delle generazioni successive come dei luridi Giuda); e, per la stessa ragione, si omette di ricordare che, nel 1935-36, quando Mussolini attaccò l’Etiopia e la Società delle Nazioni varò le sanzioni contro l’Italia, fior fior di esuli antifascisti, fra i quali anche illustri compagni comunisti, si affrettarono a chiedere di poter rientrare in Italia, con la quale si sentivano incondizionatamente solidali.

Buon per loro che Mussolini non se ne fidò: se fossero rientrati e se, magari, si fossero arruolati volontari per combattere in Africa Orientale, come alcuni desideravano, in che modo avrebbero potuto riciclarsi, nel 1943-45, nelle vesti di antifascisti intransigenti e tutti d’un pezzo, saldi e inflessibili nella loro strenua opposizione, etica ancor prima che ideologica, contro un regime cinico e immorale? Sarebbe stato imbarazzante e difficile perfino per degli specialisti nel cambiare bandiera, come notoriamente lo sono gli uomini politici italiani.

Comunque, a dire che non era scritto nelle stelle che Mussolini dovesse scegliere di allearsi con Hitler, ma che avrebbe potuto realisticamente aderire ad una alleanza con Francia e Gran Bretagna prima che la Germania diventasse troppo minacciosa, non sono i soliti “revisionisti” tanto invisi alla Vulgata democratica, ma(fra gli altri) un diplomatico francese della vecchia scuola, Léon Noël, le cui memorie, apparse quasi quarant’anni fa, non sono mai state tradotte, guarda caso, nel bel Paese dove il sì suona e dove si stampano e si ristampano miriadi di libri inutili, buoni solo per i professori universitari che li scrivono e per i pochi studenti che sono costretti a preparare i loro esami su di essi.

Léon Noël, classe 1888, dal 1927 al 1930 era stato delegato generale dell’Alto Commissariato  della Repubblica francese in Renania, poi segretario generale del ministero dell’Interno; nel 1932 era divenuto ministro di Francia a Praga e, nel 1935, era stato nominato ambasciatore a Varsavia. Fu in quel periodo che partecipò alla Conferenza di Stresa. Sia allora, sia nel 1939, quando rientrò dalla Polonia in Francia, passando per l’Italia, poté osservare da vicino la politica italiana, parlare con uomini politici italiani e prendere nota del contegno dell’opinione pubblica italiana, rendendosi conto di quanto grande fosse stato l’errore commesso dal suo Paese e dalla Gran Bretagna nel non aver colto l’occasione di staccare l’Italia da Berlino, prima, e di non aver fatto nulla per trattenerlo dall’entrata in guerra, poi.

Ma è interessante sapere che un ruolo altrettanto importante, e forse anche più importante, di quello svolto dalla Francia e dalla Gran Bretagna, fu giocato dai “neutrali” e “disinteressati” Stati Uniti; perché fin dal 1937 l’ambasciatore americano a Parigi, William Bullitt, certo rispecchiando le opinioni di Roosevelt, non solo non era disponibile ad alcun passo per staccare Mussolini da Hitler, ma anzi si augurava che scoppiasse presto una guerra europea, in modo che gli Alleati potessero farla finita sia con la Germania nazista, sia con l’Italia fascista.

Il suo libro di memorie, pubblicato nel 1975 dalle Editions France-Empire, si intitola significativamente «Les illusions de Stresa. L’Italie abandonnée a Hitler»; ne riportiamo alcuni passaggi quanto mai significativi (pp. 157-65):

 

«Le dénouement de la politique d’alliance avec l’Allemagne suivie par Mussolini, pas plus que le maladresses des Anglais, qui l’ont poussé dans cette voie, ne saurait justifier que l’on absolve de leurs propres fautes nos prétendus “hommes d’Etat”. […]

Laval, en particulier, n’a jamais compris que Paris et Rome ne pourraient s’entendre qu’à condition d’être d’accord avec Londres et, en tout cas, en s’appliquant à ne pas se donner l’apparence de s’entendre contre Londres. […]

Les documents que j’ai consultés en étudiant la vie et l’action de Camile Barrère m’ont prouvé que jamais l’entente entre l’Italie et la France, réalisée par ce grand diplomate, n’aurait abouti si la Grande-Bretagne qui, à son origine, s’en était fort inquiétée, n’avait pas elle-même souhaité un rapprochement avec nous, à la suite de la guerre du Transvaal, des armements navals et des ambitions mondiales de l’Allemagne. […]

Au début d’octobre 1937, William Bullit, ancien ambassadeur des Etats-Unis à Moscou, à ce moment  en poste à Paris, vint voir, à Varsovie, son collègue et intime ami Tony Drexel Biddle. Il jouait, dans la diplomatie, très personnelle, de Franklin Roosevelt, un rôle primordial: il exerçait une sorte de contrôle et de tutelle sur ses collègues de l’Europe occidentale et de l’Europe centrale.

Je l’invitai à déjeuner. Après le café, sans souci des autres convives, il m’entraîna à part et me demanda si je pensais qu’une guerre avec Hitler pouvait être évitée. Ma réponse fut que les diplomates, en tant que tels, devaient toujours se garder de tenir la guerre comme inévitable. Nous éxchangeâmes alors ce propos: “Que peut-on faire, selon vous, pour l’éviter?” me demanda Bullitt. “Avant tout, montrer à Hitler que nos relations avec les Etats-Unis et avec la Grande-Bretagne son étroites. Puis, sans que le success soit garantit, tout metre en œuvre pour tenter d’empêcher Mussolini de se lier définitivement et complètement avec Hitler.” D’évidence, cela aurait dû être alors les objectifs cardinaux des puissances occidentals.

Avec une totale inconscience Bullitt me répondit: ”Non, la guerre est inevitable et il faudra abattre les deux dictateurs en même temps.” Cela équivalait à souhaiter la guerre, après une alliance totale entre Hitler et Mussolini.

Telles étaient les arrière-pensées de Roosevelt et les idées des diplomates americaines accrédités à Paris, à Varsovie, à Londres et à Rome.  […]

A Paris, avec l’autorité qu’il tenait de la confiance du Président des Etats-Unis plus encore que de ses fonctions memes et avec son aplomb, son assurance, son entregent, mais aussi sa suffisance qui l’empêchait de voir les réalités, Bullitt, par ses propos, entretenait les préjugés, les illusions et les chimères d’Alexis Leger et de certains de nos homes politiques les plus importants.

Sa responsabilité personnelle dans nos malheurs et dans ceux du monde entier, de même que celle de Franklin Roosevelt, est infiniment lourde. Le fait que - une fois la guerre engagée et la Pologne écrasée - le Président des Etats-Unis essaya de persuader le Duce de rester neutre, n’en atténua pas l’extrême gravité.

L’absurde tactique desd Américains - secondés trop complaisamment par les Anglais - avait contribué à pousser Mussolini dans le camp de l’Alemagne qu’il détestait, mais où lui paraissaient fixées définitivement l’initiative, la volonté, l’audace et la force, depuis qu’il avait constaté notamment la facilité avec laquelle la France, en proie à ses divisions, à la confusion politique et à l’instabilité ministérielle, et la Grande-Bretagne avec elle s’étaient résignées à la réoccupation militaire de la Rhénanie, au rearmement de l’Allemagne, à l’Anschluss et au démantèlement de la Tchécoslovaquie.»

 

Da queste osservazioni, e da altri segni ed indizi sparsi nella storia diplomatica degli anni che precedono immediatamente lo scoppio della seconda guerra mondiale, emerge che, mentre la Francia tergiversava, indecisa a tutto, e mentre Mussolini teneva d’occhio sia Hitler, sia i suoi futuri avversari, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti avevano già deciso che era necessario farla finita con entrambe le dittature, e si adoperavano attivamente per spingere la Polonia ad una politica anti-tedesca, con buona pace della questione di Danzica e del “corridoio”.

Gran Bretagna e Stati Uniti volevano la guerra, ma non intendevano dichiararla: aspettavano il casus belli, come vent’anni prima; che per la prima era stato l’invasione del Belgio, per i secondi, la guerra sottomarina con cui la Germania aveva cercato di salvarsi dallo strangolamento del blocco marittimo inglese. La libertà e la difesa dell’Europa, in questo calcolo, non c’entravano affatto…