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Io sto con la cicala

di Mario Bozzi Sentieri - 19/01/2014


Da una recente “provocazione” contro il turbo capitalismo ad un quasi-inedito di Giuseppe Prezzolini

 

Il bello delle favole è che non tramontano mai, per la capacità che esse hanno di parlare all’animo umano, al di là del tempo e delle condizioni socio-culturali. Rito antico e moderno, per dirla con un grande scrittore tradizionalista, Attilio Mordini, attraverso cui “il fanciullo apre l’anima sua alla naturale investitura della parola umana nel linguaggio evocativo; e tutte le ancestralità vengono in lui rimosse e ordinate alla calda meraviglia dell’essere”, le favole si offrono tuttavia anche al gioco delle reinvenzioni/reinterpretazioni, gioco anch’esso senza tempo, in grado spesso di attualizzarne/ribaltarne il messaggio.

Tra le favole più antiche, quella di Esopo, La cicala e la formica, adattata, nel Seicento, da Jean de La Fontaine, è tra le più note: da una parte la cicala fannullona, dall’altra la formica laboriosa, con la prima condannata, nel gelido inverno,  alla fame e la seconda garantita dalle riserve accumulate durante un’estate di lavoro.

La storia è stata utilizzata, nei secoli, per divulgare una chiara “visione della vita e del mondo”, nella quale ad uscirne vincente era sempre l’idea del lavoro e della prudenza, contrapposta a quella dell’accidia e della superficialità.

Il gioco degli opposti e le contingenze contemporanee, segnate da una crisi epocale, hanno ora spinto Fausto Gusmeroli, un “uomo della terra”, docente nel campo agroalimentare, a ribaltare le scontate e rassicuranti lezioni del passato, intessendo in un agile pamphlet  (Io sto con la cicala, Emi, pagg. 61, Euro 4,50) le lodi della cicala ed  appioppando alla formica lavoratrice l’accusa di essere “turbocapitalista”.

Il “teorema” di Gusmeroli ha una sua logica. Nel momento in cui la “crisi” (intesa anche nel  senso etimologicamente più corretto di trasformazione, cambiamento) mette in discussione tutte le vecchie certezze (economiche, ambientali, sociali, etiche, politiche), guardare alla cicala può servire – dice l’autore – per superare gli eccessi del produttivismo e dell’accumulazione, per fissare nuovi obiettivi e nuovi paradigmi all’uomo e alla società, con l’ambizione  di evitare tragedie e sofferenze all’umanità.

Siamo, è chiaro, all’interno di quella “cultura della decrescita”, più o meno felice, intorno alla quale, in modo trasversale (da sinistra e da destra), molti sperano di costruire i nuovi assetti socio-economici del mondo (quello più sazio ed appagato), dimenticando però che c’è un altro mondo ancora costretto a fare i conti con i bisogni primari del sostentamento. La provocazione di Io sto con la cicala è comunque utile per ripensare sinteticamente i limiti o, all’opposto, le ragioni dell’attuale sistema economico e sociale. In gioco entrano i temi/valori della crescita infinita (legata ad  un continuo innalzamento della produzione e dei consumi), delle risorse, della competitività, del’etica, del tempo, vissuto alternativamente dal punto di vista della formica o da quello della cicala.

A fronte di  una logica produttivistica ed efficientistica, per la quale il tempo pienamente vissuto è quello dedicato al lavoro, alla produzione, al guadagno, emerge la domanda di un tempo più lento e perciò intensamente vissuto: “la lentezza, infatti  – scrive   Gusmeroli – ci obbliga a selezionare, a rinunciare al superfluo per andare all’essenza delle cose; ci stimola a soffermarci, a stare nel presente con più intensità, più profondità, più pienezza”. Lentius, profundius, suavius (“più lento, più profondo, più dolce”) era l’invito di Alex Langer, originale figura di ambientalista, che lo contrapponeva al motto olimpico citius, altius, fortius (“più veloce, più in alto, più forte”). Della cicala tesseva le lodi anche Gianni Rodari, che scriveva “Chiedo scusa alla favola antica, se non piace l’avara formica. Io sto dalla parte della cicala che il più bel canto non vende, regala”.

La filosofia del cricri cricri ha indubbiamente un suo fascino, anche se porta con sé il rischio dell’accidia, l’avversione ad operare, mista a noia ed indifferenza, e quindi la decadenza sociale e personale. L’autore di Io sto con la cicala ne è consapevole, mettendo il lettore sull’avviso rispetto ad una vita fatta di passatempi e di piaceri, insieme alle difficoltà  - scrive -  “che la costruzione di una nuova società complessa comporta  e dell’utopia che ha in sé”. Rivendicare un’aspettativa  postmaterialista, nella quale ci sia spazio non solo utopisticamente per i sogni, ma anche per una visione ludica, artistica, spirituale della vita è un’esigenza reale che non può comunque essere disattesa e che anzi può trovare inaspettate conferme.

Curiosità nella curiosità del libretto di Gusmeroli ecco allora una coincidenza significativa. Quasi in contemporanea con la pubblicazione di Io sto con la cicala, “Cartevive”, il periodico dell’Archivio Prezzolini – Biblioteca cantonale Lugano, ha pubblicato una rivisitazione della favola di Esopo da parte di un trentenne Giuseppe Prezzolini (“La favola della cicala e della formica moderne”) apparsa, nel 1912,  sulla romana “Primavera”,  “rivista mensile per i fanciulli e giovinette”.

La rilettura, quasi un inedito visto il tempo trascorso, conferma non solo la freschezza e la modernità di Prezzolini ma anche il suo genio anticonformista.  Di frontre ai giovani lettori il nostro ribalta, da par suo, l’interpretazione rassicurante e moralistica della favola di Esopo, per difendere, a spada tratta, la cicala, immagine del poeta e del pensatore, che, in apparenza, non producono materialmente nulla, ma che invece – scrive Prezzolini – “…fanno vivere tutti quelli che lavorano, con le braccia o no; perché mentre sembrano oziare, le loro menti fatate si affaticano intorno alle origini e alle armonie di questa nostra vita, e scoprendole danno a tutti la ragione, di faticare, di soffrire e di vivere. Quanta gioia c’è ora nel canto della cicala, dacché la vedete non più oziosa, ma anzi spensieratamente lavoratrice e donatrice ! Quanta gioia nel poeta di comunicare con il cielo e con gli uomini e d’aprir loro un orizzonte più vasto !”

E’ evidentemente lontana da Prezzolini qualsiasi visione “sovvertitrice”. A lui basta “mettere le cose al loro giusto posto”, secondo quell’idea della “qualità” opposta alla “quantità”, che, agli inizi degli Anni Settanta del ‘900, pose alla base del suo famoso “Manifesto”. Importante però è non pretendere di omologare l’umanità in un’unica visione. In un mondo “normale”, qual era quello di Prezzolini, c’era spazio per le formiche e per le cicale, secondo il principio “a ciascuno il suo”. Senza assolutizzazioni, senza schemi ideologici, alla ricerca di un “senso della vita” pieno e complesso: aspettativa tutt’altro che utopistica, a cui ancora tendere ben al di là di qualsiasi polemica contingente.