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Quaranta anni dopo

di Guido Dalla Casa - 09/09/2013


         Come noto, I limiti dello sviluppo è un famoso rapporto pubblicato ad opera del Club di Roma nell’anno 1972, per iniziativa di Aurelio Peccei e Jay W. Forrester. Sono co-autori del volume Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers.

         Il rapporto era stato impostato schematizzando il sistema mondiale in cinque grandezze: la popolazione umana, le risorse naturali, gli alimenti, l’inquinamento e la produzione industriale. Erano poi stati analizzati i tipi di interazione fra queste grandezze su scala mondiale e si erano fatte delle proiezioni sul futuro estrapolando gli andamenti delle cinque grandezze. Quindi si teneva conto del progresso tecnico,  mentre, trattandosi di proiezioni, si supponeva di non modificare le interazioni fra le grandezze, cioè si ipotizzava che non cambiasse il modo di vivere e di pensare della cultura dominante, cioè si faceva l’ipotesi del cosiddetto BAU (business as usual). Con queste premesse erano stati ricavati dodici diagrammi basati su varie ipotesi.

         Il risultato forse più interessante di quello studio è stata la constatazione che quasi tutte le ipotesi, che aumentavano le risorse a disposizione anche in modo considerevole o portavano alcune variazioni “ottimistiche” alle altre grandezze, si concludevano con l’”impazzimento” dei rispettivi diagrammi. Anche l’ipotesi di continuare a disporre di nuove risorse senza limiti aveva come conseguenza il collasso del sistema, sempre con l’ipotesi BAU.    Questo proverebbe che non si tratta di un problema di esaurimento di risorse, ma dell’impossibilità di persistenza di un sistema come quello economico di produrre-vendere-consumare all’interno della Biosfera, che è un sistema complesso che funziona in modo stazionario lontano dall’equilibrio termodinamico.         Questo si può vedere anche partendo dalla teoria dei sistemi, come evidenziato nel libro Assalto al pianeta, dei Professori Pignatti e  Trezza (Ed. Bollati Boringhieri, 2000), in cui si dimostra che il problema non è causato semplicemente dalla scarsità di risorse, ma ha radici più profonde, legate al modo di procedere del sistema economico, che dipende da un’unica variabile (il denaro) e non può integrarsi in un sistema complesso con grandissimo numero di variabili, come la Biosfera.

      Solo due dei diagrammi esaminati rappresentavano, dopo un certo tempo, un andamento stazionario delle cinque grandezze, ma entrambi richiedevano come condizione necessaria e non sufficiente la stabilizzazione della popolazione mondiale attorno all’anno 1975 (che corrisponde alla metà di quella attuale), cosa che già allora appariva utopistica e che notoriamente non si è verificata.

    Mentre all’inizio degli anni Settanta il rapporto aveva avuto una certa risonanza, dopo non se ne è quasi più parlato, malgrado la sua enorme importanza.

    Inoltre i mezzi di informazione hanno completamente ignorato i due aggiornamenti, pubblicati in italiano nel 1993 e nel 2006, in cui veniva messo in evidenza il peggioramento della situazione.

   Dopo oltre quarant’anni, anche a seguito di fenomeni evidenti, ricompare timidamente, in qualche pubblicazione di scarsa diffusione, il diagramma principale:  

   Si vede subito che, tracciando una verticale sull’anno 2013 e osservando l’andamento delle cinque grandezze, troviamo proprio la situazione attuale: le risorse in rapida diminuzione, popolazione e inquinamento che continuano a salire inesorabilmente, alimenti e produzione industriale che hanno appena passato il picco e iniziano a scendere. Malgrado la serietà dell’avvertimento, per più di 40 anni si è continuato come prima: e pensare che Aurelio Peccei era un dirigente, non un filosofo indù!

  Le proiezioni a conclusione del rapporto si stanno rivelando esatte, dato che in questi decenni non si sono modificate le interazioni fra le grandezze esaminate, cioè il cosiddetto BAU.  Malgrado tutto, si vuole continuare come prima, con la crescita, che è la causa del male.

  Si noti inoltre che il rapporto del Club di Roma non è mai andato fuori da posizioni antropocentriche, non ha mai fatto considerazioni morali, pure molto importanti dato che stiamo togliendo lo spazio vitale a tutti gli esseri senzienti (altri animali, vegetali, ecosistemi), sostituendo in modo massiccio materia inerte a sostanza vivente. Il rapporto non è quindi basato sulle idee dell’Ecologia Profonda, ma è ancora  antropocentrico.

La Vita ha tre miliardi di anni, l’umanità ha un milione di anni, la cosiddetta “civiltà” ha diecimila anni, la crescita economica-industriale ha meno di duecento anni: la folle presunzione della nostra specie (o della nostra civiltà) è solo un delirio di grandezza.    

   Se continuiamo con le premesse attuali, un collasso è inevitabile e verrà innescato da un evento traumatico: sarà la fine di una forma di pensiero, scambiata ancora una volta per una fine del mondo.

   Attualmente sulla Terra gli umani sono oltre sette miliardi e aumentano di 80-90 milioni all’anno, scompaiono 100.000 Kmq di foreste all’anno, l’anidride carbonica aumenta di 3 ppm all’anno, si estinguono 30 specie al giorno, la biodiversità si degrada a vista, il consumo di territorio fa registrare cifre vertiginose. Palesemente questi fenomeni, conseguenze inevitabili della crescita economica, non possono continuare ancora a lungo. Quindi la Natura deve cercare di guarire dal suo male, facendo terminare quella forma del pensiero umano che ha invaso tutto il mondo e lo sta distruggendo. Occorre partire da altre basi, occorre abbandonare completamente: la competizione economica, la globalizzazione, la crescita, il mercato e la corsa ai consumi. Se invece si mantengono tali premesse, i problemi del mondo sono chiaramente  insolubili.

  All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, probabilmente la situazione era ancora controllabile con un deciso cambio di rotta, soprattutto perché la popolazione umana era circa la metà di quella attuale: ora è chiaramente troppo tardi per sperare in modifiche dolci e graduali verso una situazione compatibile con la vita della Terra.