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Al peggio non c'è mai fine

di Giorgio Cattaneo - 19/01/2014


 

Matteo Renzi che progetta il futuro dell'Italia con Silvio Berlusconi. Renzi, cioè il Nulla elevato a insidia: oggi per il governo Letta, domani per gli italiani tutti. A cui proporrà, tra un sorrisone e l'altro, il Programma di Afflizione Definitiva messo a punto dai "padroni dell'universo" e affidato alla manovalanza tecnocratica di Bruxelles (Barroso, Van Rompuy, Schulz, Draghi) cui obbediscono mercenari e maggiordomi italici, da Letta a Saccomanni, in un tragicomico gioco delle parti secondo cui il pericolo che ci minaccia è Beppe Grillo, è la Costituzione antifascista, è la rappresentanza democratica - e non l'euro-catastrofe, non la disoccupazione a valanga che disintegra il tessuto sociale, non l'astuto Marchionne che ripiega su marchi prestigiosi come Alfa e Maserati per non dire apertamente che l'epoca delle utilitarie Fiat è finita, e che gli operai di Melfi, Pomigliano e Mirafiori, esaurita l'ultima cassa integrazione, dovranno cercarsi un altro lavoro, magari emigrando a Detroit.

Ma niente paura, sul futuro dell'Italia deciderà lo storico summit convocato nella tana del Pd il fatidico 18 gennaio 2014. Renzi e Berlusconi: due tipi «la cui bocca è scollegata dagli occhi», scrive Pierfranco Pellizzetti su "Micromega". «Fateci caso, sia Silvio Berlusconi che Matteo Renzi sorridono all'insegna della massima affidabilità, ma il loro sguardo resta gelido, da gente "che non fa prigionieri"».

E se Berlusconi è il rudere vivente di vent'anni nei quali il centrosinistra ha finto di combatterlo, in realtà sdoganando la dottrina neoliberista euro-globale e smantellando il welfare - fino alla menzogna della flessibilità come leva di sviluppo, spacciata con l'aiuto di sindacati che hanno rinnegato la propria missione - la disinvoltura del sindaco di Firenze conferma una dose di cinismo che supera persino quella del Caimano: a parte la rottamazione dell'indecente legge elettorale, l'insistenza di Renzi è sullo smantellamento della Costituzione, in linea con il Ceo della Jp Morgan, Jamie Dimon, che considera "spazzatura della storia" il nostro impianto democratico così attento, almeno sulla carta, alla tutela del lavoro come diritto.

Dietro alle sue false rassicurazioni, Renzi nasconde la fretta di andare velocemente alle elezioni per consolidare la sua leadership, liquidando la succursale italiana della Troika, cioè il tandem Letta-Napolitano. Il che sarebbe una buona notizia, se non fosse che il non-programma renziano - senza uno straccio idea su come superare la grande crisi - non è altro che l'applicazione dogmatica degli ordini della cupola finanziaria, quella che ci ha già imposto Mario Monti ed Elsa Fornero. Curioso, aggiunge lo stresso Pellizzetti: Renzi o non Renzi, «i leader centrosinistri - alla fin fine - corrono sempre al salvataggio di Berlusconi. Sarà perché gli sono antropologicamente affini? Guarda caso, anche D'Alema e Veltroni hanno bocca e occhi scollegati».

Prima di loro, però, e molto lontano da Roma, ci fu chi decise per tutti e all'insaputa dei più: i grandi privatizzatori occulti e i loro tecnocrati oscuri, fino ai profeti nostrani delle riforme strutturali - da Andreatta a Ciampi, da Padoa Schioppa a Bassanini - tutti ben collegati con l'establishment di Washington e di Bruxelles, irritato dall'autonomia finanziaria italiana e dalla capacità economica del Belpaese che tanto disturbava i signori di Berlino.

Il Genio Fiorentino però corre veloce, grazie alla leggenda metropolitana del "nuovo che avanza". E adesso ha fretta di rottamare, in collaborazione con l'amico Silvio, soprattutto l'odiata Costituzione. «Puntano il dito contro le lungaggini del bicameralismo - protesta il grillino Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera - ma per varare il Lodo Alfano gli sono bastati otto giorni». L'obiettivo è sempre lo stesso, da anni: presidenzialismo, potere verticale. Mani libere, per scelte sbrigative truccate da "riforme", mentre tutto intorno sta crollando: l'unica vera notizia è che l'economia globalizzata della fabbrica-mondo avrà sempre meno bisogno dei lavoratori italiani, a meno che non intervenga - con una svolta radicale - la protezione dello Stato, cioè il potere pubblico che i "nuovisti" vogliono morto, perché fa da argine allo strapotere delle multinazionali.

E intanto parlano d'altro, assecondati dalla loro corte mediatica. "Sburocratizzare": lo slogan grottesco di Renzi ricorda l'invocazione crepuscolare dell'ultimo Prodi ("un po' di felicità"), pronunciata con una bonomia sospetta dall'uomo che lavorava per la Goldman Sachs e preparava i micidiali diktat della Commissione, il super-potere europeo mai eletto da nessuno. Oggi però la ricreazione è davvero finita. La verità è un iceberg, e lo schianto si sta avvicinando.