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La Repubblica delle tette

di Francesco Lamendola - 27/09/2012



 

Infinite sono le vie della Provvidenza, diceva la saggezza dei nostri avi; e insospettabili quelle dell’Astuzia della Ragione, aggiungeva Hegel, strizzando l’occhio alla maniera furba di chi ha capito tutto, in mezzo a un branco di poveri mortali che han capito poco o niente.

Chi lo avrebbe detto che il classico e nobile strumento logico del sillogismo aristotelico sarebbe stato brillantemente sfoderato da una ex soubrette passata alla politica e ormai nota in tutto il mondo non solo per essersi recata alla questura di Milano a prendere in consegna l’ineffabile ancorché vispa minorenne Ruby Rubacuori - salvo scaricarla, subito dopo, presso il domicilio di una ragazza di facili costumi -, ma soprattutto per aver definito il suo mentore e Pigmalione, il suo danaroso patron di Arcore, nel corso d’una garbata conversazione telefonica tra amiche che, poi, milioni di persone hanno potuto ascoltare in registrazione, «culo flaccido».

Eppure è stato proprio così: anzi l’impareggiabile filosofa ha snocciolato non un banale sillogismo semplice, ma addirittura triplo, e con un rigore talmente impeccabile, che avrebbe lasciato stupito e ammirato lo stesso Stagirita, se questi avesse potuto ascoltarlo. «Le persone, d’estate, vanno al mare e si mettono in costume da bagno; anche i politici sono persone e, dunque, d’estate vanno al mare e si mettono in costume da bagno. Non vedo allora perché io, che sono una politica, non avrei dovuto sfilare in passerella per reclamizzare dei costumi da bagno che poi le persone indosseranno. In questo modo, ho dato anche un contributo all’economia nazionale in un momento difficile: perché ho fatto la mia parte per incentivare la vendita dei costumi da bagno, dunque per far girare la ruota del commercio, pur in questi tempi di crisi». Straordinario, vero?

Aristotele sarebbe stato fiero e, crediamo, quasi basito davanti a tale rigore deduttivo, coniugato a sì smagliante spigliatezza; per non parlare di quel che avrebbe pensato il grande maestro di Alessandro Magno, tenace cultore della bellezza come lo era Platone e come tutti i Greci, ammirando le forme ben tornite e abbondantemente scoperte della sua discepola odierna, insomma la sua scultorea, provocante, radiosa nudità, resa ancor più seducente da un sorriso infinitamente soffuso d’innocenza.

Forse, come i vecchi compagni di Priamo sulle mura di Troia, anche il “maestro di color che sanno” avrebbe trattenuto il fiato e riconosciuto che, per il possesso di una donna così bella, era comprensibile che due nazioni potessero arrivare fino al punto di combattersi in una guerra all’ultimo sangue.

Come resistere, poi, al fascino della dialettica, se unito a una procace avvenenza fisica e a una notevole nonchalance davanti alle perplessità e alle critiche del popolino che, in tempi di crisi, non fa le vacanze sulla Costa Smeralda, a sfoggiare costosissimi bikini firmati, ma si arrampica perigliosamente sulle ciminiere delle fabbriche o si seppellisce nelle gallerie delle miniere, nella disperata difesa dei posti di lavoro che si squagliano come nebbia al sole?

È accaduto e ne siamo stati tutti testimoni.

L’ultima, grande notizia di cronaca dell’Italia repubblicana è che Nicole Minetti, non che dimettersi dal suo posto di consigliere regionale della regione Lombardia, ha pensato bene di sfilare in passerella indossando gli ultimi bikini della Parah e facendo arrapare il pubblico con la generosa esposizione tanto del suo notevole lato A, quanto del non meno apprezzabile lato B, facendo dondolare i suoi seni bombastici che sfuggono dal costume, essendo stati rifatti e gonfiati quanto le labbra e altre parti anatomiche, tanto che l’effetto complessivo è, rispetto a chi avesse visto la disinvolta ragazza solo qualche tempo addietro, quello di una mutante.

La penultima notizia è che l’amministratore delegato della F.I.A.T., Sergio Marchionne, dopo aver tirato il sasso, ha nascosto la mano per l’ennesima volta, al ritornello ormai monotono: «Me ne vado, non me ne vado»; e alla fine ha lasciato capire al governo italo-borbonico che sarebbe anche disposto a rimanere nella patria irriconoscente, se potesse ottenere, quando non massicci finanziamenti, come ai bei tempi andati (c’è la crisi, dopotutto, che diamine!), almeno ulteriori sgravi fiscali e facilitazioni di vario genere, più o meno come fa il governo di quel Brasile  dove, alla faccia di tutto, il mercato delle auto è tutt’altro che in calo e la F.I.A.T., nella fattispecie, le sue Panda e le sue 500 le vende ancora, eccome, crisi o non crisi.

Le due notizie, mescolate agli scandali del Lazio, alle cene alle ostriche di Fiorito e alle dimissioni di Polverini (che si sente un’eroina per aver avuto un tale coraggio e sfida tutti i maramaldi governatori di sinistra a fare altrettanto), hanno un evidente elemento in comune: le tette, quelle vere (pardon, ci era sfuggito dalla penna: quasi vere, anzi rifatte al silicone) e quelle simboliche. Le tette della Minetti proclamano abbondanza, gioia di vivere, solarità e felliniana sregolatezza; quelle da cui Marchionne vorrebbe succhiare, le tette dello Stato, sono garanzia di sovvenzioni, di agevolazioni, di protezionismo, di profitti senza rischio.

Sono le due facce - scusate il gioco di parole, davvero involontario - della stessa medaglia: viviamo nella benedetta Repubblica delle tette; delle tette di cui tutti sono cultori e adoratori, di cui tutti sono fanatici e insaziabili, di cui tutti vorrebbero razioni sempre maggiori, dosi sempre più industriali: chi le protende e chi se ne abbevera: basti dire che i signori della regione Lazio spendevano 30.000 euro per una vacanza al mare e che la signorina Minetti guadagna quanto il segretario generale delle Nazioni Unite.

L’Italia come un grande poppatoio e legioni di amministratori, di politici, di industriali, di banchieri, di soubrette, di prestigiatori, di illusionisti, di mangiatori di fuoco e di spade, di giocolieri, di prostituti e prostitute di lusso (ecco infine le pari opportunità realizzate!): tutti insieme appassionatamente a poppare, poppare, poppare dalle italiche tette repubblicane, beninteso debitamente democratiche e antifasciste.

Evviva le rassicuranti, le benefiche, le materne, intramontabili, eterne tette nazional-popolari, che fanno da apprezzatissimo paracadute agli imprenditori spaventati dalla loro stessa audacia, ai membri delle giunte regionali organizzatori e fruitori di feste in costume da maiale, ai parlamentari inquisiti e indebitati, ai direttori di giornali fasulli che stampano migliaia di copie e poi le regalano, sapendo che non le venderanno mai,  pur d’intascare il finanziamento pubblico: insomma a tutti i furbetti dell’italica stirpe, a tutti i cialtroni e a tutti i marioli di craxiana memoria.

Che cosa mai sarebbe la seconda Repubblica, senza le tette?

Sarebbe come un cielo senza stelle, come un mare senza acqua o come un Bacio Perugina senza il bigliettino dalla saggezza kitsch.

Come farebbe a sopravvivere Nicole Minetti; che ne sarebbe del suo futuro quando il Cavaliere dal Culo Flaccido non avesse più bisogno dei suoi ineffabili di servigi d’igienista dentale e, forse, anche d’altro genere?

Come farebbe Sergio Marchionne a mantenere in Italia gli stabilimenti della F.I.A.T., pur animato da tutto l’amor di Patria di questo mondo, davanti a un popolo ingrato che non vuol più comparare le sue belle e convenientissime automobili ?

Come farebbe il popolo del Bunga-Bunga, senza più “panem et circenses”?

Come farebbero i falsi ciechi, i falsi paralitici, i falsi minorati e i falsi depressi, costretti a ripiegare sulle fragili e precarie risorse dei loro talenti individuali?

E come farebbero i giornalisti di gossip e di cronaca politica, senza più i fatti e fattacci da Basso Impero da raccontare, per la delizia di lettori e spettatori?

Come farebbero i conduttori dei salotti televisivi, gli opinionisti incipriati, i tuttologi con la camicia firmata e le opinioniste dalla coscia lunga e dallo sguardo assassino?

Come farebbero i meteorologi che non ne azzeccano mai una, gli astrologi in cassa integrazione, gli uomini-sandwich in crisi d’identità e le donne cannone in cura dimagrante?

Che cosa penserebbero, che cosa direbbero, che cosa farebbero sessanta milioni di cittadini e cittadine; come riuscirebbero a dare ancora un senso alla loro grama esistenza, così miseramente mutilata?

Se Franco Fiorito è disposto a restituire allo Stato quattrocentomila euro, subito e di tasca sua, a quale misero gruzzoletto si ridurrebbe la somma che il generoso campione di onestà e trasparenza sarebbe disponibile a sganciare, senza più le tette nostrane cui attingere?

Diciamo la verità: non è forse cosa più nobile e degna poter vantare un Fiorito che vuol restituire quattrocentomila euro, piuttosto che accontentarsi di rimettere alla Guardia di Finanza il compito di rastrellare qua e là pochi spiccioli caduti, per distrazione, dalle tasche di qualche insignificante pesce piccolo?

Certo fa tutto un altro effetto poter dire, gonfiando un poco il petto in atto di legittimo orgoglio, quando si vuol ridurre al silenzio qualche borioso sapientone tedesco o americano: «Ma lo sai che noi siamo il Paese dove i consiglieri regionali offrono alla comunità quattrocentomila dollari al colpo? Altro che quei pitocchi delle vostre Merkel e dei vostri Obama, che si vede lontano un chilometro quanto sono morti di fame!».

Eh sì, che soddisfazione.

E poi, anche l’occhio vuole la sua parte: non parliamo di consiglieri regionali tipo medio, ma formato extralarge: uno e novanta di altezza per centottanta chili di peso, in arte “Er Sultano” o anche “Er Batman”: con un fisico così, tutto il resto è in proporzione, compreso il gargantuelico appetito di pubblico denaro.

Come nel caso della Minetti, del resto: a forza di silicone, le sue curve hanno raggiunto proporzioni spropositate, debordano da ogni lato, zittiscono sul nascere qualunque critica, obiezione o perplessità: e gli interventi chirurgici costano una cifra, non li fanno mica gratis. Ma poi come si fa a non apprezzare il risultato; come si fa a non approvare entusiasticamente, incondizionatamente una maggiorata che sembra uscita da un fumetto hard di Milo Manara, più ancora che da un film porno di Tinto Brass.

Le tette, sempre loro: e dunque, gridiamolo forte tutti in coro: viva le tette nazionali, simbolo di perenne vitalità e di giunonica abbondanza!

Vengano ad esse tutti coloro che versano nell’indigenza, che non possono permettersi le cene al caviale e i baccanali in costume suino; e troveranno adeguato sostegno e generosa, indimenticabile consolazione!

Strano che qualcuno, in vista delle prossime elezioni politiche, non abbia ancora pensato di fondare un nuovo partito, il Partito delle Tette; forse non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo sul nome; forse stanno discutendo e litigando se non sarebbe per caso più efficace, più diretto, più da K.O. per sbaragliare qualunque ombra di avversario, un bel “Forza Tette”.

Con Batman e Wonder Woman quali numi tutelari: e con due mascotte già pronte e carburate al punto giusto, già collaudate e, soprattutto, dotate del prorompente fisique du rôle.

Ah, ma forse il motivo dell’inspiegabile ritardo è un altro ancora: forse si stanno accapigliando se “Forza Tette” sia uno slogan padano o, Dio non voglia, ben più provinciale, cioè “soltanto” italiano.

Sondaggisti (e psicanalisti), sbizzarritevi! Grillini, tremate! E voi, rutelliani, casiniani, vendoliani, dipietristi, state all’erta, correte a nascondervi, preparatevi al diluvio: che farete davanti a un Forza Tette che, con le foto della Minetti in passerella, partisse accreditato di un vantaggio percentuale schiacciante, con il suo potere evocativo dirompente, con il suo capitale erotico semplicemente stratosferico, capace di sgominare qualunque concorrenza?

L’unico che potrebbe, forse, non già dare ombra ad un simile partito, ma presentarsi con tutte le carte in regola per raccoglierne l’ammiccante invito e la prelibata offerta, sarebbe il buon Matteo Renzi, il giovine e tosto Rottamatore che però le tette, certo, quelle non vorrebbe rottamarle: se non altro perché le tette non piacciono solo agli epicurei del sesso, ma anche ai lattanti affamati; anch’essi non bramano che di potervisi attaccare e succhiare, succhiare, succhiare a più non posso da tutto quel ben di Dio.

Devono pur crescere, loro, Po(l)verini!