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L'affondamento dell'Italia sul Britannia

di Gianni Petrosillo - 27/01/2014


 

L’anomalia italiana non è mai stata rappresentata da Silvio Berlusconi e dal suo partito di plastica come vorrebbe farci credere il circuito mediatico ufficiale col suo codazzo di intellettuali semicolti. Semmai, come abbiamo scritto tante volte, la famigerata discesa in campo del Tycoon di Arcore e la conseguente affermazione di Forza Italia, sono state conseguenze, neanche le uniche, di tutt’altre faccende che giornali, televisioni, istituzioni ecc. ecc. hanno tenuto ben coperte in tutti questi anni.

Berlusconi è stata la loro foglia di fico, il capro espiatorio sul quale convogliare la (dis)attenzione generale, proprio dopo che costui aveva rotto le uova nel paniere ai grandi “manovratori”, mentre si operava un rovesciamento antidemocratico sostanziale di un precedente regime democratico formale, ma certo più responsabile ed autonomo di quello presente. Il loro progetto di sedizione sistemica si concretò solo parzialmente e da qui scaturì una serie di situazioni di caos politico e d’instabilità economica che stiamo pagando ancora oggi.

Se vogliamo capire le origini della decadenza del Bel Paese dobbiamo fare i conti con la storia di Mani pulite e con la defenestrazione, per via giudiziaria, quasi dall’oggi al domani, di un’intera e potentissima classe dirigente, formatasi nella fase del bipolarismo Usa-Urss e passata di moda all’istante con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989. I nostri problemi sono cominciati in quel preciso momento e si sono aggravati man mano che veniva riconfigurandosi la sfera egemonica occidentale. Quest’ultima, allargandosi allo spazio dell’Est Europa, periferizzava la nostra Penisola, già perno indispensabile dell’alleanza antisovietica, ma in seguito diventata mero tassello secondario di una diversa strategia globalista, il cui prezzo doveva essere riversato sugli anelli più deboli della catena geopolitica atlantica.

 

Ritorniamo sulla faccenda perché quei meccanismi sempre operanti stanno riprendendo a girare turbinosamente in queste settimane. Ciò che non si verificò all’epoca deve essere completato ora, con la svendita definitiva di quel che resta di importanti asset di Stato.

Uno degli episodi più emblematici di questo recente passato, venuto a galla in parte e lasciato volutamente avvolto nelle nebbie dalla stampa compiacente, è quello del panfilo Britannia. Il 2 giugno del 1992, quindi alcuni mesi dopo i primi arresti eseguiti dal pool di Milano che stavano per coinvolgere i vertici dei partiti dominanti dell’arco costituzionale, al largo di Civitavecchia, su uno yacht battente bandiera inglese, venne ospitata una delegazione di uomini di Stato italiani, accolti da banchieri ed altri pezzi grossi anglo-statunitensi, per discutere di finanza.

A capo di questa rappresentanza c’era Mario Draghi, direttore generale del Tesoro, come confermato anche dall’ex Presidente Cossiga (che affibbierà, all’attuale Presidente della BCE, il titolo poco nobiliare di vile svenditore della Patria), il quale, in quella occasione, s’impegnava a lanciare una campagna di dismissioni dei tesori pubblici. Scrive il giornalista Marcello Veneziani al proposito: “…Dopo quell’incontro avvennero alcune scelte importanti, non solo di cessioni e mutamenti d’indirizzo. Ci fu ad esempio la svalutazione della lira che di fatto risultò un comodo affare per le finanze di Wall Street; all’epoca fu notato che per gli acquirenti internazionali il malloppo italiano diventò meno costoso del 30%. Svendita di alcuni pezzi forti della nostra economia di Stato.”

Questa era l’aria che tirava in Italia in quei giorni. Ma le voraci manine oceaniche sapevano che per arrivare a conquistare i gioielli pubblici nazionali avrebbero dovuto sbarazzarsi dei vari Craxi, Andreotti, ecc. ecc., i quali erano d’ostacolo a tali razzie forestiere. Inoltre, gli americani avevano dei conti in sospeso con questa gente che in qualche circostanza si era permessa di alzare la testa contro i loro diktat. Molto probabilmente, i servizi segreti americani, che erano a conoscenza delle magagne interne (rapporti tra Stato e Mafia, finanziamenti occulti ai partiti, intrecci politica-affari) passarono i documenti ai magistrati (che a loro volta sapevano ma mai avevano agito) e diedero il via libera alle indagini. Il torpore che aveva accompagnato i giudici per lustri finisce in quell’istante e deflagra Tangentopoli. Mani pulite si arresterà, sempre su impulso statunitense, quando il quadro dei rapporti di forza risulterà definitivamente rovesciato a favore di soggetti politici più “affidabili” e ricattabili. Sarà l’ ambasciatore Bartholomew, inviato da Clinton nel ‘93, a dichiarare di aver fermato il pool per timore che si verificasse un vuoto di potere e di referenti politici. Dunque, appena prima che fossero coinvolti anche gli ex comunisti. Così nasce l’odierna “classe rimanente” che deve tutto ai suoi padrini oltreatlantici. Anche il legame tra servizi statunitensi e togati non si è mai più interrotto, tanto che tuttora quest’ultimi si mettono a disposizione quando si tratta di frenare l’avanzata di leader sgraditi (o da ricondurre a più miti consigli) o di business che gli alleati considerano di esclusiva pertinenza. Chi credete che stimoli l’azione inquirente per bloccare gli affari internazionali dell’Eni o di Finmeccanica che sottraggono profitti alle loro concorrenti estere?

In un articolo apparso ieri su Il Giornale, l’onorevole Capezzone di Fi, ha lanciato ancora l’allarme sulle interferenze straniere nelle questioni italiane che ricalca il nostro resoconto d’antan. Costui ha sicuramente informazioni che noi non abbiamo. Lo stallo istituzionale in atto (nonché la nuova ondata di azioni giudiziarie sul mondo politico ed imprenditoriale) potrebbe essere provocato dalle suddette ingerenze. Scrive, con molta cautela, Capezzone: “Facciamo un passo indietro. Sull’ormai leggendario incontro a bordo del Britannia, il mitico panfilo reale inglese, si è scritto anche troppo, non di rado con esagerazioni da cattiva letteratura fantasy. Eppure, la storia merita di essere ripensata. Siamo nel giugno del 1992: mentre sta per aprirsi una profonda crisi politica, mentre sta per concretizzarsi in modo devastante la minaccia giudiziaria, mentre si sta sgretolando il potere del ceto politico allora al governo, un pugno di politici, di banchieri, di finanzieri, di boiardi di Stato, si raduna con importantissimi interlocutori stranieri, al largo tra Civitavecchia e l’Argentario, per parlare di privatizzazioni. L’esito della storia è noto: ferma restando la buona fede di tutti i partecipanti, ferma restando la difficoltà obiettiva di quella fase politica, sta di fatto che nei semestri successivi prende corpo quella che tanti(uno per tutti, Francesco Cossiga) hanno giustamente descritto non come una privatizzazione, ma come una svendita di buona parte del patrimonio industriale pubblico italiano. Ecco, senza esagerare in paralleli sempre avventurosi, e tenendo presente che a storia non si  ripete mai in modo totalmente sovrapponibile rispetto al passato, non vorrei che qualcuno, dentro e fuori i confini italiani (e in genere c’è soprattutto da preoccuparsi dichi sta dentro),e magari qualche insospettabile new entry rispetto ai protagonisti della crociera di vent’anni fa, accarezzasse il sogno di un remake di quel film. Alcuni ingredienti non mancano: l’iniziativa giudiziaria in corso che investe proprio alcuni nostri gioielli nazionali, la fragilità di un governo più tecnico-tecnocratico che politico, e infine il fatto non irrilevante che nella pancia dei nostri residui giganti pubblici (Eni, Enel, Finmeccanica) ci siano ancora valori immensi”.

Questo lo scenario critico e desolante di un Paese che non ha imparato la lezione degli eventi. Un’altra crociera, come quella del ’92, determinerebbe l’inabissamento della Repubblica e farebbe degli Italiani un popolo di naufraghi. Preparatevi a resistere o a nuotare.